Le mille frontiere senza vergogna
Posti di blocco ed estorsioni: una denuncia
Nel paese del cacao, un tempo il più ricco dell’Africa Occidentale, ma oggi spaccato in due dalla guerra civile scoppiata alla fine del 2002,
il taglieggio lungo le strade è diventato
una consuetudine, un mestiere redditizio.
E tutto questo arricchisce chi esercita il potere dell’uniforme lungo le vie di comunicazione. Sempre a scapito della povera gente.
«Da questo affare statevene fuori, lasciate fare a noi…» rassicura l’autorità ecclesiastica competente. Ma, da missionario cattolico, voglio fare una denuncia. Anche se non foisco informazioni in quantità, ci tengo a far capire la rabbia che, in molti, trangugiano in Costa d’Avorio. Soprattutto nel territorio sotto il controllo delle forze governative, in tutto il sud, da est a ovest.
Si dice che il paese è diviso in due dal 2002, dato che il nord è in mano agli avversari del controverso presidente Laurent Gbagbo, i cosiddetti ribelli. Ma non è affatto così. Ascolto e vedo che in Costa d’Avorio le divisioni sono centinaia. Le nuove frontiere, infatti, non si possono più contare.
Le strade principali del sud sono continuamente interrotte da posti di blocco dove pullulano uniformi di tutti i tipi: militari, gendarmi, agenti della dogana, polizia del traffico e municipale… e persino quelli che da noi sono le guardie forestali. Qui si chiamano «i corpi in uniforme». Ebbene, ognuno di questi gruppi si dà da fare per estorcere – ormai anche ad alta voce si dice rackettage – con qualsiasi scusa e con le brutte maniere il denaro della povera gente che lavora.
Il sistema dei posti di blocco era una prassi conosciuta, ma non era diventata una fonte di guadagno sfacciato. Con la guerra tra governativi e ribelli la faccenda ha cominciato a diventare seria. Ufficialmente i barrages (barriere) dovevano diventare un filtro necessario – argomento credibile – per bloccare il trasporto di armi, gli spostamenti di nemici o cose del genere. Con il tempo sono diventati un’attività di lucro illecito e vergognoso.
Può sembrare una barzelletta, ma i «corpi in uniforme» hanno cominciato il loro servizio spostandosi con i mezzi che avevano; poi ognuno ha iniziato a diventare autonomo, perché il rackettage rende. Ai diversi posti di blocco, con i frutti dell’indefesso «lavoro» ci si può comprare dapprima un motorino o una moto usata, poi una più grossa; dopo un po’ arriva la piccola automobile e infine si viaggia nella macchina di grossa cilindrata.
Inoltre, bisogna tener conto che da quello che si preleva alla gente c’è spesso anche la parte da scremare per i «capi» dei vari corpi. Il servizio al paese bisogna farlo bene e fino in… cima.
Un posto di blocco è un insieme più o meno ordinato di tronchi, vecchi pneumatici e sbarre di ferro chiodate e scorrevoli. Il tutto è sistemato in modo da essere ben visibile agli automezzi in arrivo. Ai lati dell’asfalto si possono notare tettornie sgangherate, con massicce sedie di legno, dove i «gradi maggiori» osservano e sonnecchiano, mentre gli inferiori ispezionano i veicoli, i passeggeri e le merci.
Più che a una ispezione, sembra di assistere a uno sciagurato gioco: si cerca di leggere nel volto dei malcapitati se hanno indosso denaro o altri beni, da scroccare senza pietà e in nome di nessuna legge o regola infranta. Ai «gradi maggiori» si ricorre per i casi più ostinati o «delicati».
Può darsi che, agli inizi, buona parte degli avoriani fosse, non dico entusiasta, ma almeno d’accordo con questo meticoloso sistema di sicurezza intea. In effetti, i destinatari di questa accurata struttura di controllo erano e rimangono anzitutto i lavoratori stranieri (beninesi, burkinabé, togolesi, liberiani, ghanesi, maliani, ecc.).
Perché? Perché molti arrivano in Costa d’Avorio senza visti (da loro, in fondo, si esige che lavorino sodo e in silenzio); altri non riusciranno mai a infrangere la barriera dell’inefficienza e della corruzione della burocrazia locale per aggioare i loro permessi di soggiorno; altri ancora, sentendosi vinti dalla loro stessa paura o ignoranza, resistono nell’umiliante anonimato, che la legge battezza col nome di clandestinità.
La demagogia del sistema non ha avuto difficoltà a «dimostrare» che i primi nemici del paese e alleati dei ribelli sono proprio loro, gli stranieri che faticano per gli avoriani.
Dunque, il denaro si estorce anzitutto agli stranieri. Certo non si toccano i grossi commercianti, i vip, i missionari delle diverse denominazioni cristiane o altre autorità religiose. Ma, dato che ce n’è di strada da fare per partire dal motorino e arrivare alla grossa auto, la lista delle possibili vittime si è allungata.
