Tu chi sei?
Malawi: Torino – Blantyre e ritorno
Vivere in Africa è un’esperienza molto particolare. E quando si torna c’è qualcosa che ti rimane dentro.
Gli ampi spazi, la natura, o forse il rapporto che si instaura con la gente. Un antropologo – volontario in Malawi ci racconta i suoi perché.
Mi viene spesso chiesto da amici e parenti che cosa mi spinga a ritornare a vivere e lavorare in Africa, se sono anche io vittima di questo indefinibile stato d’animo detto «mal d’Africa» per il quale sembra, per fortuna, non essere stato ancora trovato il vaccino.
Credo che il desiderio di godere di una natura così generosa (spesso più alla vista dello straniero di passaggio che per la gente che la abita da sempre) sia sicuramente un aspetto non trascurabile. Il ricordo di tante mattinate trascorse in viaggio verso le zone di progetto (lo scrivente è volontario in Malawi, vedi box, ndr), per una riunione con le autorità locali piuttosto che per l’inizio di un nuovo pozzo, tra acacie deformate dal vento e pianure impolverate, mi risulta sicuramente più piacevole e meno stressante dell’imbottigliamento mattutino in corso Unità d’Italia per raggiungere il centro di Torino. Dunque sì, i famosi spazi africani hanno giocato un ruolo importante nell’avvicinarmi e apprezzare sempre più questo continente, oltre al fatto che questi posti sono popolati e ulteriormente arricchiti dalla presenza di animali che sin da bambino hanno stuzzicato la mia fantasia.
Come non stupirsi dinanzi all’imponenza di un elefante, all’eleganza di una giraffa, all’esibizionismo quasi snob di un leopardo disteso all’ombra di un ramo, al goffo riemergere dalle acque di un ippopotamo. Si sente spesso parlare dei cieli d’Africa, delle savane. Effettivamente la natura sembra dilatarsi, di giorno puoi godere di orizzonti non deturpati (o almeno non dappertutto) dalla cementificazione e di notte gli amanti delle costellazioni si possono perdere, in assenza di luci artificiali, in questo affascinante linguaggio del cielo.
Ma la vita che conduco qui in Malawi non è sempre fatta di parchi e savane, di spazi e cieli stellati. Allora mi chiedo, che cosa mi porta a ritornare in Africa, al di là di una bellezza paesaggistica indiscutibile?
Credo che la gente, il rapporto che si riesce a creare con le persone, anche se spesso solo «di passaggio» e con inevitabili barriere linguistiche, sia l’altro elemento determinante dell’interesse e del fascino che questo continente suscita.
Mi piace l’informalità e la spontaneità dei rapporti.
Se da una parte lo straniero è percepito come una sorta di «banca ambulante», un’opportunità per tirar su due soldi, dall’altra è spesso la semplice curiosità verso l’altro ad attirare le persone. Vengo sovente avvicinato da qualcuno, soprattutto in città, con la richiesta di un lavoro.
Ma il più delle volte le persone fanno seguire a uno sguardo incuriosito una serie di domande che ricordano i quesiti esistenziali di filosofi e pensatori o, se vogliamo, di tutti noi: «Chi sei? Da dove vieni? Dove stai andando?». Mi trovo così ogni tanto a urlare a uno sconosciuto che mi pone queste domande dall’altro lato della strada, tra il traffico di carretti e autobus fumosi: «Sono Dario, vengo dall’Italia, sto andando all’Inteet Caffè!». Un sorriso, un saluto, ognuno continua per la sua strada, tutto qua. E probabilmente segue, per lui, una serata nella propria abitazione a raccontare a genitori e famigliari che in mattinata ha incontrato un azungu (o musungu, uomo bianco) di nome Darewo che arriva dall’Italia, in cammino verso l’Inteet Caffè. Questa curiosità, il gusto della chiacchierata, dell’aggioamento, è sicuramente accentuato quando l’incontro avviene con lo straniero, ma è comune anche tra i locali. Per loro qualsiasi luogo e momento (il mercato, il caffè, in coda per la macinazione del mais o per l’acquisto delle sementi, all’ombra dell’albero) sono l’occasione per uno scambio, di sguardi e di parole.
