USA contro ONU

Il 7 marzo 2006 il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan ha rilasciato un importante documento (1), che sarà fondamentale per implementare il prossimo processo di riforma della massima organizzazione internazionale.
Oggigiorno l’Onu sta perseguendo nuovi ed ambiziosi obiettivi, come per esempio quello del «peacekeeping», in una realtà geopolitica totalmente differente da quella del secondo dopoguerra, quando l’Onu fu fondata (1945). Questo documento sottolinea la fondamentale presenza delle Nazioni Unite in paesi in via di sviluppo ed in numerose aree di conflitto.
Il peacekeeping, ovvero le attività di mantenimento della pace, è proprio uno dei programmi che il segretario generale ha maggiormente a cuore e che ha illustrato nel suo documento di riforma.
Al 31 gennaio 2006 il Dipartimento di mantenimento delle operazioni di pace (Dpko) delle Nazioni Unite gestiva 18 missioni di pace, per un bilancio annuale superiore a 5 miliardi di dollari. Una cifra enorme se si pensa che la maggior parte delle Agenzie di cooperazione e sviluppo opera con bilanci sensibilmente inferiori (2). Eppure queste operazioni di pace, nonostante i lodevoli risultati raggiunti in ambienti ostili e pericolosi, sono sotto continua critica da uno dei suoi maggiori contribuenti (almeno teorici), ovvero gli Stati Uniti d’America. Questi infatti criticano fortemente i risultati operativi delle operazioni di peacekeeping e delle Nazioni Unite più in generale.

La volontà politica di ridimensionare, se non addirittura di «liquidare» (come sostengono i più pessimisti), in tempi rapidi l’Onu è evidente, e si è materializzata nell’agosto 2005 con la contestatissima nomina (effettuata direttamente da Bush durante la chiusura estiva del Congresso) (3) del nuovo ambasciatore americano all’Onu, John Bolton, da sempre nemico dell’organizzazione. La serie di proposte contenute nel documento H.R. 2745, relativo all’agenda di lavoro del senato americano nel giugno 2005, mette in discussione la credibilità delle Nazioni Unite, proponendo delle importanti revisioni al suo mandato, nonché sensibili riduzioni del suo bilancio operativo. A questo proposito, ed è triste a dirsi, l’unico paese occidentale che finora ha risposto a questa proposta finanziaria è stata proprio l’Italia. Il nostro paese ha infatti improvvisamente estinto, ad insaputa degli stessi addetti ai lavori (come, per esempio, il rappresentante permanente italiano all’Onu, l’ambasciatore Marcello Spatafora), i finanziamenti di natura temporanea delle principali Agenzie per lo sviluppo delle Nazioni Unite (Who, Unicef, etc.).
La critica e proposta del governo statunitense ha dell’incredibile se si pensa a quanto spende questo governo per sostenere le proprie «operazioni di pace» (in Iraq, in Afghanistan), che in termine tecnico sono chiamate «nation building», ovvero di costruzione di nazioni (termine molto discutibile se si vedono i risultati della politica estera americana degli ultimi 60 anni, ndr). A tutto questo si somma che i dati e le previsioni di micro e macro-economia americana non sono certo confortanti. Il bilancio dello stato è in profondo rosso, ed il suo governo invece di affrontare le vere priorità intee (cioè occupazione, educazione, sanità e pensioni) ha inventato la famosa «guerra preventiva», la quale ha letteralmente dissanguato le casse dello stato. Questa guerra è stata architettata per due finalità, ad immediato ed a lungo termine: rispettivamente quella di dare importantissime commesse (miliardi di dollari) all’industria militare statunitense e quella di preparare il successivo terreno esplorativo per l’industria petrolifera americana.
Per chi, come me, vive negli Stati Uniti è facile rendersi conto, attraverso i mass media, che il paese si considera a tutti gli effetti in guerra, anche se contro un nemico – il terrorismo – non ben identificato ed identificabile.

Conti alla mano, a quanto ammonta il bilancio annuale della difesa americano? Da stime approssimative, il costo annuale è 100 volte superiore a quanto spendono, in un anno, le Nazioni Unite per mantenere le loro 18 operazioni di pace (4).
La notizia allarmante è che la Casa Bianca ha recentemente richiesto un ulteriore aumento (+ 6.9%) del bilancio della difesa, ovviamente a scapito di altri capitoli di amministrazione civile del bilancio dello Stato (5). La richiesta del presente governo Bush è di avere un bilancio per la difesa pari a 439 miliardi di dollari, a cui si devono aggiungere altri 70 miliardi di dollari per il mantenimento delle guerre in Iraq ed Afghanistan.
A questo proposito vorrei raccomandare ai lettori di Missioni Consolata un interessantissimo documentario («Why we fight» di Eugenee Jarecky, 2006) (6), che descrive ed analizza l’incredibile impennata delle spese militari, la cui industria ha strettissimi legami con l’amministrazione Bush. Mi auguro che questo documentario possa essere tradotto e presentato anche in Italia, dove purtroppo una grande parte dell’opinione pubblica, come negli Stati Uniti, non è al corrente di questi fatti.

DI BARBARA MINA

Note:
(1) Vedere: A/60/692; scaricabile dal sito internet delle Nazioni Unite: www.un.org.
(2) Per esempio, il bilancio annuale dell’UNDP (Programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite) non supera 900 milioni di dollari.
(3) Agosto 2005.
(4) Queste impiegano circa 80.000 uomini di stati membri e 15.000 funzionari civili Onu.
(5) Fonte: Financial Times, Tuesday February 7, 2006.
(6) Sul sito www.whywefight.com è visibile un trailer molto significativo.

Barbara Mina

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