INTRODUZIONE
AFRICANI ED EUROPEI: TUTTI INSIEME PER CINQUE GIORNI
Bamako, polverosa e caotica capitale saheliana. Stretta tra l’altopiano mandingo e il fiume Niger, che scorre tranquillo, in questa stagione, lontana dalle piogge. Città prescelta per ospitare il primo Forum sociale mondiale (Fsm) in terra africana. Forse per la vivacità della sua società civile e dell’associazionismo maliano in genere.
Molti non ci credevano, neppure gli stessi organizzatori. Eppure ce l’hanno fatta: hanno messo in piedi un evento mondiale. Per la prima volta il Consiglio internazionale del Fsm ha deciso per la formula «policentrica». Tre eventi, in tre continenti, quasi contemporaneamente: Bamako (Mali), Caracas (Venezuela) e Karachi (Pakistan). Il primo si è svolto tra il 19 e il 23 gennaio, il secondo la settimana successiva, mentre l’asiatico si è tenuto a fine marzo a causa del terremoto che ha colpito il paese.
Il Fsm è nato a Porto Alegre (Brasile) dove si è svolto nella prima edizione 2001, e nelle successive 2002, 2003 e 2005. Mentre nel 2004 si è tentata la carta asiatica, con il grande successo di Mumbai (India). E ora l’Africa. Ma questa tappa si completerà a gennaio 2007 quando il Fsm – questa volta non policentrico – si svolgerà a Nairobi (Kenya). Ed è infatti un percorso che gli organizzatori africani seguono, da ovest a est, per coinvolgere più popoli africani possibile.
Ai precedenti Forum mondiali la delegazione dall’Africa è stata sempre presente, ma ridotta a causa dei costi. Difficile quindi un coinvolgimento e una ricaduta significativa. Ed è proprio questo uno degli obiettivi dell’evento: raggiungere una più larga fetta di popolazione anche di questi paesi.
Leader contadini, responsabili di associazioni di donne, giovani, sindacati, semplici cittadini venuti da tutto il Mali, ma anche molti dai paesi vicini e alcuni dalle altre aree africane. Tutti hanno riportato nei loro paesi, città, villaggi qualcosa di quanto ascoltato e costruito a Bamako. Al loro fianco molti europei. Bassa invece la partecipazione di asiatici e latino e nord americani, convogliati, piuttosto sugli altri due Forum policentrici.
Quest’anno i problemi non sono stati pochi. Soprattutto logistici e organizzativi. Ma anche finanziari. Gli organizzatori lo ammettono, se ne scusano chiamando in causa il Consiglio internazionale. È stato l’inizio di un cammino, dicono e promettono «a Nairobi sarà tutto migliorato».
La ricchezza tematica invece è stata grande. Come sempre. Molto importante è stato lo spazio preso
dall’immigrazione, migranti e clandestini. Problematica che tocca il nervo scoperto di molte famiglie africane, e segna la grande differenza tra chi sogna la vita in un paese ricco e chi invece già ci sta. Anche tra i partecipanti.
STRADE AFRICANE PER IL FSM
Quasi 20mila persone da 213 paesi. Per incontrarsi in oltre 800 attività tematiche. E progettare insieme, nella diversità, un mondo più equo. Problemi logistici, mancanza di fondi. A Bamako, Mali, sulla strada per Nairobi.
«Il Forum sociale mondiale policentrico di Bamako è stato realizzato, nonostante tutte le paure nutrite dagli stessi attori. Abbiamo dimostrato non solo che siamo capaci di organizzare l’evento ma anche di contribuire sul piano politico nella decisione per il prossimo Forum che si terrà a Nairobi».
Taoufik ben Abdallah, dell’Ong (organizzazione non governativa) Enda Senegal, è tra gli organizzatori del Forum. «Siamo riusciti nella sfida di far crescere la presa di coscienza dei nostri cittadini e della nostra società civile sull’impatto reale del sistema mondiale sulle società africane. Una spinta ad organizzarsi meglio e capire i problemi ai quali siamo confrontati».
