Piccoli miracoli
I camilliani in lotta contro l’Aids nella capitale peruviana
Il Perù è il primo paese dell’America Latina raggiunto dai camilliani all’inizio del 1700,
per offrire la loro assistenza ai malati più poveri.
Un bel numero di giovani stanno rispondendo all’appello del carisma camilliano.
Nel 1995, a Lima, hanno dato vita all’Hogar San Camilo, dove si prendono cura dei sieropositivi
e malati di aids e organizzano vari programmi
di prevenzione a favore di famiglie, madri sole, bambini dei rioni più disastrati e abbandonati.
Vedi Lima solo dopo aver visto la niebla (nebbia). Non la nebbia
del Nord Italia, fitta, carica di pioggia, che va e viene a seconda del
peso dell’atmosfera. Quella di Lima è qualcosa che non se ne va via
mai: rimane lassù, sospesa sulla città a 30 metri d’altezza, si
traveste da cielo plumbeo, immobile e persino un po’ triste. È chiamata
«garúa».
A Lima non piove quasi mai. Gli abitanti, soprattutto, quelli più
anziani si ricordano la data precisa delle ultime gocce d’acqua cadute
sulla città. Sembra che la niebla abbia la funzione di tappo al
rovescio: non permettendo al cielo di arrivare alla terra, alle
precipitazioni sulle case. E che case: tolte quelle solide dei
quartieri residenziali e i palazzi storici sopravvissuti all’incuria,
la gran parte sono baracche, sorte come funghi qualche decennio or sono
e tuttora onnipresenti. Dalle pareti al tetto sono fatte di fango,
paglia e qualche legnetto; visti dall’alto appaiono come dei piccoli
quadrati marroni, sembrano una miriade di dadi gettati nel vuoto.
Qui vivono decine di migliaia di persone, di cui un buon numero fuori
Lima, in quei pueblos jovenes nati dal nulla e destinati allo stesso
nulla, poiché carenti delle strutture base: acqua, luce, fogne, gas.
Lima è una metropoli di 7 milioni di abitanti, di cui quasi il 50% vive
sotto la soglia della povertà e le baracche sono l’unico bene materiale
che possiede. Ma anche questo è un bene a rischio. Circola, infatti, un
timore nelle conversazioni dei limeños, i cittadini della capitale
peruviana: se arriva un potente nubifragio, chi può negare che tutte
quelle dimore possano non reggere l’urto e sciogliersi in un fiume
marrone devastante? Per ora, nei rarissimi giorni di pioggia, la realtà
parla di qualche disagio in più, insignificante nella vita di stenti di
questa gente ridotta in miseria.
Come altrove, anche nelle baracche di Lima povertà e malattia vanno di
pari passo. Sporcizia e malnutrizione rendono la vita difficile. Ma da
qualche tempo c’è ben altro che si insinua da queste parti: si chiama
aids, e sta proliferando, soprattutto fra i giovani.
All’inizio la diffusione della malattia era rimasta un segreto che
doveva rimanere «custodito» nella baracca. Solo negli ultimi anni le
cose sono cambiate. Più assistenza e prevenzione hanno portato più
controllo e qualche piccolo miracolo.
Uno dei più significativi di questi miracoli lo si trova immergendosi
nel centro storico di Lima, in un quartiere popolare dal nome
ingannevole di Barrios Altos (quartieri alti). Qui di turisti ne
passano, ma è un mordi e fuggi; vedono le cose importanti: la chiesa di
San Francesco, con le sue enormi catacombe, Plaza Mayor, la piazza
principale in cui si trova il Parlamento.
Proprio a due passi da Plaza Mayor, dal 1995 esiste un luogo conosciuto
come Hogar San Camilo, centro di accoglienza per le persone
sieropositive. Qui pochi uomini, con il loro intenso lavoro,
ridanno speranza a decine di famiglie che con il «sida» (versione
spagnola di aids) combattono una dura battaglia quotidiana.
Questi uomini sono preti dell’ordine di San Camillo de Lellis. La loro
prima presenza nel cuore di Lima data metà secolo xviii, quando
aprirono una casa di formazione vocazionale nella parte nord del
Convento de la buena muerte, ancora oggi attiguo all’Hogar San Camilo.
Nell’Hogar, camilliani italiani, peruviani e di altre nazioni accolgono
in particolare le madri che hanno contratto la malattia con l’obiettivo
che i loro figli nascano sani. Un miracolo? Di certo un grande
traguardo raggiunto, a livello scientifico e, quindi, umano.
Un’innovazione che permette di salvare migliaia di vite.
