Malattie dimenticate (7): la febbre di Rift Valley
Il 2006 si è chiuso con una epidemia in Kenya della febbre di Rift Valley, che nella sia pur rara forma emorragica uccide un paziente su due.
I numeri che arrivano dal Kenya, dalla fine del 2006, si inseguono, giorno dopo giorno: 12 casi e 11 morti, 32 e 19, 220 e 82. Un aggioamento continuo in salita. Al momento della scrittura di questo articolo si parla di circa 250 persone infettate e oltre 90 morti, ma il bilancio non è ancora definitivo.
Il responsabile della strage silenziosa, che a dicembre ha iniziato a mietere vittime nel paese, è la febbre di Rift Valley, infezione virale che appartiene principalmente al mondo degli animali domestici (bovini, pecore, capre, cammelli), causandone la morte e portando con sé gravi perdite economiche.
Ma è un’infezione che può essere trasmessa anche all’uomo, con i risultati sopra riportati.
Rara e poco conosciuta
La febbre di Rift Valley è una malattia di origine virale non molto nota e rara. In genere, il sospetto sulla sua presenza nel bestiame scatta di fronte a un aumento non spiegato del numero di aborti spontanei fra gli animali.
La prima volta della febbre di Rift Valley risale a tre quarti di secolo fa. Nel 1930, infatti, è stato isolato per la prima volta il virus responsabile dell’infezione in Kenya.
A seguito di un’epidemia scoppiata fra le pecore di una fattoria nella Rift Valley, erano state fatte analisi che hanno poi portato all’identificazione del virus. Da allora sono state segnalate diverse epidemie nella regione subsahariana e nel Nord Africa, di cui quella maggiormente ricordata risale al 1997-98, sempre in Kenya e nella vicina Somalia (vedi il riquadro).
Risale al 2000 invece la prima segnalazione della malattia, con casi di infezione e decine di morti, in paesi non africani, e più precisamente in Yemen e Arabia Saudita, a seguito dei quali, secondo quanto riportato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), è aumentato il rischio di una possibile espansione dell’infezione in altre zone dell’Asia e dell’Europa.
Nascosta per anni
Il passaggio del virus responsabile della malattia agli uomini avviene principalmente attraverso il contatto con sangue o altri fluidi od organi provenienti da animali malati, come pure viene considerato a rischio il consumo di latte crudo. Inoltre, sembra che il virus possa essere trasmesso tramite la puntura di una zanzara, la zanzara aedes.
In particolare, il collegamento fra epidemie di febbre di Rift Valley e precedenti allagamenti nelle zone interessate passa proprio attraverso questo insetto e i casi nel bestiame vengono in genere osservati negli anni in cui le piogge sono particolarmente abbondanti e vi sono inondazioni.
La zanzara aedes, infatti, prende l’infezione dal bestiame e la trasmette alle sue uova. Le uova infette vengono deposte lungo i corsi dei fiumi, dove possono restare per lunghi periodi, anche diversi anni, in ambiente asciutto, finché, a seguito appunto di abbondanti piogge e inondazioni, non vengono sommerse. Una volta sotto l’acqua, si schiudono dando origine a nuove zanzare infette che, ad anni di distanza dunque, propagano nuovamente il virus, infettando animali e uomini.
Questo circolo porta al mantenimento dell’infezione in natura nel tempo e a un continuo passaggio del virus: zanzare aedes e altre specie non infette, che si nutrono da animali malati con il virus nel circolo sanguigno, si infettano amplificando e mantenendo la diffusione della malattia.
Simile all’influenza, ma non sempre
Nell’uomo, il periodo di incubazione, cioè l’intervallo di tempo tra l’infezione e la comparsa dei primi disturbi, può variare da due a sei giorni. Nella maggior parte dei casi le manifestazioni della malattia sono lievi, con sintomi simili a quelli dell’influenza: febbre improvvisa, mal di testa, dolori muscolari e alla schiena; talvolta possono esserci anche disturbi che fanno pensare alla meningite, come rigidità al collo, luce fastidiosa per gli occhi (fotofobia) e vomito. Il decorso della malattia si risolve in genere nell’arco di una settimana.
