È uno dei tanti paesi latinoamericani dove indigeno è sinonimo di povertà
e ingiustizia. Come ci racconta una leader dell’organizzazione Copinh,
Berta Caceres, donna indigena cui non manca né il coraggio né la forza
di volontà.
Se pensavate che in Centroamerica la violazione dei diritti umani, come
la tortura, i sequestri e gli assassini politici, fossero cose degli
anni ’80, l’Honduras di oggi vi farà ricredere.
Il paese si trova al centro di un moderno campo di battaglia, che si
crea quando due elementi attuali come un paese povero e la
globalizzazione si incontrano. Come risultato, l’Honduras si trova da
un lato minacciato dalle trasnazionali (con concessioni minerarie in 17
dei suoi 18 dipartimenti e con royalties che toccano addirittura l’1%),
dall’altro, dove le risorse minerarie non ci sono, prigioniero degli
ingranaggi della modea schiavitù, con la diffusione delle maquilas,
delle piantagioni di banane e di presunti progetti di ecoturismo. E,
per chiudere questo «circolo virtuoso dello sfruttamento», la
contaminazione ambientale, l’invasione trasgenica e il saccheggio della
biodiversità (fenomeno conosciuto come biopirateria).
Al centro di questa scena, si trovano gli indigeni honduregni (il 15%
della popolazione), che in questo paese sono il settore della società
più emarginato. Essi affrontano la discriminazione razziale della
maggioranza e l’espropriazione delle loro terre, che reclamano come
proprie da generazioni in dispute infinite con latifondisti e più
recentemente con imprese di legname, nazionali e multinazionali, che
sfruttano e saccheggiano le foreste nazionali, che (ancora) coprono
l’80% del territorio.
Berta Caceres, indigena di etnia lenca, leader del «Consiglio civico
delle organizzazioni popolari dell’Honduras»
(www.laneta.apc.org/copinh/), ci racconta un po’ di questa
organizzazione e della situazione attuale dei popoli indigeni
honduregni: «El Copinh è una organizzazione che ha 13 anni di lotta a
fianco delle comunità indigene per la difesa della nostra terra. Con
l’aiuto del trattato Oil n.169 sui popoli indigeni, siamo riusciti ad
ottenere la titolarità di circa 1.500 ettari di terra, ma attualmente è
in sospeso un’altra titolarità per 2.000 ettari. La titolarità è uno
dei motivi della nostra lotta di resistenza, perché l’incertezza sulla
proprietà di questa terra sta alimentando la cupidigia di molti
latifondisti – che in precedenza erano militari, poliziotti o parte del
potere politico -, i quali vogliono espellere le comunità indigene
dalle terre per poi poter saccheggiare le foreste e vendere tutto il
vendibile del nostro patrimonio».
«La realtà honduregna – continua Berta – è una realtà multietnica con 7
popoli indigeni: lencas, tolupanes, tawacas, garifunas, miskitos, mayas
choltis e, inoltre, i neri di lingua inglese. In questo momento stiamo
affrontando delle politiche neoliberiste che in Honduras si
concretizzano nella spogliazione dei nostri territori di
proprietà comune, della nostra cultura e delle conoscenze
ancestrali. Questa spogliazione viene attuata attraverso i grandi
progetti come il Piano Puebla-Panamà che punta al saccheggio delle
nostre risorse forestali, biogenetiche ed acquatiche. Questi progetti
sono accompagnati da una sistematica violazione dei diritti umani dei
popoli indigeni. In Honduras esiste un elenco di più di 50 leaders
indigeni e neri assassinati negli ultimi 2 decenni, cosa che è rimasta
semplicemente impunita. Infatti, attualmente nessuno si trova in
carcere per l’assassinio di indigeni».
«La nostra è una realtà sconosciuta – continua Berta Caceres -. Noi
abbiamo dozzine di compagni incarcerati in maniera illegale,
violentati, resi storpi per la vita, uomini che hanno perso gli occhi
per le torture, compagne che hanno abortito a causa della violenza di
poliziotti e militari. Nel 2006 sono stati assassinati 2 giovani
garifunas per ordine di multimilionari honduregni che sono coinvolti
nel megaprogetto di Bahia de Tela, nel quale tra l’altro ci sono anche
interessi italiani ed europei. Ma pure questo assassinio è rimasto
impunito».
«Anche se viviamo controllati, con il nostro telefono intercettato,
continueremo a chiedere il rispetto dei nostri diritti e non importa se
ciò ci costerà la vita. Noi sappiamo perfettamente che stiamo
affrontando dei poteri forti, ma questo non significa che rimarremo con
le braccia conserte, aspettando che finiscano di ucciderci».
Il Glossario di «Radio di carta»
• Piano Puebla-Panamà: è il progetto che
prevede l’integrazione tra 9 stati messicani (Puebla) e gli stati
dell’America centrale fino a Panamà; lanciato nel 2001 dall’ex
presidente messicano Vicente Fox, su istanza di Washington.
• Royalty / regalia: è il pagamento (di entità variabile) dovuto dall’utilizzatore al proprietario (titolare) di un diritto.
• Trattato Oil/Oit n.169: è il Trattato
sui popoli indigeni e tribali dell’«Organizzazione internazionale del
lavoro» (Oil/Oit); sottoscritto nel 1989, costituisce una
fondamentale evoluzione del trattato n.107 del 1957.
José Carlos Bonino