Conferenza internazionale per la regione dei Grandi laghi
Burundi, ottobre 1993. Poi Rwanda e ancora le guerre del Congo. Conflitti che hanno coinvolto decine di stati e fatto milioni di vittime. Crocevia di interessi minerari, traffico di armi e milizie mercenarie. Area di frizione tra influenze (straniere) linguistiche. L’instabilità nella regione era diventata endemica. Oggi con un patto a 360° i capi di stato africani cercano di voltare pagina.
Un importante patto sulla sicurezza, stabilità e sviluppo della regione dei Grandi laghi, firmato da otto capi di stato e di governo. È il risultato del secondo summit della Conferenza internazionale per la regione dei Grandi laghi, svoltasi a Nairobi dal 13 al 16 di dicembre scorso. Anche l’Unione Africana ha partecipato con il presidente della Commissione, Alpha Omar Konaré, mentre era presente il rappresentante speciale delle Nazioni Unite per la regione dei Grandi laghi, Ibrahima Fall e quello dell’Unione europea.
È il secondo vertice ai massimi livelli organizzato per questo scopo. I responsabili sono finalmente giunti ad un accordo che, se messo in pratica, può portare ad una convivenza politica, sociale, economica e un completo accordo sul come raggiungere la meta prefissa.
Un po’ di storia
Con due risoluzioni nel 2000 le Nazioni Unite avevano chiesto una Conferenza internazionale su pace, sicurezza, democrazia e sviluppo nei Grandi laghi. Regione, dal 1993, devastata dai conflitti (Burundi, Rwanda e infine Congo). I paesi chiamati a partecipare furono undici, a causa delle implicazioni inteazionali che avevano assunto le guerre in questa regione: oltre a Burundi, Rwanda, Congo, Uganda, Kenya e Tanzania, anche Angola, Sudan, Repubblica del Congo e Repubblica Centroafricana e Zambia. Altri sette i paesi «co-optati»: Botswana, Egitto, Etiopia, Malawi, Mozambico, Namibia e Zimbabwe. I primi incontri si erano svolti nel 2003 e il primo summit a Dar es Salaam, capitale della Tanzania, nel novembre 2004, dopo 4 anni di lavoro diplomatico.
Incidenti collaterali
Purtroppo il giorno prima della firma dei capi di governo per l’approvazione del documento finale, in Kenya si è verificata nel distretto dei Turkana un’ invasione di banditi provenienti dal distretto West Pokot, sul confine con l’ Uganda, in cui sono state massacrate 19 persone, oltre 6.500 capi di bestiame rubati, case e capanne distrutte. I banditi si sono divisi in due gruppi: uno per rubare il bestiame e condurlo nel distretto West Pokot, e l’altro difendeva i ladri a colpi di Kalashnikov. Più di venti abitanti del villaggio di Lorengipi sono in cura in diversi ospedali del distretto dei Turkana, alcuni in serie condizioni. Per un momento è sembrato che tutto dovesse crollare, che questo attentato brutale dovesse porre termine alla Conferenza, senza plausibili conclusioni, ma il presidente del Kenya, Mwai Kibaki, ha detto che se i banditi credono di fermare il progresso della Conferenza con le loro razzie e uccisioni, hanno fatto i conti sbagliati. «Nulla – ha affermato Kibaki – fermerà questo processo di sicurezza, di pace, di progresso».
Oltre al presidente del Kenya gli altri capi di stato presenti erano: Jakaya Mrisko Kilwestern della Tanzania, Levy Mwanawasa dello Zambia, Yoweri Museveni dell’Uganda, Pierre Nkurunzia del Burundi, Joseph Kabila della Repubblica democratica del Congo, Beard Makuza, primo Ministro del Rwanda. Il rappresentante delle Nazioni Unite, a nome del Segretario Generale uscente Kofi Annan, ha aperto la conferenza dicendo che «la Regione dei Grandi laghi è stata vittima delle più brutali guerre civili del continente», e si è augurato che «tutti gli stati sentano questo problema come il proprio problema. Voi avete definito le priorità di questo impegno, e voi dovete trovare vie e mezzi per lavorare assieme e risolverlo». Nel messaggio Kofi Annan ha detto: «Questo accordo non è solo una visione, è un programma. Milioni di persone – donne, giovani, rifugiati, sfollati – stanno guardandovi e guardandoci e aspettano benefici concreti. Richiamo i paesi della regione a continuare a mostrare padronanza del processo».