Lo sa bene padre Zeffirino Montin, l’anima fondatrice dell’Hogar, che,
proprio per la sua attività missionaria, è stato nominato un paio di
anni fa Cavaliere della Repubblica italiana. «Siamo partiti con pochi
mezzi, ma tanta speranza, unita alla voglia di fare – dice padre
Zeffirino -. Oggi contiamo sempre di più; lo si capisce dal crescente
numero di persone che arrivano fin qui da tutte le zone disagiate di
Lima».
I numeri la dicono tutta sull’autorevolezza che il Centro ha acquisito
negli 11 anni di attività: 400 persone ospitate, almeno 6 mila
beneficiari diretti delle cure contro la malattia e 20 mila beneficiari
indiretti. Alle medicine, i gestori dell’Hogar alternano il latte
mateizzato, il vero antidoto che salva migliaia di bambini
dall’infezione sicura. «Oltre a distribuirlo all’Hogar, con due gruppi
di medici, operatori e volontari, andiamo a portarlo direttamente nelle
case dei malati, soprattutto quelli più poveri» continua padre
Zeffirino.
E ccoci di ritorno nelle baracche, quindi. Qui, nascosti tra i vicoli e
le strutture fatiscenti di quartieri come Callao, Ventanilla e tanti
altri, si addentrano i camilliani e i loro aiutanti. Le visite sono
sempre organizzate prima. Alla gente del posto il camioncino bianco è
sempre più familiare e, dove prima c’era diffidenza, ora c’è un
sorriso, anche se malato. Come quello a tre denti di Ana, 31 anni, ma
che ne dimostra almeno il doppio per lo stato avanzato della malattia,
e i sorrisi dei suoi figli Nina e Andres, 3 e 6 anni, che giocano con
alcune scatolette nella piccola aia di terriccio.
«Io so di non avere molta vita davanti, ma ai miei figli vorrei dare
qualcosa di più – dice Ana -; ma mi ritengo già fortunata: loro non
hanno preso la malattia grazie alle cure, già questo è un piccolo
miracolo».
Come Ana, tante altre donne hanno ripreso la speranza dopo aver
conosciuto l’Hogar. Oggi anche lo stato peruviano, dopo anni di totale
assenza, riconosce il lavoro dei camilliani e collabora ai loro
progetti, soprattutto dal punto di vista economico. Dall’inizio del
2006 molti bambini del Centro hanno anche una famiglia (italiana) in
più, grazie all’adozione a distanza, sostenuta dall’organizzazione non
governativa Coopi (Cooperazione internazionale), che ha sede a Milano e
una storia di 40 anni nella cooperazione.
M a la presenza dei padri ispirati a san Camillo, patrono dei malati e
dei dottori, vive anche di altre splendide realtà. Una di queste è il
seminario, sorto nel 1980 dopo l’arrivo di padre Giuseppe Villa
dall’Italia. Dagli 8 seminaristi peruviani con i quali è iniziata la
scuola vocazionale, oggi si arriva quasi a 40, molti dei quali
provengono dalle terre amazzoniche, nel nord del paese.
Oggi a dirigere la scuola del seminario è padre Camillo Scapin,
sacerdote veneto, da più di 20 anni a Lima. «Ogni anno accogliamo
nuovi studenti, mentre altri finiscono gli studi e sono a un passo
dall’ordinazione – dice padre Camillo -. Anche qui le vocazioni sono
diminuite, ma quelli che arrivano sono convinti, raramente lasciano gli
studi durante il cammino di formazione».
Gli alunni del seminario, oltre agli studi teorici, seguono la
vocazione camilliana fin da subito, entrando come volontari nelle
strutture ospedaliere della città per portare assistenza e spiritualità
ai malati. Alcuni di loro, terminati gli anni da seminaristi, ricevono
la chiamata per lavorare in altre nazioni. Oggi i camilliani sono uno
degli ordini più presenti nel mondo: offrono il loro servizio in ben 35
paesi.
Padre Camillo, oltre all’insegnamento, passa molto tempo negli ospedali
della capitale e nelle strade. Con lui può capitarti di fare un giro
nella Lima «quotidiana»: i mercati vivacissimi e pieni di frutta
esotica mai vista in Europa, le scuole blu costruite qualche anno fa
nei quartieri poveri dal presidente-ladròn Fujimori a caccia di voti;
oppure, nella Lima storica: le catacombe, la casa di Santa Rosa da
Lima, prima santa del continente americano di cui i peruviani sono
devotissimi, il monte San Cristobal, che domina tutta la città e,
quando la niebla lo consente, permette di vedere il mare, posto alla
fine dei quartieri ricchi.