Anche «l’infrastruttura» di questo latrocinio permanente e istituzionalizzato si è estesa oltre ogni limite di sopportazione. E dire che «i corpi in uniforme» percepiscono un ottimo stipendio, come del resto tutti gli impiegati dello stato. Eppure…
La lista delle vittime si è allungata e le aree da depredare si sono allargate a macchia d’olio. Per esempio, se vai alla capitale o nelle principali città della zona costiera, ti verrà detto dai tassisti che non ne possono più di dover pagare, anche più volte al giorno, un «piccolo dazio» agli uomini in uniforme, che li bloccano senza altra ragione che quella di estorcere denaro.
Se vai verso l’interno, dove l’asfalto finisce e inizia la foresta con le sue piantagioni di cacao, palme da olio, caffè, a qualsiasi ora e in qualunque giorno della settimana ti imbatti con uniformi di ogni specie, pronti alle loro arbitrarietà e vessazioni per arricchirsi.
Ti stai spostando con una bicicletta sgangherata su una strada sterrata dell’interno per rientrare a casa o per andare a lavorare nei campi? Se ti imbatti in un «controllo» dovrai sganciare 5 mila franchi Cfa di multa. (Un euro vale poco più di 655 franchi Cfa; la paga giornaliera di un lavoratore, bracciante, manovale, oscilla tra i mille e i due mila franchi).
Perché? Non fare domande o la bici è requisita e dovrai, alla fine, pagare quattro o cinque volte tanto per riscattarla. Sei uno straniero o un avoriano originario di un’altra zona? Se ti chiedono i documenti d’identità, rispondi che non li hai e te la caverai con una multa di 2 mila franchi. Non azzardarti a mostrarli: primo te li requisiscono, perché il tuo sbaglio è di non essere stato sorpreso in flagrante; secondo, anche se tutto è in regola, la multa sarà almeno raddoppiata.
È il tempo del raccolto in foresta e sei un piccolo trasportatore di cacao o di noci da olio? Anche se percorri la pista più recondita, ti beccano comunque, e devi pagare almeno 2 mila franchi al giorno. Perché? Perché la legge dei fuorilegge ha deciso che per una settimana o due sarà così: punto e basta!
Sei un commerciante di «mezzo calibro», che carica su un grosso camion i raccolti agricoli di una piccola fetta di foresta per trasportarli in città? Sappi che il tuo viaggio di nemmeno 100 km dovrà fruttare almeno 100 mila franchi ai difensori della legge.
Sei straniero e devi rientrare in patria per motivi familiari o per le vacanze? Sappi che sanno che hai guadagnato qualcosa e non ti molleranno se non dopo un buon salasso. Soluzione? Ti umilierai il più possibile a ogni posto di blocco fino alla capitale e inventerai storie pietose, così ti estorceranno qualcosa di meno.
E per i prossimi barrages, prima di arrivare alla frontiera? Niente paura. Affidati a un’impresa seria di viaggi inteazionali. Al prezzo del biglietto ti chiederanno di aggiungere un altro bel po’ di denaro in modo che tra tutti i passeggeri dello stesso bus si raggiunga la cifra di un milione, un milione e mezzo di franchi (1.500-2.000 euro). Ci penserà l’esperto autista a distribuire il malloppo a seconda del posto di blocco e per te finiranno umiliazioni, perquisizioni, vessazioni.
Vivi in un villaggio sperduto e sei regolarmente «visitato» dalla sicurezza statale? Mettiti d’accordo con gli altri del posto e, alla scadenza che sai, fatti trovare preparato: un lauto pasto, un po’ di sacchi pieni di beni in natura (si sa, in città tutto costa più caro) e la somma di denaro necessaria per calmare lo zelo dei servitori dello stato. Tutto andrà bene e vi diranno con soddisfazione di non temere, ormai ci si conosce e si è amici, si è di casa. E così via…
Anche al nord, nel territorio controllato dai ribelli, ci sono posti di blocco, sulle strade principali e, mi dicono, si chiedono 100-200 franchi.
Il sistema funziona così e la spirale di prepotenza innescata cresce, nonostante le altisonanti e fumose campagne promosse dagli «alti gradi» per fare pulizia, eliminare corruzioni e soprusi.
Si è ormai instaurata quella macabra convivenza in cui, secondo gli psicologi, il boia acuisce e rende più crudele la propria violenza, mentre la vittima sceglie di arrendersi, di umiliarsi sempre di più, accettando supinamente nuove sofferenze. La situazione si è incancrenita e ognuno, alla fin fine, si sente nel ruolo che gli compete.
Potrei riportare altri piccoli flash o far notare che altri barrages sono sorti in altri settori cosiddetti pubblici; quelli riportati sono sufficienti per fare capire ciò che ho detto all’inizio: la frontiera in Costa d’Avorio non è segnata dagli aggettivi «governativo» o «antigovernativo».
Se l’inconcludente processo di riunificazione dovesse superare lo stagno chiamato censimento e disarmo (tutti coloro che hanno una coscienza sperano e pregano per la pace), si potranno superare le altre mille frontiere che nel frattempo si sono diffuse nel sud del paese? Chi sarà alla guida dello stato, potrà controllare i suoi fedeli guardiani, ormai abituati a ingrossare il loro non indifferente stipendio con scaltrezza e prepotenza?
J.A.B.