Di cosa si è parlato
L’interesse dei capi di stato era rivolto a quattro aree di vita dei loro paesi e delle relazioni con i paesi confinanti. Si è discusso di pace e sicurezza, democrazia e buongoverno, sviluppo economico e integrazione regionale, questioni umanitarie e sociali. Nella discussione su queste quattro aree c’è stata molta correttezza e anche molta onestà. Nonostante qualche momento critico come quando i presidenti Museveni e Kabila si sono scambiati forti accuse e condanne per il loro operato nel Congo. Museveni ha accusato alcuni governi, soprattutto quello di Kabila, di dare ospitalità e di difendere «gruppi ribelli». «Il problema di nazioni che danno ospitalità e si schierano con le milizie, deve essere discusso ora nel modo più categorico». Ha proposto un emendamento al testo del decreto finale, in cui si dichiara che «qualsiasi stato che dà ospitalità a ribelli, sia trattato come tale».
Servono soldi
Un altro punto di divergenza è stato il sostegno finanziario necessario per tutto ciò che si approva. Alcuni hanno chiesto che gli stati stessi siano totalmente obbligati a finanziare tutte le iniziative approvate, altri invece sostengono che questo sarebbe impossibile senza aiuti estei. Il presidente della Tanzania è riuscito ad armonizzare le due parti dicendo: «Il fondo monetario richiede una enorme quantità di capitali. Nutro la speranza che noi saremo i primi a contribuire sostanzialmente al fondo, anche come segno di determinazione politica. Ma, riconoscendo i nostri limiti finanziari, dobbiamo anche chiedere aiuti alle nazioni e agenzie che considerano importante questo passo, determinante per la pace e il progresso nella nostra regione».
Gli stati dei Grandi laghi s’impegnano a dar vita a un centro che promuova la democrazia nella regione e ristori la legge dell’ordine. Dovrà pure controllare che il patto approvato dai capi di stato, sia eseguito da tutti gli stati e in tutti i suoi particolari. Dovrà preparare programmi di educazione alla democrazia e alla partecipazione alla vita democratica dei loro paesi. Un’altra responsabilità del centro è quella di aiutare i governi a risolvere pacificamente le loro divergenze.
Un fondo monetario di 225 milioni di dollari è stato approvato. Lo scopo è di promuovere lo sviluppo, l’integrazione economica e ricostruire le istituzioni distrutte da anni di guerre, specialmente nel Burundi, Rwanda e Repubblica Democratica del Congo.
Tutti gli stati presenti s’impegnano a disarmare e ad espellere i gruppi di ribelli che ancora si nascondono in certe zone, e operano contro altri stati limitrofi. Il testo è molto forte e impegnativo. Dice: «Gli stati membri sono d’accordo che qualsiasi attacco contro uno o più di loro dovrebbe essere considerato come un attacco contro tutti loro. Se questo succede, ogni membro, nell’ambito della difesa individuale e collettiva, assisterà gli stati attaccati».
Gli stati del Kenya, Uganda e Sudan s’impegnano a disarmare i gruppi di pastori e nomadi delle loro aree semi-deserte.
Altri temi considerati anche se brevemente, sono stati la situazione delle donne e delle ingiustizie generalizzate e l’epidemia di Aids.
I capi di stato sono determinati a rispondere in modo responsabile per proteggere le popolazioni da genocidi, crimini di guerra, la decimazione di etnie, crimini contro l’umanità e severe violazioni dei diritti umani commessi da, o entro uno degli stati che hanno approvato l’accordo.
«La regione dei Grandi laghi ha problemi di sfollati, violenza sessuale, aids, e altre malattie sociali» ha ricordato il presidente Kibaki. Un protocollo del patto rende obbligatorio agli stati di proteggere, aiutare e cercare soluzione per gli sfollati, stimati a 9,5 milioni nella regione.
I rappresentanti della chiesa cattolica, presenti alla Conferenza, sono stati molto soddisfatti del patto approvato per la sicurezza, stabilità e sviluppo nella regione dei Grandi laghi. Secondo i vescovi presenti, l’iniziativa presa dai capi di Stato «offre una possibilità di iniziare un processo di riconciliazione che la chiesa pienamente approva». I vescovi hanno anche fatto appello alle popolazioni che nel passato hanno sperimentato guerre, ingiustizie, razzie, a «perdonare e riconciliarsi gli uni con gli altri, nell’interesse di una pacifica convivenza».
Dopo la firma la parte più difficile
Al termine del summit, tutti i capi di stato si sono ritrovati unanimi nell’ammettere che il patto è stato un passo decisivo per la pace, il benessere e la cooperazione nella regione dei Grandi laghi. Tutto vero sulla carta ma le sfide restano enormi. Quella della messa in opera del patto, il Kenya lo sta già violando, negando l’entrata dei rifugiati somali; la sfida del contributo delle nazioni ricche al fondo per le realizzazioni; la sfida della «moralità» nella gestione di quei fondi.
«Penso sia possibile chiudere questo triste capitolo della storia della nostra regione – ha dichiarato il presidente Kikwestern – un capitolo caratterizzato da conflitti, insicurezza, instabilità politica e perdita di opportunità economiche».
Antonio Bellagamba