INTRODUZIONE
"Al passaggio dei marines le donne si toglieranno il burqa e gli uomini si taglieranno la barba" si diceva quando il presidente degli Stati Uniti lanciò contro il regime dei taleban la campagna militare "giustizia infinita", poi ribattezzata "libertà duratura".
A 5 anni dalla fine della guerra, in Afghanistan si continua a combattere e morire; il terrorista Osama bin Laden non è stato catturato; il Mullah Omar è diventato una primula rossa; il paese è diviso in zone di influenza, controllate dai "signori della guerra" delle varie etnie; la libertà religiosa è apostasia condannata con la pena capitale; la pace un miraggio… Le donne continuano a indossare il burqa e gli uomini a coltivare le loro barbe.
Dopo 10 anni di guerra contro i russi e altrettanti di guerra civile tra le varie fazioni religiose ed etniche, l’Afghanistan continua a essere uno dei paesi più poveri del mondo, che sopravvive solo grazie agli aiuti inteazionali; la popolazione non sa più in chi sperare e, le donne soprattutto, continuano ad essere discriminate e vittime di ogni tipo di violenza.
Quale futuro per l’Afghanistan? Con questo dossier non intendiamo dare risposte risolutive, anche perché non ne abbiamo. Vogliamo offrire alcune testimonianze, raccolte prima del famigerato 11 settembre, per aiutare a comprendere il groviglio di "giochi" strategici e geopolitici, economici e finanziari che, sommati alle componenti storiche, etniche e religiose della società afghana, continuano ad alimentare nel paese un clima di paura.
Giochi di guerra … permanente
Uno dei paesi più poveri al mondo: 652 mila chilometri quadrati di aridi deserti, intervallati da aspre montagne che raggiungono i 7.500 metri, nessuno sbocco al mare. I suoi 26 milioni di abitanti rappresentano un mosaico di una decina di diverse etnie tra cui prevalgono i pashtun (38% della popolazione), i tagiki (25%), gli hazari (19%) e gli uzbeki (6%). Quattro bambini su cento non raggiungono l’anno di vita e, se la fame, le malattie, la guerra, le mine antiuomo permetteranno loro di superare i 45 anni, si possono considerare fortunati, perché vuol dire che hanno già superato il limite medio di vita nel loro paese (in Italia possiamo sperare di vivere fino a 78 anni).
DI GUERRA IN GUERRA
Questi semplici dati mostrano quanto l’Afghanistan sia marginale nella vita economica della regione centroasiatica. Eppure la sua posizione geografica, posta strategicamente al centro di una rete di passaggi obbligati, che dall’Asia sudorientale si dirigono in Medio Oriente e poi in Europa, ha imposto il controllo di questo stato per garantire la stabilità di un’intera regione che, espandendosi dall’India, raggiunge le coste mediterranee dell’Asia occidentale passando per le regioni turcofone del Centro Asia, un tempo appartenenti all’Unione Sovietica e ancora oggi considerate sotto l’influsso politico ed economico di Mosca.
Gran Bretagna e Russia zarista combatterono per tutto il xix secolo una guerra per il controllo del territorio afghano, conclusasi con il ritiro degli eserciti di entrambe le potenze, incapaci di fronteggiare le tribù che difendevano i loro territori. Nel gennaio 1842, il comandante delle truppe afghane, Akbar Khan, sterminò un’intera divisione di 28.500 soldati della Corona, lasciando in vita solo un soldato di sua maestà perché riferisse alla regina la terribile sconfitta.
Ma anche l’Afghanistan, da quel conflitto, ironicamente chiamato "grande gioco", uscì menomato: dopo aver perso Peshawar nel 1834 a opera dei Sikh, nel 1859 anche il Belucistan, l’unica regione che permetteva allo stato di avere uno sbocco al mare, passò sotto controllo britannico.
L’indipendenza, avvenuta nel 1919 e la successiva ascesa al trono del re Zahir Shah nel 1933 permise al paese di ritrovare una relativa stabilità, scoprendo una nuova fonte di guadagno economico: il turismo alternativo. Negli anni Sessanta, dall’Europa e dagli Stati Uniti giungevano a migliaia i "figli dei fiori", attirati dal commercio semilegalizzato di oppiacei e marijuana, comprati nei bazar di qualsiasi villaggio a prezzi irrisori.