Una piccola parte dei pazienti, tuttavia, può avere disturbi molto più gravi, sviluppando tre tipi di complicazioni: malattia agli occhi (0,5-2% dei casi), meningoencefalite o febbre emorragica (meno dell’1% dei casi).
Da una a tre settimane dopo la comparsa dei primi sintomi, nel primo caso si verificano lesioni alla retina, che possono portare a danni permanenti della vista, mentre nel secondo vi sono manifestazioni neurologiche, se si tratta di meningoencefalite; per entrambe le complicazioni è però rara la morte del paziente.
Non altrettanto rara invece in caso di febbre emorragica: due o quattro giorni dopo l’esordio della malattia, si manifesta una grave forma epatica, con ittero ed emorragie da tutti gli orifizi (come vomito e feci con sangue, chiazze purpuree della pelle per sanguinamenti, sangue dalle gengive). Muore un paziente su due con la forma emorragica (50%), a fronte di una mortalità globale della febbre di Rift Valley che, pur variando fra le diverse epidemie, generalmente non supera l’1%.
Secondo quanto riportato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), nella maggior parte dei casi, in cui le manifestazioni dell’infezione sono lievi e di breve durata, non sono necessarie terapie specifiche, mentre i pazienti più gravi sono seguiti con terapie generali di supporto.
Nell’ambito della prevenzione dell’infezione e delle epidemie rientrano programmi di vaccinazione del bestiame (non vi sono al momento in commercio vaccini per l’uomo), misure di protezione nella gestione di casi e materiale infetto e nei confronti della puntura di zanzare, possibili portatrici della malattia.
In Kenya dopo le inondazioni
In Kenya, i casi di febbre di Rift Valley nelle zone nordorientali del paese, sono stati preceduti anche questa volta da inondazioni, che hanno portato alla nascita di zanzare portatrici del virus da uova infette e a un nuovo propagarsi della malattia.
È difficile avere un quadro preciso della situazione, con conteggi esatti sulla diffusione dell’attuale epidemia: la popolazione a rischio vive in una zona di grandi dimensioni, secondo quanto riportato dall’Organizzazione non governativa (Ong) Medici senza frontiere (Msf), difficile da raggiungere via terra proprio a causa delle inondazioni.
È dunque possibile che le persone infettate, che abitano in fattorie isolate, siano molte di più: secondo Msf potrebbero essere 500 mila i soggetti a rischio e i casi finora identificati potrebbero rappresentare solo una minima parte degli infettati.
Un ulteriore ostacolo a una registrazione corretta dei malati, e quindi a un loro trattamento e contenimento dell’epidemia, è dato, sempre secondo Msf, dalla paura della popolazione nei confronti della febbre di Rift Valley: visto l’alto numero di morti nelle forme gravi, molti pensano non vi sia beneficio nell’affrontare lunghi viaggi per raggiungere i centri di salute, e non vengono quindi visitati e segnalati.
Epidemie del passato
Nel 1997 si è verificata un’importante epidemia di febbre di Rift Valley in Kenya e in Somalia. Nel mese di dicembre, dopo le abbondanti piogge registrate in ottobre, analogamente a quanto accaduto in quest’ultima epidemia, vennero segnalati nei due paesi numerosi decessi fra gli uomini e un’alta percentuale di aborti spontanei e morti per emorragie fra gli animali domestici.
Indagini dell’Organizzazione mondiale della sanità portarono alla conferma del virus della febbre di Rift Valley quale responsabile dell’epidemia, che nel solo Kenya infettò 27.500 persone e costò la vita a 170.
I primi casi di febbre di Rift Valley segnalati al di fuori del continente africano risalgono invece a circa tre anni dopo, nel settembre del 2000 nella penisola arabica, in Yemen e in Arabia Saudita. Nel primo il bilancio finale fu di 1.328 casi fra cui 166 morti, mentre in Arabia Saudita vi furono 124 morti su 882 persone infettate.
Fonti
• Centers for Disease Control and Prevention:
www.cdc.gov/ncidod/dvrd/spb/mnpages/dispages/rvf.htm
• Medici senza frontiere
www.msf.it/msfinforma/news/08012007.shtml
• Organizzazione mondiale della sanità:
www.who.int/mediacentre/factsheets/fs207/en
www.who.int/csr/disease/riftvalleyfev/countrysupport/en
Valeria Confalonieri