A proposito di Noma
Caro Direttore,
da anni sono abbonata alla vostra rivista, che apprezzo molto. Sul numero di giugno 2006 ho letto con interesse e immenso dolore l’articolo sui bambini colpiti da quella terribile malattia di cui non conoscevo l’esistenza: il cancro orale o noma.
Voglio assolutamente fare qualcosa per loro e aiutarli in qualche modo. È mio intendimento inviare un’offerta per le cure necessarie, ma non so se inviarla direttamente all’ospedale della Nigeria (Sokotho) oppure al vostro istituto di Torino. Sarei grata se mi indicaste la via giusta. Attendo quindi una gentile risposta.
Maria Grisa
Bussoleno (TO)
Cara Redazione,
sul numero di giugno 2006, ho letto della malattia dimenticata denominata «noma». Mi ha molto colpito la sua gravità e incidenza sui bambini.
Desidero conoscere se qualcuna delle vostre missioni si interessa di questi casi, per concordare un possibile progetto di sostegno da offrire come attenzione ai nostri bambini e adulti nei prossimi mesi. Grazie e buon lavoro per una rivista concreta e attenta all’evangelizzazione.
Padre Silvano Porta Omv
Pantelleria (TP)
Appena ricevuta la lettera della signora Maria Grisa (inizio di luglio), inviai e-mail a tre dei nostri ospedali, domandando se avessero casi di «noma» e se li curassero nei loro ospedali. Il dottore di Gambo (Etiopia), rispose immediatamente, dicendo che da una decina di anni non riscontrano casi del genere e, qualora ve ne fossero, possono solo fermare il male; per la riparazione devono portare il malato ad Addis Abeba. Dagli altri ospedali sto ancora aspettando una risposta.
A settembre ho posto le stesse domande al vescovo di Maralal (Kenya), mons. Virgilio Pante, che ha interpellato i dottori dell’ospedale di Wamba e mi ha dato la seguente risposta: nel territorio ci sono alcuni casi di «noma» e vengono curati in detto ospedale.
Per cui, chi volesse contribuire alla loro cura, può servirsi del nostro ccp (vedi ultima pagina della rivista) specificando la causale: «Ospedale di Wamba – malati di noma».
Troppa grazia…!
Cari missionari,
sono tornato in Italia dopo 4 mesi trascorsi come volontario ospedaliero a Nkubu (Kenya). Ho avuto occasione di vedere il lavoro che avete fatto e tutt’ora state facendo in quella parte di Africa: avete portato non solo il vangelo, ma anche la civiltà nella sua espressione migliore. Parlare di Consolata Mission significa dire: scuole, ospedali, chiese e tante altre belle cose. Dirvi bravi è troppo poco. Avete fatto un lavoro grandioso agli occhi del mondo e di Dio; specialmente le vostre suore sono dei veri angeli.
Mi piacerebbe leggere la vostra rivista missionaria. Vi abbraccio frateamente tutti e vi dico: Asante sana, Bwana Mungu Baba ietu akubariki (grazie tante; il Signore Dio nostro Padre vi benedica).
Giulio Zucca
Genova
Tanta ammirevole simpatia ci impegna a continuare nella nostra missione e a non deludere le aspettative di Dio e della gente a cui ci manda. Grazie e continui nel suo spirito di servizio missionario: per questo abbiamo provveduto a inserire il suo nome nella lista dei nostri abbonati.
Incatenato…
alle missioni
Caro Direttore,
per tanti anni sono stato… missionario delle missioni della Consolata e sento di esserlo ancora. Ma ora vivo nella casa di riposo e non so come regolarmi con la rivista Missioni Consolata: per mia parte sospendo l’abbonamento (ma in questi giorni farò pervenire ancora un mio saluto… economico). Vi prego, però, di un favore: sentitemi sempre un missionario della Consolata e pregate per me che mi sono ritirato in questa casa per prepararmi a una santa morte.