Mi viene da pensare come spesso da noi avviene esattamente l’opposto. Si evita lo sguardo, c’è imbarazzo o disagio quando ci si trova a condividere uno spazio, magari limitato come un ascensore o la coda alle poste.
Ho sempre un po’ di difficoltà a riadattarmi, dopo mesi trascorsi in Africa, alla formalità di linguaggi e comportamenti, all’apatia e disinteresse verso chi ti circonda, anche solo per il tempo di un’attesa all’Asl piuttosto che alla cassa del supermercato. Mi trattengo dal chiedere alla signora che mi precede nella coda: «Ma lei chi è? Da dove viene? Cosa farà e cosa cucinerà dopo essere uscita da questo negozio?». Verrei probabilmente squadrato come un poco di buono, inopportuno curioso degli affari altrui.
Lo stesso se si entra in un locale, un ristorante o un bar. In Malawi, se il locale è vuoto, ci si siede nel posto vicino all’unico tavolo occupato da un cliente, perché probabile occasione per fare due chiacchiere. E allora si attacca: «Da dove vieni, cosa ci fai qui?…», e così via. Nel corrispettivo bar del centro di Torino questo «avvicinamento» verrebbe probabilmente vissuto come un’invasione di campo. Mi immagino la signora di prima, quella del supermercato, commentare tra sé e sé: «Ma dico, con tutto lo spazio e i tavolini vuoti del bar, proprio qui vicino si doveva sedere…?».
È proprio così, il rientro a casa, in Italia, dopo periodi più o meno lunghi in Africa: è fatto di tante aspettative e voglia di ritornare alle radici, ma anche di tante delusioni. Trovo la gente spenta o nervosa. I negozianti o non ti considerano oppure ostentano una gentilezza forzata e finalizzata alla vendita del loro prodotto. Ovviamente dopo qualche settimana mi abituo alla generale apatia, l’entusiasmo e la voglia di salutare «il mondo intero» si allentano, ma ogni tanto, come in un flash, mi chiedo come reagirei se il barista o la panettiera di tuo mi chiedessero: «Tu chi sei? Da dove vieni? Dove vai ora?». Probabilmente risponderei: «Sono Dario, sono di Torino, sto cercando di tornare in Africa».
Un paese sconosciuto
POCO CIBO, MOLTO AIDS
Il Malawi, paese dell’Africa australe sconosciuto ai più, è una striscia di 118 mila km quadrati (un terzo dell’Italia) incastrata tra l’omonimo lago, lo Zambia e il Mozambico. Per portarlo agli onori delle cronache mondiali c’è voluta la pop star Madonna, con la sua adozione «forzata», ovvero al di là del rispetto di ogni regola o procedura, di un bambino di quel paese.
Con una popolazione di circa dodici milioni di abitanti, è classificato dalle Nazioni Unite come uno dei paesi meno sviluppati al mondo, sulla base dell’analisi degli indicatori dello sviluppo umano. Il livello di mortalità infantile è di circa 103 decessi su mille nascite, mentre l’aspettativa di vita è intorno ai 42 anni.
Dotato di scarse risorse minerarie e un’alta densità di popolazione, la sua economia dipende fortemente dall’agricoltura. La posizione geografica priva di sbocchi sul mare, ha inoltre conseguenti costi penalizzanti sulla commercializzazione con l’estero. I principali prodotti di esportazione sono il tabacco (60% dell’export) e il tè. Anche zucchero e cotone sono esportati, mentre il mais è il principale prodotto di auto consumo.
