PREVENIRE, CURARE… OVUNQUE
N el mondo, circa 1,7 miliardi di persone non hanno accesso a farmaci salva vita: l’80% di questi malati vive nei paesi poveri. Basterebbe questo dato per far comprendere il sesto obiettivo del millennio: migliorare la salute della popolazione mondiale, intensificando gli sforzi contro le malattie infettive, in particolare Hiv/Aids, tubercolosi e malaria, che tolgono la vita a circa 6 milioni di persone ogni anno. Accanto a questa triade, vi sono poi le malattie «dimenticate»: tripanosomiasi, schistosomiasi, parassitosi intestinali, lebbra, leishmaniosi e altre ancora.
Un intervento sanitario efficace non solo ridurrebbe il numero di morti, ma avrebbe un effetto benefico sull’economia dei paesi più poveri, dove il prezzo pagato è il più alto. Sono malattie che potrebbero essere curate se vi fosse la disponibilità di farmaci, ma anche di strutture e di operatori sanitari.
Il virus dell’Aids
Ormai dagli anni ’80 la Sindrome da immunodeficienza acquisita (Aids) fa parlare di sé, seminando morte e malattia ovunque. Ancora una volta, però, il carico maggiore è sulle spalle delle zone più povere del mondo, dove l’assistenza sanitaria, i programmi di prevenzione e i trattamenti non riescono a contenere l’epidemia.
I numeri parlano chiaro: 3 milioni di morti ogni anno nel mondo, 8 mila al giorno. Tutto questo nonostante le possibilità offerte dai farmaci antiretrovirali: alla fine del 2003 nei paesi in via di sviluppo la terapia era disponibile solo per 400 mila dei 5-6 milioni di persone in stadio avanzato di malattia.
In base ai dati del 2004 (quelli del 2005 non sono ancora disponibili al momento della scrittura di questo articolo), 37 milioni di adulti e 2 milioni di bambini vivono con l’Hiv/Aids: il 96% di questi si trova nei paesi in via di sviluppo e il 64% nell’Africa subsahariana; ma c’è stato anche un milione di nuove infezioni nel Sud e nell’Est dell’Asia.
Sempre nel 2004, dei quasi 5 milioni i nuovi casi registrati, 640 mila erano bambini. Proprio all’infanzia si riferisce il quadro drammatico delineato, alla fine di ottobre del 2005, dall’Unicef (agenzia delle Nazioni Unite per l’infanzia), insieme con l’Unaids (agenzia delle Nazioni Unite per la lotta all’Aids): ogni minuto un bimbo viene infettato dall’Hiv, un altro muore per cause correlabili alla malattia e quattro giovani fra i 15 e i 24 anni diventano sieropositivi.
Le previsioni per il 2010 parlano di 18 milioni di orfani nella sola Africa subsahariana per colpa del virus. Nel frattempo, solo il 5% dei piccoli sieropositivi riceve assistenza medica e meno del 10% degli orfani da Aids ha un sostegno economico. La maggior parte del mezzo milione di bambini che muore per cause correlate alla Sindrome da immunodeficienza acquisita ha preso l’infezione dalla mamma: al momento, meno del 10% delle donne ha accesso a servizi per la prevenzione della trasmissione del virus ai loro figli.
L’impegno per arrestare la diffusione dell’Hiv deve fare i conti anche con ostacoli come la discriminazione e il marchio negativo ancora collegati alla diagnosi di Aids.
In Sudafrica, per esempio, una revisione delle cause di morte fra il 1996 e il 2001 ha mostrato come la percentuale di decessi attribuibile all’Aids sarebbe il triplo di quanto riportato ufficialmente. Secondo i ricercatori responsabili dello studio, gli errori di classificazione delle cause di morte sono collegati allo stigma sociale che questa diagnosi ancora rappresenta nel paese: i pazienti chiedono al medico di non fare parola del loro stato, come pure i familiari in caso di morte, perché molte polizze assicurative sulla vita e sui servizi funerari non coprono se il decesso è per l’Aids.
Altro che scomparsa
La tubercolosi uccide 2 milioni di persone ogni anno (soprattutto fra i 15 e i 45 anni di età) e ne infetta 8 milioni. Il 95% delle infezioni e il 99% dei decessi si verificano nei paesi poveri e la zona più colpita è il Sud-Est dell’Asia. La malattia conclamata non si sviluppa in tutte le persone infettate: il sistema immunitario di difesa dell’organismo può riuscire a tenere a bada il bacillo tubercolare. Ecco perché 2 miliardi di persone, circa un terzo della popolazione mondiale, sono infettati dal bacillo tubercolare, ma solo 8-9 milioni si ammalano: l’infezione si manifesta infatti quando le difese immunitarie si riducono o vengono meno. Ne è un esempio il virus dell’Aids, che indebolisce il sistema immunitario, facilitando il compito del bacillo tubercolare: una persona su tre infettata dall’Hiv si ammala anche di tubercolosi e circa il 13% dei morti per Hiv nel mondo è causato dal bacillo tubercolare.