Ma devo essere sincero: una mia collaboratrice, quando presiedevo l’Ufficio missionario diocesano, mi ha rapito e, anche se rimango a Maruggio, mi ha incatenato con le catene dell’amore alla missione di Iringa (Tanzania), dove essa svolge il suo compito di volontaria. Mi ha addirittura iscritto a far parte del presbiterio diocesano, così che il carissimo mons. Tarcisio Ngalalekumtwa si prende il mio respiro e il mio cuore… In ottobre 2005 ho avuto il piacere di averlo a cena a Maruggio, dove ero ancora parroco.
In conclusione, il beato Allamano con la sua immagine mi accompagna sempre nella recita del breviario. Allora sono e sarò sempre missionario della Consolata. In Cristo,
don Salvatore Gennari Maruggio (TA)
Abbiamo provveduto a cambiare il suo nuovo indirizzo e continueremo a inviarle la nostra rivista. Le sue preghiere e il suo affetto per le missioni e per i missionari della Consolata sono un compenso più che adeguato. Continueremo a sentirla dei nostri. Gradisca anche lei il nostro affetto e gratitudine per quanto ha già fatto a favore dei nostri missionari.
Benedetta croce!
Reverendo Direttore,
ho apprezzato molto il dossier sull’Etiopia pubblicato nel numero di aprile 2006. Veramente interessante. Ringrazio anche i suoi collaboratori per questa ulteriore conoscenza.
L’interesse è stato maggiore quando ho letto alcuni passaggi, come quello che descrive come ogni prete o monaco porti la croce manuale sotto la tunica, e l’altro che racconta del passaggio del testimone nella parrocchia di Asella, per 24 anni evangelizzata dai missionari della Consolata, ora consegnata al clero locale. Quelle pagine mi hanno fatto rivivere con gioia e nostalgia la santa messa a cui ho partecipato nella vostra chiesa, il 23 ottobre 2005, Giornata missionaria mondiale. Due ospiti religiosi erano stati invitati a dare la loro testimonianza. Uno di essi era africano. Si presentò dicendo di chiamarsi abba Ghebremariam Amante, viveva ad Addis Abeba. Trovandosi a Roma per il suo 50° anniversario di ordinazione, era venuto a Torino per manifestare la sua stima e gratitudine per la lunga amicizia che lo lega ai missionari della Consolata. Era stato battezzato da un vostro missionario. Concluse benedicendoci con la sua croce etiopica.
In molti uscendo abbiamo salutato e ringraziato, commossi e ammirati, questo abba per la sua bella testimonianza e la sua benedizione. Sono certa che anche altri, leggendo il vostro dossier, avranno ricordato con simpatia abba Ghebremariam.
Rita Simonato
Torino
Grazie anche per questa sua testimonianza, con l’augurio di vivere ancora tanti altri momenti di gioia, sia leggendo la nostra rivista che incontrando i nostri missionari.
Reverendo Direttore. Leggo con piacere la sua rivista, che mi viene passata da un parente, dopo che a sua volta l’ha letta. Vorrei chiederle, se lo ritiene utile, di dare alcune precisazioni, sulla rivista, in merito all’articolo a firma Aldo Antonelli, pagina 66 del numero di luglio-agosto 2006. Verso la fine della prima colonna, egli osserva: «…sono stati sostituiti con personaggi grigi e ultraconservatori “polonizzando” la chiesa, ecc., ecc.». Poche righe oltre, accenna a «una religione tutta e solo intimistica, legata a figure problematiche di “santi” quali Padre Pio e Josemaria Escrivà…».
Subito ho pensato al classico prete-compagno e stavo per archiviare mentalmente il tutto quando però la curiosità ha preso il sopravvento. Se Missioni Consolata l’ha pubblicata, vuol dire che ne condivide lo spirito. Sia chiaro, io non ho particolare interesse a conoscere le diatribe tra preti di destra o di sinistra, ma avrei invece curiosità di chiarire quanto segue: «Polonizzando», riguarda una critica a Giovanni Paolo ii? Se sì, quale o quali? Figure problematiche di «santi»: evidentemente, virgolettando il termine santi, vuol dire che non condivide il giudizio della chiesa sulla loro santità, tanto è vero che prima li definisce figure «problematiche». Per quale motivo non li considera autentici santi?