GLI INTRIGHI DELLA GUERRA FREDDA
La situazione afghana, così come oggi la stiamo vivendo, comincia a delinearsi nel 1973, quando Daud, cugino del re, compie un colpo di stato e proclama la repubblica. Il progressivo avvicinamento di Kabul a Teheran, allora filoamericana, convince Mosca che Daud deve essere sostituito: nel 1978 il comunista Taraki prende il potere.
I successivi mesi vedono il rapido deterioramento della situazione: le lotte intee tra le fazioni del Partito comunista afghano, l’uccisione di Taraki, la crescente espansione islamica che minacciava, anche dal suo interno, le repubbliche centroasiatiche sovietiche, indussero l’Armata rossa a varcare, il 27 dicembre 1979, il fiume Amur Dharya, portando una nazione, sino ad allora semisconosciuta all’opinione pubblica europea, al centro dell’attenzione mondiale.
Il territorio afghano si trasformò, in breve tempo in un grande campo di azioni militari nel contesto della guerra fredda. I due giocatori, Usa e Urss, manovravano le pedine (i mujahedeen e il governo di Kabul) a seconda delle loro convenienze.
È in questo periodo che Osama bin Laden, un miliardario saudita di origine yemenita, aderisce al movimento dei mujahedeen afghani contro l’Armata rossa. Con la consulenza militare e l’appoggio finanziario degli Stati Uniti, della Cia e del Pakistan, costituisce una formazione militare composta esclusivamente da arabi che lottano in nome della jihad. Ad addestrare questi volontari, chiamati arabi afghani, sono i Sas britannici. È il primo nucleo di quello che, anni dopo, diventerà il gruppo noto come al-Qa’ida.
Il 15 febbraio 1989, a seguito degli accordi di pace, l’Armata rossa abbandona l’Afghanistan, lasciandosi alle spalle 40-50.000 propri soldati morti, ma portando con sé il germe della dissoluzione dell’Unione Sovietica, che giungerà nel giro di un paio d’anni.
DAI MUJAHEDEEN AI TALEBANI
Appare subito chiaro che la forte divisione all’interno della guerriglia afghana farà ripiombare la nazione in una nuova, sanguinosa, guerra civile. E così è. Sparito il nemico esterno, ora le fazioni si combattono tra loro e solo il 15 aprile 1992 i mujahedeen raggiungono Kabul, destituendo il governo comunista di Najibullah e innalzando a presidente Burhannudin Rabbani, leader della Jamiat-i-Islami. Accanto a lui c’è Ahmed Shah Massud, il "leone del Panshir". I due sono legati da un rapporto di parentela, il miglior sigillo per rendere un’alleanza tra afghani indistruttibile: Rabbani, infatti, ha sposato la sorella di Massud.
Il governo non ha l’appoggio dell’etnia maggioritaria afghana, quella dei pashtun, e neppure del Pakistan, che non ha mai accettato Massud, e tantomeno degli Usa, dove il presidente Bush padre è particolarmente sensibile alle questioni petrolifere. Nel 1991, un anno prima della presa di Kabul da parte di Massud, Bush aveva lanciato la guerra contro l’Iraq, camuffandola come conflitto morale e definendola più volte una "crociata".
Ed è proprio il petrolio la causa prima della nascita dei taleban. I giacimenti del Mar Caspio, tra i più ricchi al mondo, fanno gola a molti; ma sono inutilizzabili se non si porta il greggio al mare, dove può essere stivato nelle superpetroliere. Non solo, ma gli oleodotti, passando in uno stato piuttosto che in un altro, possono determinare il peso geopolitico dei singoli governi.
L’Iran degli ayatollah rappresentava la soluzione più ovvia e meno costosa, ma la profonda avversione statunitense verso il governo di Teheran, faceva preferire l’opzione afghana. C’era un solo problema: il governo Rabbani-Massud, rifiutando ogni accordo con le fazioni dei mujahedeen, manteneva il paese in uno stato di guerra permanente, che impediva alle compagnie petrolifere di mettere in pratica i loro progetti.
Kabul, che durante il periodo sovietico era stata risparmiata dai bombardamenti, nonostante fosse ora ridotta a un ammasso di macerie dagli attacchi di Gulbuddin Hekmatyar, armato dal Pakistan e dagli Usa, resisteva. Occorreva trovare un’altra soluzione, che non si fece attendere.