Quest’anno il Forum è stato «policentrico» in quanto si è deciso di suddividere le attività in tre luoghi diversi del mondo: Caracas (Venezuela), Karachi (Pakistan) e Bamako (Mali) dal 19 al 23 gennaio. E non si tratta di Forum «regionali», come quello europeo, che si è tenuto ad Atene lo scorso marzo. È stato importante per gli africani, che agli altri Forum hanno sempre partecipato con delegazioni ridotte, soprattutto per difficoltà economiche, dimostrare che la società civile del continente è viva e capace di realizzare un incontro di questo livello.
Yaya Diakité, tra i principali organizzatori assieme a Mamadou Goita, spiega le dimensioni dell’evento. Sono 325 le strutture della società civile maliana che hanno fatto parte del comitato nazionale di organizzazione. Dal movimento contadino, ai sindacati, ong (organizzazioni non governative) nazionali, artigiani, associazioni culturali e sportive. Le attività tematiche previste superano le 800 mentre i partecipanti si valutano tra i 15 e i 20 mila, provenienti da 213 paesi.
«I costi affrontati sono di circa 700 milioni di franchi cfa (oltre un milione di euro, ndr.) e cercheremo di non lasciare debiti» dichiara Yaya parlando del finanziamento dei Forum. Le difficoltà ci sono state, e pochi mesi prima del previsto inizio non c’erano ancora i fondi necessari. La situazione si è sbloccata grazie ad alcuni finanziatori. In particolare la potente Ong Oxfam Olanda (con 230 mila euro) e il governo del Venezuela. Anche lo stato del Mali ha fornito infrastrutture e fondi. Ma «occorre ripensare la strategia di fund raising (raccolta fondi, ndr.) dei Forum» insistono i rappresentanti del comitato.
«Le associazioni maliane che si sono riunite intorno a questo progetto hanno avuto l’audacia di “prendere la coda del leone”. Ma questo non è che l’inizio perché, da noi si dice: “Occorre prendere la gola del leone per vincerlo”. E il popolo maliano ci ha aiutato in questo» continua Yaya.
Una delle questioni fondamentali di questi Forum in Africa, Bamako 2006 e il prossimo Nairobi 2007 è di permettere alle popolazioni africane di conoscere meglio il movimento: «Toiamo a casa dopo aver vissuto un’esperienza nuova ed esaltante. Abbiamo discusso con i popoli dei cinque continenti di tutte le questioni scottanti del momento. Oggi possiamo dire: siamo del mondo» sostiene l’organizzatore.
I POVERI HANNO PARLATO?
Non la pensa proprio così Daoda, venuto a dorso di cammello da Tombouctou. Un viaggio durato sei giorni e finanziato da un’associazione europea per il commercio equo. «Nel Forum si parla di tanta teoria, non della pratica, per i poveri. Tra i maliani ho visto sempre i soliti “ricchi” parlare». Lui, venditore di artigianato nel Nord del paese, ricco non è, ma sembra molto critico sull’evento. Si tratta della questione della reale partecipazione della massa povera, legata alla rappresentatività dei movimenti sociali e le associazioni della loro base.
Mentre a Mumbai (Fsm 2004 in India) importante è stata la partecipazione degli «intoccabili», a Bamako, ampio spazio è stato preso dai migranti e dai rimpatriati da Ceuta e Melilla. I paesi dell’Africa dell’Ovest e in particolare in Mali sono molto toccati dalla questione dell’emigrazione. Le associazioni europee e africane che lavorano sui flussi migratori hanno creato qui una piattaforma Europa – Africa. «Bamako è una tappa importante per la partecipazione: i candidati all’emigrazione, gli espulsi e i sans papier (clandestini nei paesi europei, ndr.) si sono potuti esprimere. Questo è stato già un ottimo risultato – sostiene Aminata Traoré – una pagina che continuerà fino a Nairobi. Mentre i paesi europei stanno elaborando nuove politiche, sempre più restrittive, noi abbiamo 12 mesi per dare voce all’Africa e analizzarle per tentare di influenzare le decisioni, almeno dal lato africano. Occorre una posizione dell’Africa, attualmente inesistente, rispetto ai flussi migratori».