Il settore agricolo fornisce il 38,4% del prodotto nazionale e occupa l’80% della forza lavoro. Questa forte dipendenza dalle esportazioni di pochi prodotti agricoli rende il paese fortemente vulnerabile agli andamenti dei prezzi sui mercati mondiali (quello del tabacco si è dimezzato negli ultimi anni), oltre alle ripetute siccità che colpiscono il paese. L’alto costo dei trasporti costituisce un ulteriore limite, senza dimenticare che il Malawi deve importare tutto il combustibile dall’estero. Quasi metà della popolazione è al di sotto dei 15 anni e la crescita demografica, superiore al 2%, impone una forte pressione all’ambiente.
Il terreno coltivato è intensamente lavorato, mentre la crescita della popolazione diminuisce la disponibilità di terra per persona, aumentando l’insicurezza alimentare (definita come quella condizione per la quale alla gente viene a mancare il livello minimo di cibo che permette un’esistenza energica e produttiva).
La pratica molto diffusa della monocoltura, prevalentemente mais, riduce nel tempo la fertilità dei terreni. A questo si aggiungono problemi legati all’erosione del suolo e all’inappropriata applicazione di concimi e fertilizzanti. Si calcola che il 60% dei malawiani vivono sotto la soglia di povertà e la malnutrizione rimane importante, con un 30% di bambini sottopeso.
L’attuale presidente, Bingu wa Mutharika, al potere dal maggio 2004, in seguito a elezioni contestate, ha l’oneroso incarico di lottare contro l’alto livello di corruzione e l’inefficienza dell’apparato statale. Il Malawi ha infatti estremo bisogno dei finanziatori inteazionali, come Banca mondiale e Unione europea i quali chiedono chiarezza nella gestione dei conti pubblici. I difficili obiettivi di Mutharika e il suo governo si possono riassumere come: limitare il deficit del bilancio, ridurre il debito pubblico, migliorare la qualità dei servizi pubblici e soprattutto stabilizzare l’economia.
Il Malawi è anche uno dei paesi più colpiti dall’Aids. Il 14,4 % della popolazione nella fascia tra i 15 e i 49 anni è affetta dal virus (fonti Unicef), e tra questi ragazze e giovani donne sono le più esposte al contagio. Le statistiche contano 900 mila sieropositivi, di cui 70 mila sono bambini. Questi contraggono il virus dalla madre, durante la gravidanza, il parto o l’allattamento. Gli orfani, invece, sono circa un milione, di cui la metà ha perso uno o entrambi i genitori a causa dell’Aids. Ogni anno sono circa 80 mila i morti per questo virus nel paese.
I bambini orfani e sieropositivi sono discriminati, oltre a non ricevere cure adeguate. Restano spesso esclusi dal sistema scolastico, dai servizi sanitari e di assistenza e sono più a rischio, rispetto ai loro coetanei, di abusi e sfruttamento.
Un progetto di sviluppo
CHI HA PAURA DELLA CARESTIA?
Il progetto al quale lavoro qui in Malawi mira a favorire una maggiore diversificazione della produzione agricola, attraverso la semina di patate dolci, cassava, cavoli e fagioli, oltre a piante di frutta, principalmente banane e manghi. Ovviamente non mancherà il mais, principale coltura del paese, dalla quale si ricava la nsima, una polenta locale, dieta quotidiana della famiglia malawiana.
Un adeguato sistema di irrigazione, basato sull’installazione di una pompa e pannelli solari, dovrebbe garantire la continuità nella produzione e raccolta, anche in tempi di scarsità o assenza di piogge, che quest’anno sono state abbondanti, ma che in passato hanno causato non pochi problemi, come nell’inverno del 2002, quando le scarse piogge hanno sacrificato del tutto la produzione.
Al di là degli strumenti materiali (pozzo, sementi, sistema irriguo) il progetto dà importanza alla formazione delle persone, per un corretto utilizzo delle risorse, un’adeguata manutenzione delle stesse, per garantire quella fatidica «sostenibilità», cruccio e aspirazione di un qualsiasi progetto di sviluppo.