«Ma anche qui da noi c’è qualcosa di particolare» svela padre Camillo,
che apre le porte della Iglesia de la Buena Muerte, chiesa del convento
spesso chiusa al pubblico per salvaguardae i tesori storici, tra cui
una serie di quadri inediti del Veneziano. «La chiesa è comunque aperta
a chiunque voglia pregare – continua il padre -. Lasciarla sempre
aperta in questa zona della città è pericoloso».
Fuori dal convento, infatti, un vociare continuo e macchine che passano
da tutte le parti fanno capire che Barrios Altos è un quartiere molto
frenetico, dove ognuno vende quel poco che ha, e chi non ce l’ha vive
di espedienti.
I problemi sono gli stessi di altre grandi metropoli, ma qui a Lima la
forbice economica è in continuo aumento ed è sottolineato
«geograficamente»: l’indigente non incontra quasi mai il ricco e
viceversa, poiché questi vive nei quartieri lussureggianti che
finiscono sul mare come Miraflores o quelli delle grandi ville come Los
Olivos, dove le strade sono perfette e i marciapiedi sono puliti. Unico
punto di contatto, le entrate delle tangenziali. Ma è un attimo, basta
un rombo e una chiusura di finestrino, e via.
Dall’altra parte, sulla strada, la vita è ardua. Nonostante il clima
temperato, polvere e smog fanno ammalare migliaia di persone ogni
giorno. Il peruviano in condizioni di povertà, come del resto molte
altre popolazioni sudamericane, è tenace e sorride sempre alla vita,
anche quando le cose non vanno granché bene. Spesso nasconde i
problemi, ancor più spesso (e qui si parla degli uomini) si attacca
alla bottiglia, primo passo per la rovina di sé e della famiglia.
Non che manchino le istituzioni, a Lima e in Perù: dal 2001 a questa
parte, ovvero dopo gli scandali di corruzione legati al dittatore
Alberto Fujimori e al suo braccio destro Vladimiro Montesinos, la
situazione politica nel paese sembra aver cambiato rotta. Il presidente
Alejandro Toledo, seppur mai troppo indipendente dal governo degli
Stati Uniti, ha avviato nuove riforme e cercato di farsi ricordare come
una figura «pulita». Ha aperto relazioni con altri paesi sudamericani e
asiatici, pur manifestando qualche rancore, soprattutto verso i vicini
cileni, con i quali, dalla fine della guerra del Pacifico (1884), il
Perù non ha mai avuto un rapporto veramente amichevole.
Un’altra svolta è avvenuta con le elezioni di aprile-maggio 2006, nelle
quali, a scapito di una nuova figura politica, rappresentata dal
militare nazionalista e indigeno Ollanta Humala, ha preso il potere il
socialdemocratico Alan Garcia, che dice di essere al governo per
portare il Perù ad avere più peso internazionale e ridurre
drasticamente le differenze intee.
Ma ce la farà davvero? «I detrattori sono tanti, ma un po’ di speranza
non guasta» dice padre Camillo, profondo conoscitore della politica
peruviana.
Di certo una sorta di redistribuzione delle ricchezze non farebbe male,
soprattutto considerando un altro fattore importante di sviluppo: il
turismo. Il Perù è la culla degli Inca; a Macchu Picchu e alla città
sacra di Cuzco arrivano centinaia di migliaia di visitatori ogni anno.
Al sud ci sono splendidi scenari naturali, il canyon del Colca, le
misteriose linee di Nazca, la splendida città bianca di Arequipa, la
penisola desertica di Paracas. Al nord, l’immensa foresta amazzonica.
Il potenziare questo settore e il dividere equamente gli introiti senza
affidarli a società private, che «depredano» il mercato, come accade
per il monopolio ferroviario che PeruRail ha per Macchu Picchu,
porterebbe nuova linfa vitale ai peruviani. Un turismo, naturalmente,
che si attui nel rispetto dei luoghi e delle tradizioni e alla ricerca
del Perù nascosto, non solo quello degli abbaglianti depliant delle
agenzie di viaggio.
Si potrebbe cominciare proprio dalla «brutta» Lima, che poi, sotto la
sua niebla, così brutta non è. E perché no, passare da Barrios Altos,
nei pressi del Convento de la Buena Muerte, a visitare le opere dei
camilliani. Magari fermandosi qualche settimana, qualche mese, per dare
una mano. «Abbiamo sempre bisogno di persone con tanta buona volontà»,
suggerisce con un sorriso padre Zeffirino.
Daniele Biella