Nel sud del paese esisteva da tempo un movimento di studenti delle madrase islamiche, i cosiddetti taleban (da taleb, studente), di etnia pashtun, che avevano già dato prova di abilità militare, conquistando la città di Kandahar alla fine del 1994. Per il Pakistan rappresentavano una valida alternativa all’impasse della lotta intea dei mujahedeen, mentre la Casa Bianca li allevava in funzione antiRabbani.
Una delegazione taleban giunse anche negli Stati Uniti per discutere sul futuro governo afghano e i loro rappresentanti ebbero colloqui con i dirigenti della Unocal, la compagnia petrolifera Usa che aveva vinto l’appalto per l’oleodotto, sconfiggendo i concorrenti argentini della Bribas.
Dapprima il principale finanziatore dei taleban fu il petroliere saudita Turki bin Faisal (in ottimi rapporti con Osama bin Laden), attratto dalla prospettiva dell’oleodotto; ma verso la metà del 1996, l’impasse militare cui Massud costrinse gli studenti islamici, convinse bin Faisal a chiudere i rubinetti verso l’Afghanistan. E nell’agosto 1996 a Faisal subentrò Osama bin Laden, che accettò di prendersi cura del movimento, il quale, da quel momento, non ebbe più l’appoggio della Casa Bianca.
Il 27 settembre 1996, i 3 milioni di dollari concessi da bin Laden ottennero i loro frutti: Kabul, oramai distrutta da 4 anni di guerra civile, cadde nelle mani degli studenti islamici. Massud e Rabbani si ritirarono al nord, dove vive la maggioranza dell’etnia tajika, controllando il 15% del territorio.
I taleban, dal canto loro, ricostruirono la società modellandola su leggi coraniche. La vita degli afghani venne scandita dai proclami del Ministero della Promozione e della Virtù, il quale si assicurava che tutti gli aspetti del vivere quotidiano fossero coerenti con le affermazioni del Corano.
"BUONI" E "CATTIVI"
Al tempo stesso questo stereotipo che dipingeva i taleban come dei rozzi trogloditi invasati di Dio (o "drogati" di religione, riferendo la famosa frase di Marx), veniva a cadere una volta che ci si allontanava dalla città. Come accade nei regimi assolutistici, la capitale rappresenta la vetrina dell’ideologia di regime che si vuole offrire al mondo e il dogmatismo teocratico dell’Emirato islamico, a Kabul, diviene legge assoluta.
Eppure, almeno al sud, tra le popolazioni pashtun gli studenti trovavano ampi consensi e, ancora oggi, la conquista di Kabul da parte delle forze dell’Alleanza, non ha risolto le questioni aperte da anni: la profonda divisione etnica che separa le varie componenti della nazione, la facilità con cui i diversi comandanti militari cambiano campo da un giorno all’altro, il vivo ricordo delle violazioni dei diritti umani e degli stupri commessi dai militari di Massud su donne e bambine, pende come una spada di Damocle sulla pax afghana.
I media hanno mostrato una guerra i cui contendenti sono sempre stati divisi da una linea netta: da una parte i "buoni" (l’Alleanza settentrionale), dall’altra i "cattivi" (i taleban), conniventi col terrorismo, odiati dal popolo e dalle donne, barbari incivili che hanno riportato la società ai tempi del medioevo.
La realtà è assai diversa; non esistono "buoni", non esistono "cattivi". Ci sono solo afghani che devono fare i conti con la loro storia, la loro cultura, la loro tradizione. Ed è anche per questo che le donne, pur nella loro libertà, continueranno a portare il burqa.
Scheda storica
II millennio a.C.: il territorio dell’Afghanistan diventa un "carosello" di popoli migratori, soprattutto ariani.
VI secolo a.C: buona parte del territorio è annesso all’impero persiano di Ciro il Grande.
328 a.C: Alessandro Magno conquista Bactria (attuale Balkh); alla sua morte passa alla dinastia seleucide.
250-180 a.C: nasce e si espande il regno greco-bactriano, poi passato all’impero nord-indiano Maurya.
I-III secolo d.C: tribù scite creano il regno di Kusana, con importanti centri culturali; la "via della seta" favorisce il commercio tra Roma, India e Cina.
240-VIII sec.: Kusana sotto l’impero persiano sassanide.
642-1747: conquista araba e islamizzazione dell’Afghanistan, governato da varie dinastie locali.
1219-1227: invasione e distruzioni di Gengis Khan.
1360: l’Afghanistan è conquistato da Tamerlano.