Un comitato di gestione dell’acqua verrà nominato dalla gente del posto e sarà responsabile del corretto utilizzo e manutenzione di tutto il sistema.
Gran parte del lavoro, almeno fino ad ora, è consistito nell’andare in giro a recuperare dati relativi alle varie fasi del progetto oltre che andare sul sito a consultare la popolazione beneficiaria. Per conoscere meglio il contesto dove lavoro ho cercato di incontrare e chiacchierare con molte persone, dall’infermiere del centro sanitario all’insegnante della scuola primaria. Si impara sempre molto, si conosce meglio il posto e forse si riesce a lavorare meglio.
Nel mese di novembre sono state distribuite sementi e fertilizzanti e ora la gente aspetta impaziente il raccolto, previsto per aprile. È questo un periodo dell’anno piuttosto difficile per i malawiani, perché da una parte si sta riducendo la riserva di produzione agricola precedente, ormai quasi del tutto esaurita, dall’altra non è ancora il momento di raccogliere la produzione successiva. È sempre un periodo di sacrifici e limiti, ai quali si aggiunge un incremento dei casi di malaria, legata al fatto che si è ancora in piena stagione delle piogge. Inoltre, soprattutto nelle aree rurali, si rischia di trascurare i sintomi e di non ricorrere tempestivamente alle cure del più vicino centro di salute, il più delle volte a qualche ora di cammino dal proprio villaggio.
La stessa distribuzione del raccolto tra i beneficiari del progetto dovrà tenere conto delle esigenze delle singole famiglie, ma anche di un’adeguata politica di marketing e vendita del raccolto in esubero. Questa operazione consentirà di acquistare ulteriori sementi e fertilizzanti negli anni a venire.
Nelle prossime settimane inizieranno inoltre una serie di incontri con un responsabile regionale dell’ufficio «servizi sociali». Verranno trattati temi come la ricerca di fondi, la stesura di un progetto, la gestione finanziaria e contabile. In futuro non ci dovrà più essere il musungu a suggerire eventuali attività di sviluppo dell’area, attraverso la gestione del progetto e il contatto con le autorità locali e i donatori. Una buona preparazione teorica, unita all’esperienza, dovranno favorire un approccio dinamico, attivo e partecipato dei soggetti del progetto.
Cronologia essenziale
Regno di Kitwara, parte degli stati retti dal re dello Zimbabwe.
1835 Sessanta anni di guerre tra ngoni e chewa, alleati degli yao.
1859 Il paese è esplorato da Livingstone.
1891 Diventa protettorato britannico con il nome di Nyasaland, dal nome del lago Malawi, chiamato anche Nyasa.
1964 6 luglio Indipendenza, il paese è chiamato Malawi.
1967 Hatings Kamuzu Banda eletto presidente.
1971 Banda si definisce presidente a vita. Lungo regime dittatoriale legato al Sudafrica. Incarcerati e uccisi i dissidenti.
1990-91 Terremoti e inondazioni aggravano la scarsità di generi alimentari.
1993 14 giugno Adottato il multipartitismo nel paese grazie al referendum. Banda ha dovuto cedere a pressioni intee e estee (Banca Mondiale).
1994 17 maggio Prime elezioni libere, presidenziali e politiche. Bakili Muluzi, leader del United Democratic Front (Udf) all’opposizione viene eletto presidente.
1999 15 giugno Bakili Muluzi è rieletto presidente in seguito a elezioni non molto regolari.
2001 Il presidente dichiara lo stato di calamità naturale. La carestia causa molte morti in ambiente rurale.
2002 luglio Muluzi propone un emendamento alla costituzione per potersi ripresentare senza limite di mandato. Il parlamento lo respinge.
2004 20 maggio Bingu wa Mutharika, candidato dell’Udf è eletto presidente per cinque anni.
2006 David Banda, 14 mesi di età, raggiunge a Londra la cantante Madonna, contro ogni procedura di adozione del paese. Attualmente c’è un ricorso in tribunale di 67 associazioni malawiane.
Dario Devale