Le questioni più delicate nell’impegno contro questa malattia infettiva riguardano la comparsa di resistenze ai farmaci finora utilizzati, la contemporanea diffusione dell’Hiv/Aids e la crescita del numero di rifugiati e profughi, che favoriscono la diffusione della tubercolosi.
Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), il numero di nuove infezioni tubercolari è in crescita, ma non la prevalenza (cioè il numero complessivo di casi sulla popolazione generale) e la mortalità: questo perché sta aumentando il numero di pazienti trattati con successo con le terapie a disposizione.
Vi sono, però, casi resistenti alla terapia. Infatti il trattamento necessario per guarire, seppur più breve rispetto a una volta, è ancora lungo (6-8 mesi con controlli giornalieri per i primi due): per questo molti pazienti nei paesi poveri hanno interrotto la cura, portando all’insorgenza di bacilli resistenti ai farmaci. In questi casi si deve passare ad altri schemi terapeutici, più lunghi e con medicine meno efficaci, più costose e con effetti collaterali più gravi.
Da qui l’importanza di ricerche su nuovi trattamenti applicabili nelle diverse realtà sociali in cui la malattia è diffusa. Un esempio di incontro fra le esigenze della terapia e dei malati lo ha dato Annalena Tonelli, missionaria di Forlì, uccisa a Borama (Somaliland) il 5 ottobre del 2003. Annalena ha dedicato la sua vita al popolo somalo e, negli anni ’70, è stata una pioniera della terapia breve (quella di 6 mesi seguita anche oggi) contro la tubercolosi. Prima di allora i trattamenti duravano almeno un anno e la probabilità di interruzione era molto alta.
Annalena, diventata responsabile per l’Oms della cura dell’infezione fra i nomadi, è riuscita a convincere i malati ad accamparsi per tutti i mesi necessari fuori dal suo Centro, arrivando a seguire fino a 400 pazienti ogni giorno. Terminata la cura, gli ex malati si ricongiungevano al loro gruppo o alla loro famiglia.
Sconfiggere la malaria
Le cifre della malaria seguono a ruota Aids e tubercolosi, con 300-500 milioni di casi e 1 milione di morti ogni anno, 3 mila bambini ogni giorno: la maggior parte dei decessi si verifica infatti prima dei 5 anni di vita, uno ogni 30 secondi, quando i piccoli sono più vulnerabili all’infezione.
In Africa la malaria è infatti la causa principale di morte sotto i cinque anni di vita. Eppure, anche in questo caso, gli strumenti per impedire l’infezione o per curarla in caso di malattia ci sono. Sulla strada della prevenzione, accanto alle ricerche in laboratorio che mirano a impedire il passaggio del plasmodio della malaria dalla zanzara all’uomo, ci sono per esempio le zanzariere, il cui maggiore utilizzo ridurrebbe la trasmissione della malattia.
Ma solo un bambino su sette sotto i 5 anni dorme sotto le zanzariere, e addirittura uno su trenta ha il privilegio di avere quelle trattate con insetticida, più efficaci: il solo utilizzo di queste ultime potrebbe ridurre la mortalità infantile per malaria del 17%. L’Oms sottolinea come la malaria sia la malattia con il legame maggiore alla povertà. Bambini, donne in gravidanza, persone che vivono in situazioni di emergenza, persone con Hiv/Aids sono le categorie più a rischio. Come le altre malattie, porta con sé danni economici non indifferenti nei paesi in cui è diffusa. Si calcola che 9 pazienti su 10 con la malaria vivano in Africa, dove ogni anno la malattia costa 12 miliardi di dollari: basterebbe una piccola parte di questi soldi per tenere sotto controllo l’infezione, che sottrae a famiglie già in difficoltà un quarto dei loro guadagni per la prevenzione e il trattamento.
Infine, sul versante terapia, negli ultimi 20 anni il plasmodio della malaria è diventato resistente ai farmaci comunemente utilizzati. Per questo sin dal 2001, l’Oms ha consigliato, in caso di resistenza, il trattamento combinato con derivati dell’artemisinina (Act): dopo 4 anni da tale indicazione la terapia non è ancora disponibile per tutti i paesi che ne avrebbero bisogno.
Ruxin J., Emerging consensus in HIV/AIDS, malaria, tuberculosis, and access to essential medicines. Lancet 2005; 365: 618-21.
Groenewald P., Identifying death from Aids in South Africa. Aids 2005; 19: 193-201.
Siti Inteet:
www.dfid.gov.uk/mdg/hivaids.asp
www.millenniumcampaign.it
www.peacereporter.net
www.unicef.org
www.unmillenniumproject.org
www.who.int
Valeria Confalonieri