TAV – inchiesta Parola di economista
TAV – approfondimento economico
TANTO PAGA LO STATO, CIOÈ I CITTADINI
Le "grandi opere" servono alla propaganda e vivono di propaganda.
Accanto ai presunti benefici ci sono i costi, certi ed enormi.
Chi li paga? Sulla base di un meccanismo tanto complesso quanto ingegnoso ("creativo") a pagare sono sempre e soltanto i cittadini.
Che debbono anche ringraziare…
di Oscar Margaira (*)
Le «grandi opere» sembrano essere vere e proprie «cartine di tornasole» per misurare mediaticamente la grandezza di un paese, la sua supposta capacità economica, tecnica, gettuale e forse perfino «spirituale», quasi si trattasse di un avvicinamento al Supremo, a Dio. Esse servono alla propaganda e vivono di propaganda. Il più delle volte, almeno progettualmente, crescono in simbiosi con l’immaginario collettivo che viene continuamente stordito e sobillato da immagini virtuali di benefici astratti quali «a Parigi in due ore», «viaggerai dentro le montagne e sotto ai mari a 300 all’ora», oppure, nel caso del Concorde, «arriverai a New York tre ore prima dell’ora in cui sarai partito».
Che ne sarà della Valle dei Celti?
Se realizzare l’Alta velocità/capacità a fianco dell’autostrada per Milano, fino a Settimo Torinese, alle porte di Torino, in territori pianeggianti e relativamente poco abitati, era abbastanza semplice, almeno in teoria (poi si scopriranno viadotti che crollano, traffico in tilt, deviazioni stradali da incubo), attraversare il territorio dell’hinterland torinese ed infilarsi per la prima volta in una stretta valle alpina di origine glaciale bucandone le montagne con gallerie, è tutt’altra faccenda.
Geograficamente la nostra valle è «compressa», stretta tra le montagne con un territorio vincolato già oggi da tre direttrici stradali parallele – l’autostrada e due statali -, un fiume e la linea ferroviaria internazionale Torino-Modane che corrono nella stessa direzione, numerosi torrenti perpendicolari al fiume di cui sono affluenti, due linee elettriche ad alta tensione provenienti dalla Francia, strade minori provinciali e comunali che collegano i 23 comuni valsusini. Sessantacinquemila abitanti, case, capannoni, fattorie, fabbriche, interporti, parcheggi, sparsi, anzi concentrati, nello stretto fondovalle.
Il nostro minuscolo lembo di terra, che vorrebbero colonizzare con nuove quanto inutili grandiose ferrovie, è da sempre «ai confini del regno» (se escludiamo il periodo dei Savoia). Non per nulla proprio qui vivevano i Celti di re Cozio, poi denominati più comunemente «Galli» da Giulio Cesare. In epoca romana, nel mezzo della valle, ma non lontano dalle pendici del monte Musinè (oggi famoso per le sue rocce pericolosamente amiantifere), esisteva una grande area di confine, denominata «Statio ad Fines»: proprio qui finiva il territorio controllato da Roma. Sarà un caso, ma sempre in questa zona, anche oggi, rischia di finire l’impresa delle Fs, Rfi, Tav appoggiata dalle lobby affaristiche dei costruttori e del cemento armato.
Il soggetto-chiave: il «General contractor»
L’introduzione della Legge obiettivo, la 443/2001 e Dl 190/2002, da parte del governo Berlusconi e del suo ministro delle infrastrutture, dà vita a un dinosauro economico chiamato «General contractor», cioè una mega-impresa a cui è affidato dallo stato il compito di decidere tutto: progettazione, affidamenti, appalti, direzione lavori, esecuzione e collaudo. La legge è stata giustificata col fatto che avrebbe «velocizzato gli iter procedurali» delle opere pubbliche, specie di quelle «grandi»: di fatto, ha cambiato radicalmente le regole di progettazione e di approvazione delle stesse.
Ne consegue che la Valutazione di impatto ambientale (Via) è effettuata su un progetto preliminare dell’opera (non più definitivo), ma il parere emesso non è più vincolante come prima: anche se la Commissione Via negasse il parere favorevole, l’opera potrebbe avere comunque inizio.
Dalla legge-delega sulle infrastrutture, la 166/2002, nasce il «Projet financing»: il privato realizza l’opera pubblica con capitale proprio o più spesso bancario (prestito); l’amministrazione pubblica, priva di risorse, per «compensare» il privato costruttore gli fa gestire l’opera permettendogli di ottenee degli introiti, ad esempio incassando un affitto sull’opera costruita, per un certo numero di anni (concessione).
La vera novità è stata, in realtà, la Legge salva-deficit (la 112/2002) che ha permesso la costituzione di due nuove società pubbliche, ma di diritto privato: la Patrimonio Spa e la Infrastrutture Spa. Patrimonio Spa, nelle intenzioni dei «creativi», è un contenitore che permette di «valorizzare i beni dello stato», vendendo quelli disponibili e affittando o cedendo in «concessione» quelli indisponibili. Facendo ciò si sarebbero ottenuti, secondo alcuni esperti, i mezzi economici da dare in garanzia alle banche che avrebbero successivamente concesso i finanziamenti per le Grandi opere all’altra società, la Infrastrutture Spa.
Dunque, il General contractor progetta e costruisce l’opera, ma senza rischi: sa che non dovrà ricavarci i soldi spesi, perché questi sono interamente pagati e garantiti dallo Stato. Non ci si potrà stupire, dunque, se il General contractor spingerà a far durare il più possibile i lavori e a far lievitare al massimo i costi. Inoltre, il General contractor, a differenza del concessionario tradizionale di lavori o servizi pubblici, potrà agire in regime privatistico: potrà affidare i lavori a chi vorrà, anche a trattativa privata, e qualunque cosa faccia non sarà mai perseguibile per corruzione.
I soldi arriveranno in parte dallo stato (40%), per il resto dai «privati». I privati saranno consorzi di banche che, in Project Finance, presteranno il denaro, ovviamente dietro congruo interesse. A questo punto, con quei capitali la società Infrastrutture Spa potrà appaltare i lavori dell’opera ai General contractors con un contratto privatistico.
Lo stato, per anni, dovrà pagare un debito «occulto», che non sarà iscritto in bilancio e non inciderà nel calcolo dei parametri del Patto di stabilità. Alla fine, però, i soldi dovranno essere restituiti agli istituti di credito. E di colpo si aprirà una voragine, capace di affondare l’Italia e i suoi cittadini-contribuenti.
(*) Adattamento da «Adesso o mai più», Edizioni Del Graffio.
Oscar Margaira, vicepresidente di Legambiente Valsusa, abita in valle.
Oscar Margaira