Quando «euro» non fa rima con «democrazia»

Desidero esprimervi i miei più sinceri apprezzamenti per la lucidità, la serietà, il rigore con cui avete affrontato, nel numero monografico di ottobre-novembre, la spinosissima questione dell’unità europea.
Io non sono né euroscettico né europessimista; al contrario, sono entusiasta della moneta unica e spero che, dopo la Slovenia, altre nazioni possano presto aggiungersi al cosiddetto «gruppo dei dodici» (espressione sulla quale nessuno ha mai trovato nulla da ridire, ma che non rende giustizia al Principato di Monaco, Repubblica di San Marino e Stato del Vaticano, che all’euro hanno aderito dall’inizio…).
Proprio la simpatia per l’euro ha fatto nascere in me il desiderio di sapee di più sui motivi per i quali è ancora così contestato in alcuni dei paesi, dove è stato adottato (nella nostra Italia, per esempio, non sono certo pochi quelli che rimpiangono la lira…) e guardato con tanto sospetto in quelli che, secondo gli esperti, potrebbero e dovrebbero adottarlo.
In particolare, pensando all’estremo nord dell’Europa, mi sono chiesto perché vi sia tanta ostilità verso la moneta unica, tant’è che Svezia, Danimarca, Norvegia, Islanda preferiscono tenersi le loro corone, anziché seguire il percorso della Finlandia.

Il caso svedese forse merita qualche parola in più: infatti nel settembre 2003 lo schieramento favorevole all’introduzione dell’euro subì una bruciante sconfitta e dovette accontentarsi del 41% (i contrari, invece, superarono il 56%…) dei suffragi. Secondo i sondaggisti lo scarto sarebbe stato sicuramente maggiore se, pochi giorni prima del referendum, un fanatico, legato ad ambienti neonazisti, non avesse barbaramente ucciso l’allora ministro degli Esteri, Anna Lindh, una delle più convinte sostenitrici dell’adesione all’euro.
Come mai neppure l’ondata emotiva scatenata dal mai abbastanza deprecato assassinio riuscì a far incanalare i voti verso il «sì»? Come mai tanta differenza con le proiezioni dei sondaggisti che avevano dato i due schieramenti praticamente alla pari? Il politologo Hans Magnus Johansson diede una spiegazione molto chiara, usando termini e concetti molto simili a quelli adoperati da Alessandra Algostino e da Beard Cassen negli articoli pubblicati nel vostro numero monografico: «Il ragionamento è stato: no, in Svezia abbiamo la democrazia. A Bruxelles non c’è…».
Credo di poter dire che in questi ultimi 4 anni la situazione non è migliorata; anzi, ho la sensazione che lo schieramento sfavorevole all’euro si sia nel complesso rafforzato.
L’avversione degli scandinavi per la moneta unica dovrebbe costituire anche per noi italiani un ulteriore motivo di riflessione: siamo sicuri che più Europa voglia dire più democrazia? Siamo sicuri che le nuove tasse che le leggi finanziarie ci costringono in un modo o nell’altro a pagare (più tasse sulla casa, sul lavoro, sui servizi essenziali, sulle rendite da capitale accumulato in modo… normale, non per mezzo di speculazioni ai danni della collettività) servono davvero a risanare il debito pubblico e a rilanciare il paese? Non sarà invece che tutti questi miliardi vengono impiegati per aumentare lo stipendio, la pensione, la liquidazione ai superburocrati di tuo?

I paesi scandinavi hanno tanti difetti (certe piaghe come la criminalità, specie quella di stampo politico, e quella legata all’uso di alcornol e droghe, sono purtroppo lungi dall’essere debellate), ma a Stoccolma, a Oslo, a Coopenaghen e dintorni, è impensabile che chi ha amministrato per meno di 2 anni le ferrovie se ne vada con una buonuscita di 5-6 o 7 milioni di euro e chi è alla guida della compagnia aerea di bandiera percepisca 8 mila euro al giorno o giù di lì. È impensabile che codesti compensi vengano corrisposti a manager che hanno lasciato le aziende loro affidate in condizioni molto peggiori di quelle in cui le avevano trovate all’inizio del loro mandato.
Ma soprattutto è inimmaginabile che queste stesse persone e i politici che hanno avuto la sciagurata idea di piazzarle su certe poltrone, continuino, anche dopo aver provocato disastri finanziari dell’ordine di miliardi di euro, a predicare in nome della stabilità, della competitività, dello sviluppo, in nome dell’Europa e ad esigere altri tagli, altro rigore, altre tasse, altri scempi ambientali (Tav, Ponte sullo Stretto, ecc…).
In Svezia la pressione fiscale è, non da ora, una delle più elevate al mondo, ma gli svedesi le imposte le hanno sempre pagate volentieri, perché sono sempre servite ad assicurare servizi di qualità e una lotta efficace contro la povertà, contro la precarietà, contro il disagio, contro l’esclusione sociale, contro la sperequazione retributiva.
In Italia e nel resto dell’area euro possiamo dire la stessa cosa?

C. E. Pace (Pesaro)

Pace