Notizie, non gossip… e poi?

Se da una parte condivido l’appello della Fesmi, perché anch’io sono convinto che la televisione dia troppo spazio al gossip, dall’altra non me la sento di dire che il piccolo schermo trasmette poche notizie: il problema è quanto tempo vogliamo passare davanti al televisore e, soprattutto, che cosa intendiamo fare concretamente dopo che su un certo problema abbiamo raccolto una certa documentazione.
Se nell’Africa Centrale – ovvero l’area che la Fesmi suggerisce di "tener d’occhio" – le cose vanno ancora tanto male, le responsabilità principali non sono della televisione; ritengo di gran lunga più colpevoli coloro che, pur avendo appreso, grazie anche alla televisione, tante cose sul Congo e sulla Regione dei Grandi Laghi, continuano a comportarsi come se non avessero visto e sentito nulla di particolarmente sgradevole e disdicevole.
Secondo me tantissime persone dovrebbero ringraziare la televisione (intendo innanzitutto la Rai e quegli encomiabili giornalisti e operatori Rai che, per far bene il loro lavoro, hanno rischiato e qualche volta anche perso la vita…) per i tanti pregevoli servizi sul Congo e, più in generale, sui problemi che affliggono i paesi poveri. Di tali persone mi piacerebbe poter dire che hanno fatto del loro meglio per cambiare vita, modo di lavorare, di fare la spesa, di viaggiare, di trascorrere il tempo libero…
Purtroppo non posso dirlo, perché vedo ancora tanta, troppa gente che non solo non ne vuol sapere di rinunciare al superfluo, ma tende a concentrarvi ancora più risorse materiali e intellettuali.

Che cosa pretendiamo dal televisore? Che si spenga da solo quando i vari canali sono in grado di offrire solo gossip, pubblicità, reality spazzatura, overdosi di calcio e formula 1? Che si accenda da solo quando invece vanno in onda il Tg2 Dossier, il Report di Milena Gabanelli, il reportage da una terra di missione o la testimonianza di Gino Strada dall’Afghanistan?
Non possiamo aspettarci questo, non possiamo aspettarci che la televisione sia per noi padre, madre, sorella o, come diceva qualche anno fa un vescovo del Nord Italia, "bambinaia elettronica" (ne abbiamo forse l’età?).
Il presidente della Camera dei deputati ha suscitato vivaci reazioni quando, rispondendo ad alcune domande postegli da Lucia Annunziata, si è spinto ad affermare che per alcune Tv private ci vorrebbe una bella "cura dimagrante". Ho buone ragioni per ritenere che la Fesmi condivida questo giudizio e anche io, in effetti, penso che Bertinotti non abbia torto. Dico però che in Italia il soggetto che ha maggiore urgenza di cure dimagranti è l’industria bellica, il ministero della difesa, l’amministratore delegato di Finmeccanica, Pierfrancesco Guarguaglini il quale non solo non ne vuol sapere di ridurre l’impegno nel comparto militare per rafforzarlo in quello civile (ricordate? Si chiamava "riconversione"; non sono passati molti anni eppure, chissà perché, sembra un secolo), ma fa esattamente il contrario; ossia riduce ai minimi termini gli investimenti nella produzione civile (considerata "poco competitiva" e quindi "perdente") per aumentarli in quella bellica (considerata "vincente", specie se il partner è l’americana Boeing il cui cda, circa il rapporto civile-militare, la pensa esattamente come Guarguaglini e si regola di conseguenza).

Non diciamo dunque che la televisione non c’informa o che ci dà poche notizie. Diciamo invece che non sappiamo tutto, ma sappiamo quel tanto che ci basterebbe per boicottare i vip della politica e della religione, che vanno a benedire le portaerei, le fregate e i sommergibili prodotti da Fincantieri, per boicottare la Fiat e le sue aziende satelliti, produttrici di mine. Tante raccolte di firme, manifestazioni, conferenze inteazionali, appelli di sante donne e santi uomini, non ultimo Giovanni Paolo ii, non sono bastati: le mine continuano a essere prodotte, vendute, usate.
In questo inizio di secolo altri paesi sono andati ad allungare il già lunghissimo e tristissimo elenco delle aree flagellate dai diabolici ordigni: penso alle isole indonesiane di Boeo e Sumatra dove, a farli riaffiorare e spostarli a molti chilometri dai punti in cui erano stati seminati ha provveduto il terribile Tsunami del 26 dicembre 2004. Una cosa del genere era già avvenuta in Nicaragua e Honduras all’epoca dell’uragano Mitch.
Ne sappiamo abbastanza per boicottare la Boeing e le compagnie aeree a basso prezzo, che il viaggio sui Boeing lo fanno pagare una manciatina di dollari, mentre il prezzo del petrolio s’impenna: tagliando le spese per manutenzione, controlli, pezzi di ricambio, formazione del personale, molte compagnie riescono a tener bassi i prezzi dei biglietti, anche quando l’oro nero va alle stelle; poi, quando si verifica una sequenza di disastri, come quella che ha funestato il secondo semestre del 2005, molti hanno la spudoratezza di affermare che l’aereo resta "il mezzo più sicuro" e che gli "assassini sono i cieli".
Siamo sinceri: fare questi nomi è scomodo per tutti, non solo per i giornalisti della televisione. È scomodo per la stampa, ma anche per i sacerdoti, vescovi, missionari, filosofi, teologi cosiddetti "d’avanguardia" e persino per la sinistra più estrema.
Sono nomi che fanno paura, perché a portarli sono persone troppo abituate a farla franca con la giustizia e a mettere nei guai chi "osa" ostacolare i loro piani.
Se non riusciamo a vincere la paura, asteniamoci pure dal fare questi nomi, forse avremo meno grane. Ma evitiamo anche di prendercela troppo con il cda della Rai o di Mediaset, col Grande Fratello o L’isola dei famosi: non è così che daremo al Congo qualcosa che somigli a un aiuto. Non saranno le critiche o le velate allusioni alla Ventura, Venier, Lecciso, Al Bano, Pappalardo, Zequila… a tranquillizzare la nostra coscienza eco-pacifista e a farci sentire più a posto davanti a Dio.

Mario Pace
Fano (PU)

Mario Pace