Vorrei ribadire che non so se l’autore dello scritto ha ragione o no, non ne conosco le sue motivazioni; ma ritengo che dovrebbe chiarire il tutto lei, come direttore della rivista. Potrebbe nascee un serio confronto tra posizioni diverse e, comunque, un approfondimento di tematiche e posizioni.
Capisco che per lei questo possa essere un piccolo fastidio, ma non credo che lei abbia solo intenzione di pubblicare lettere maxi-elogiatorie nei confronti del suo mensile, ma che sia aperto anche a tematiche più scottanti. Altrimenti, mi scusi la franchezza, sarebbe come tirare un sasso e poi nascondere il braccio, cosa indegna per chiunque e della quale non la ritengo capace.
Ritoo a dire che il mio scritto non ha in sé alcuna polemica. Il fatto che scrivo a lei è dovuto alla convinzione che se il rev. Aldo Antonelli avesse espresso posizioni contrarie alla fede cattolica o altro, lei non le avrebbe pubblicate. Pubblicando invece le sue critiche, vuol dire che in esse vi ha trovato del vero e ritengo che i suoi lettori meritino anch’essi di conoscere il suo pensiero.
Agostino Cariano
Genova
Leggendo la sua lettera, all’inizio pensavo di girare la patata a don Antonelli, autore dello scritto in questione; ma, proseguendo la lettura, vedo che sono proprio io chiamato a «chiarire» la sua «curiosità». Lo faccio volentieri, dicendo soprattutto cosa mi viene in mente leggendo tale articolo.
È chiaro che, sostanzialmente, ne condivido il contenuto, anche se, personalmente, avrei usato un vocabolario più sfumato: «normalizzando» anziché «polonizzando»; vescovi «meno profetici» invece di «grigi e ultraconservatori»; «frenata» al Concilio invece di «bavaglio» (frase non citata).
In fatto di «normalizzazione» mi viene in mente la chiesa in Brasile, con le voci profetiche di Helder Camara, Evaristo Has e tanti altri vescovi, talora messe a tacere o sostituite con voci meno scomode. Incontrai, poco tempo prima della sua scomparsa (2004), il vescovo di Roraima, mons. Apparecido Dias, che, parlando dei vescovi brasiliani impegnati nel portare avanti le idee del Concilio, mi diceva: «Siamo ancora in maggioranza, ma siamo rimasti troppo pochi».
Tale «normalizzazione» non è attribuibile solo a Giovanni Paolo ii, che non poteva conoscere tutti i candidati vescovi, ma anche e soprattutto a coloro che gli sono stati attorno. Da parte mia ho grande stima del defunto pontefice, anche se non sono tra coloro che gridano «santo subito!».
Per quanto riguarda Padre Pio e Josemaria Escrivà, né l’articolista né io dubitiamo della loro santità: siamo certi che sono santi (senza virgolette) in paradiso, insieme ad altri che vedrei più volentieri innalzati agli onori dell’altare, come Oscar Romero. Tra l’altro, il libro del fondatore dell’Opus Dei, «Cammino», è stato anche un mio nutrimento spirituale, quando ero ancora studente di teologia.
Tuttavia, ciò che l’autore dell’articolo mette in questione, e io condivido pienamente, è l’opportunità o meno di proporre tali «santi» (rimetto le virgolette), e così in fretta, all’imitazione della chiesa universale; e questo non solo per non favorire «una religione tutta e solo intimistica», come scrive don Antonelli, ma anche per rispetto della loro santità, soprattutto quella di Padre Pio, invocato come protettore da attricette e da mafiosi, come un certo Provenzano.