XVI-XVIII sec.: Afghanistan diviso in tre parti: nord sotto i discendenti uzbeki di Tamerlano; ovest sotto la Persia; est sotto l’impero Moghul.
1719-1729: Khan Nasher, dei pashtun ghilzai, sconfigge i persiani e controllano l’intera Persia.
1730: afghani ricacciati dal persiano Nadir Shah; i pashtun durrani principali dominatori dell’Afghanistan.
1747: re Ahmed Durrani unifica il paese, che comprende anche Kashmir, Belucistan e Panjab.
1808: trattato anglo-afghano; inizia il "grande gioco" tra la Russia zarista e la Gran Bretagna in Asia Centrale.
1839-1842: prima guerra anglo-afghana, conlusa con la distruzione di un’intera armata britannica.
1844-1901: regno dell’emiro Abdur Rahman Khan.
1878-1880: seconda guerra anglo-afghana, conclusa con il trattato di Gandomak: Abdur si occupa di affari interni; l’Inghilterra controlla la politica estera.
1880-1901: russi e britannici fissano i confini del moderno Afghanistan; metà dei pashtun rimangono nell’attuale Pakistan. Abdur Rahman è assassinato; gli succede il figlio Habibullah.
1919: assassinio di Habibullah (troppo filo-britannico); il successore Amanullah scatena la terza guerra anglo-afghana; nel trattato di Rawalpindi, l’Afghanistan ottiene l’indipendenza e esce dall’isolamento.
1927: Amanullah introduce riforme sociali per modeizzare il paese, sull’esempio di Ataturk in Turchia.
1929: capi tribali e religiosi conservatori costringono il re ad abdicare. Il cugino Muhammed Nadir Shah avvia riforme più graduali; ma è assassinato nel 1933.
1933-1973: regno di Mohammed Zahir Shah, 19ne figlio di Nadir, che concede alcune libertà politiche e promulga una costituzione più liberale e democratica (1964). Nasce il Pdpa (Partito democratico popolare dell’Afghanistan), comunista e legato all’Urss.
1973: colpo di stato di Mohammed Daud (cugino e cognato del re), abolizione della monarchia e proclamazione della repubblica. Re Zahir si rifugia in Italia.
1978: Daud è deposto e assassinato; il Pdpa instaura un regime militare-socialista, che scatena la rivolta popolare.
1979: intervento russo occupa militarmente tutto il territorio e installa un nuovo governo. Inizia l’opposizione armata dell’Unione islamica, composta da varie fazioni di guerriglieri islamici (mujahedeen), sostenuti da Usa, Pakistan, Cina, Iran, Arabia Saudita.
1988: accordi di pace tra Afghanistan, Usa, Urss e Pakistan. Osama bin Laden organizza al-Qa’ida.
1989: l’Armata rossa si ritira; ma continua la guerra civile dei mujahedeen contro Najibullah.
1992: Abdul Rashid Dostum si allea con Ahmad Shah Massud e proclamata la Repubblica Islamica, presieduta dal moderato Burhanuddin Rabbani, rifiutato dagli integralisti guidati da Gulbuddin Hekmatyar.
1994-1996: i Taleban (studenti islamici) insorgono contro l’anarchia e assenza di pashtun nel governo; in pochi anni controllano il 90% del paese e instaurano un governo integralista: una vera dittatura islamica.
1998: Rabbani e il generale Massud si ritirano nella valle del Panjshir e danno vita all’Alleanza del Nord (An), riconosciuta dall’Onu come governo legittimo.
2001: 3 settembre, Massud è assassinato; 11 settembre attacco terroristico alle Torri Gemelle a New York; 7 ottobre Usa e coalizione di alleati invadono l’Afghanistan; 13 novembre l’An entra a Kabul e pone fine al regime Taleban.
27 nov.- 5 dic., conferenza interafghana a Bonn, affida ad Hamid Karzai la presidenza dell’amministrazione provvisoria.
2002: l’ex re Zahir Shah convoca una Loya Jirga, che elegge presidente Karzai, non riconosciuto dai "signori della guerra" che controllano quasi tutto il paese.
2004: approvazione della nuova Costituzione (gennaio); prime elezioni dirette della storia dell’Afghanistan (ottobre): Karzai è riconfermato capo dello stato, ma controlla appena la capitale; il resto del paese è diviso in zone di influenza dei vari "signori della guerra".
Piergiorgio Pescali