I nuovi padroni… si lavano le mani
Intervista esclusiva
Non è facile avvicinare un portavoce di una industria chimica, quando questa rappresenta il legame diretto che esiste con un disastro umano e ambientale come quello di Bhopal. John Musser, capo dell’ufficio stampa della Dow Chemical, la compagnia che ha assorbito la Union Carbide, ha invece accettato la sfida. Ecco, quindi, una rarissima intervista rilasciata ufficialmente da un dirigente della ditta statunitense, in esclusiva per Missioni Consolata.
La Dow Chemical ha acquisito la Union Carbide Company (Ucc), sapendo che sia il governo indiano sia le vittime di Bhopal chiedono un compenso più elevato e l’estradizione di Warren Anderson, presidente dell’Ucar all’epoca del disastro. Non pensa che con tale acquisizione la Dow Chemical abbia anche ereditato tutti i debiti morali, etici e materiali lasciati irrisolti dall’Ucar a Bhopal?
Come sa, immediatamente dopo la tragedia di Bhopal, la Union Carbide ha accettato tutte le responsabilità morali per il rilascio del gas. Nel 1989 è stato raggiunto un accordo con il governo dell’India, in base al quale l’Ucar si impegnava a pagare al governo 470 milioni di dollari come risarcimento per tutte le richieste associate al disastro. L’accordo venne ratificato dalla Suprema corte indiana, che lo trovò “giusto, equo e ragionevole”, dichiarando chiusa la questione. L’Union Carbide, quindi, pagò i 470 milioni di dollari al governo indiano, contribuendo tra l’altro con altri 90 milioni di dollari, ricavati dalla vendita delle sue proprietà a Bhopal, alla costruzione e operatività di un ospedale per il trattamento delle vittime del disastro.
Infine la prego di prendere nota che l’Union Carbide Corporation non è da identificarsi con la Dow Chemical Company. La Union Carbide è un’entità legale separata. Con tutto il rispetto della tragedia di Bhopal, noi crediamo che la Union Carbide ha assolto a tutte le proprie responsabilità. Anche se la Dow Chemical ha acquisito tutte le azioni dell’Union Carbide, noi non abbiamo comunque ereditato tutte le pendenze, ammesso che ce ne siano ancora. La Dow Chemical, quindi, non accetta alcuna responsabilità del disastro e dei suoi effetti. Questo a prescindere dal fatto che siamo assolutamente d’accordo col fatto che nessuno dovrà mai scordare la terribile tragedia umana di Bhopal.
Quando una multinazionale o una compagnia localizzata in poche aree ristrette deve produrre profitto per sopravvivere nell’economia di mercato, la protezione dell’ambiente, i diritti dei lavoratori e la sicurezza degli stessi e delle persone che vivono attorno alle fabbriche non vengono mai visti come priorità assoluta. Se ciò è vero in paesi avanzati, in quelli del Terzo Mondo la situazione è tragica: qui le compagnie occidentali possono produrre prodotti pericolosi a costi contenuti. Tutti questi fattori, mischiati assieme, possono reagire tra loro trasformando ogni fabbrica in un’altra potenziale Bhopal. Cosa si sta facendo per fermare questa spirale?
La nostra filosofia afferma che noi dobbiamo prima di tutto lavorare in modo etico e, certamente, guadagnare profitto al tempo stesso, altrimenti nessuna fabbrica potrebbe sopravvivere. Questa è la nostra filosofia, a prescindere dal luogo dove le nostre fabbriche sono situate. Inoltre la nostra politica ambientalista, della sicurezza e della salute, è identica in qualsiasi parte del mondo.
La direzione della Dow Chemical sarebbe pronta a parlare con le organizzazioni che rappresentano le vittime di Bhopal per risolvere i problemi ancora aperti?
Ci sono già stati numerosi colloqui con le organizzazioni da lei citate, ma non hanno portato a nessun cambiamento nelle posizioni delle due parti. Non ci sono altri motivi, quindi, per allungare altre discussioni, se l’oggetto della contesa è la richiesta delle organizzazioni delle vittime di una nostra responsabilità per la tragedia di Bhopal.
L’ex fabbrica della Ucar a Bhopal è ancora fonte d’inquinamento, specie acquifero, che colpisce migliaia di persone. Sareste disposti a ripulire o almeno a contribuire alle operazioni di risanamento del sito?
Il terreno dove sorgeva la fabbrica dell’Union Carbide India Ltd. è sempre stato di proprietà del governo del Madhya Pradesh. Questo è un fatto importante da tenere a mente per continuare la nostra discussione. Nel 1988 l’Ufficio per il controllo dell’inquinamento del Madhya Pradesh ha rilasciato un comunicato stampa, indicando di aver prelevato e analizzato campioni di acqua sia dalle tubature che dalle fonti potabili nelle aree attorno allo stabilimento. Le analisi non hanno dato alcuna traccia di composti chimici nocivi, che dovrebbero in qualche modo essere stati rilasciati dalle operazioni in corso nella fabbrica della Union Carbide India Ltd. L’Ufficio per il controllo, inoltre, aggiungeva nel comunicato che l’inquinamento delle fonti d’acqua potabile è causato da un improprio drenaggio dell’acqua e da altri fattori d’inquinamento che nulla hanno a che fare con le attività dello stabilimento.
Nel 1997, il National Environmental Engineering Research Institute (Neeri), un’organizzazione parzialmente governativa di esperti ambientalisti indiani, ha analizzato 14 pozzi situati entro 500 metri dal sito della fabbrica. La conclusione è stata che i pozzi non sono stati inquinati a causa delle passate attività del sito.
I lavoratori della Dow Chemical in Usa e in Europa, come hanno visto l’acquisizione dell’Union Carbide?
Non c’è stato alcun sondaggio ufficiale per verificare le reazioni degli impiegati sull’acquisizione. Al tempo stesso non ci sono state manifestazioni contro l’acquisizione.
L’Union Carbide ha sempre sostenuto la teoria del sabotaggio per spiegare l’incidente di Bhopal. Anche la Dow appoggia tale tesi?
La Dow non ha mai condotto proprie investigazioni. Sappiamo che le squadre della Union Carbide, così pure studi specialistici come la Arthur D. Little & Co., hanno speso anni per risalire alle cause del rilascio del gas. Tutti, comunque, in modo indipendente, ma univoco, hanno concluso che il disastro è stato causato da un’aggiunta deliberata e intenzionale di acqua al serbatornio di stoccaggio del metilisocianato. Quando tutta la verità è stata appurata, la maggior parte di quello che era stato detto fino ad allora si è dimostrato essere sbagliato. È un tema molto complicato quello di Bhopal, ma la Union Carbide è convinta che la causa del disastro sia stato il sabotaggio da parte di un impiegato della stessa fabbrica e non un’errata valutazione progettuale o un’operazione sbagliata. E noi non abbiamo alcuna ragione per dubitarlo.