Oltre all’immigrazione molti sono stati i temi trattati: debito e riforma delle istituzioni inteazionali, mass media in Africa e digital devide (divario tecnologico tra paesi ricchi e poveri), sovranità alimentare, cooperazione, acqua, commercio internazionale, guerre e militarizzazioni, ecc. Un importante spazio è stato consacrato alle attività delle donne, mentre il Campo Thomas Sankarà (dal nome del rivoluzionario presidente del Burkina Faso) ha accolto i giovani.
LOGISTICA…COMPLICATA
Purtroppo, non pochi sono stati i disagi dei partecipanti, causati da una organizzazione logistica approssimativa. Scarsa comunicazione sui frequenti cambiamenti di programma, dispersione dei siti, talvolta cattiva assegnazione delle sale, hanno creato frustrazioni. A sopperire alle deficienze della macchina organizzativa maliana è stata la buona volontà delle singole associazioni che hanno preparato gli incontri tematici, alcuni dei quali con successo.
«Ci siamo sentiti soli», si difende Mamdou Goita. «Questo è un Forum mondiale, non regionale. Abbiamo avuto difficoltà enormi a mobilitare gli altri livelli e ci siamo trovati noi comitato nazionale con il Forum sociale africano (Fsa) a preparare un evento mondiale». Goita rimprovera un mancato appoggio del segretariato internazionale del Fsm e un malfunzionamento della struttura di mobilitazione delle risorse economiche, che non ha funzionato. «È una responsabilità collettiva. Se non c’è un impegno di tutti, il Forum scomparirà» minaccia. «A Nairobi organizzeremo un evento molto più grande (non sarà un Forum policentrico, ma sarà unico per tutti i continenti come le passate edizioni, ndr.), e dovremo arrivarci avendo risolto queste contraddizioni».
UN PROCESSO COLLETTIVO …
PERMANENTE
Sull’approccio per il futuro l’intervento di Sergio Haddah, brasiliano, membro del Consiglio internazionale del Forum sociale mondiale: «Siamo troppo concentrati sulla resistenza, ora dobbiamo portarci di più sulle proposte, sulla costruzione della lotta collettiva». E continua: «Stiamo costruendo una nuova maniera di far politica, a partire dalla società civile. Innovativa per la grande diversità della base e per l’approccio non piramidale. Trasformiamo la diversità in reti di contatto, per moltiplicare l’energia nella lotta politica. Il Fsm è uno spazio forte di analisi della realtà per la ricerca di alternative».
Haddah sostiene che il Fsm deve radicalizzare la sua metodologia: «Dobbiamo costruire le tematiche a partire dagli attori sociali: i temi principali sono quelli delle lotte concrete dei movimenti». E suggerisce anche un metodo pratico, per cui i gruppi di lavoro si costituirebbero e lavorerebbero prima del Forum, a distanza, per poi incontrarsi in un momento di rafforzamento e continuare il lavoro in seguito. In modo che «il processo di costruzione collettiva diventi permanente».
Importante è anche rendere visibile questa lotta. Per questo occorre migliorare la comunicazione e gli strumenti interni per scambiare più informazioni tra i movimenti, lavorare con la stampa a diversi livelli.
L’ITALIA A BAMAKO
Andrea Micconi, cornordinatore del Consorzio Ong piemontesi, presente al Forum legge così la partecipazione italiana: «In un Forum africano uno degli obiettivi è promuovere il dialogo tra società civile e autorità istituzionali locali. L’apporto italiano in termini di esperienze di dialogo tra queste parti può essere significativo. Interessante, ad esempio, che la regione Toscana sia al Forum insieme a componenti della propria società civile e, in particolare associazioni di immigrati. Oppure la partecipazione della Rete dei comuni solidali (Recosol, che raggruppa 100 comuni italiani, con sede a Carmagnola) che ha progetti di cooperazione in Mali. Importanti anche le partecipazioni dei sindacati italiani e dell’Arci, sulla tematica dell’immigrazione».
«Il Fsm ha come sfida di creare agenti di trasformazione sociale. E questi non sono una manifestazione di quelli che ne parlano o ne scrivono ma di coloro che vivono nella realtà – urla l’energica Wahu Kaara, tra gli organizzatori del prossimo Fsm – Porteremo questa sfida a Nairobi per recuperare la sovranità della gente, perché quella degli stati non sta più funzionando».
Marco Bello