1967-2007, l’attualità della Populorum Progressio
Fa un certo effetto rileggere oggi, a quarant’anni di distanza, l’enciclica Populorum progressio, promulgata da Paolo vi il 26 marzo, domenica di pasqua, del 1967. Essa rappresenta uno dei vertici più alti del magistero della chiesa, per certi versi segna uno spartiacque nel cammino della pastorale universale.
Lo sviluppo integrale dell’uomo, inserito nel più vasto sviluppo dell’umanità, viene indicato da papa Montini come via privilegiata verso la crescita della grande famiglia dei popoli e delle nazioni che abitano la terra e, in modo più specifico, vengono indicati i cammini da percorrere, per costruire questa nuova prospettiva internazionale. Il sollecito papale viene rivolto indistintamente sia alle ricche e opulente nazioni dell’Occidente come alle nazioni appena affrancate dal colonialismo, unitamente ad altre, imbrigliate dai legacci del sottosviluppo: tutte vengono indicate da Paolo vi come artefici di un nuovo cammino, in grado di cambiare il corso della storia.
Lo sviluppo è il vero nome della pace, recita il leit motiv, continuamente ripetuto dall’enciclica; ma accanto a questa felice espressione non mancano indicazioni concretissime perché questo principio, apparentemente astratto e irraggiungibile, si concretizzi nella vita dei cattolici e, più in generale, degli uomini di buona volontà. Paolo vi, difatti, lancia un appello alle coscienze degli abitanti dell’opulento mondo occidentale, che ci sembra opportuno ricordare. Dice papa Montini al numero 47: «È l’uomo (del Primo Mondo) pronto a sostenere col suo denaro le opere e le missioni organizzate in favore dei più poveri? A sopportare maggiori imposizioni affinché i poteri pubblici siano messi in grado di intensificare il loro sforzo per lo sviluppo? A pagare più cari i prodotti importati onde permettere una più giusta remunerazione per il produttore? A lasciare, ove fosse necessario, il proprio paese, se è giovane, per aiutare questa crescita delle giovani nazioni?».
S ono interrogativi di un’attualità sconvolgente, soprattutto se si tiene conto che a tutt’oggi si centellinano gli aiuti destinati allo sviluppo dei paesi poveri. I grandi della terra nei periodici incontri dei vari G7 e G8 (l’ultimo è stato in Germania lo scorso giugno ) si riempiono la bocca con affermazioni solenni di solidarietà verso i paesi emergenti, mentre poi, nel concreto della real-politik dei loro interessi, questi stessi capi di stato chiudono i cordoni della borsa.
A volte assistiamo, scoraggiati, alle uscite estemporanee di una certa classe politica nostrana, in cui si afferma che il non pagare le tasse non è proprio un delitto, anzi è consigliabile a chi vuole arricchirsi; così pure le politiche protezionistiche messe in atto per tutelare i prodotti del Primo Mondo, sono la vera causa dell’impossibilità di tante nazioni dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, di poter competere ad armi pari sul libero mercato internazionale.
Ultimo, il fatto di veder sempre più diminuire la propensione a un impegno di vita al servizio dei fratelli e sorelle più poveri la dice lunga su quanto il liberismo sfrenato sia entrato ormai nell’orizzonte di vita di molti giovani. Come si vede, sono appelli alla coscienza che diventano interrogativi stimolanti ancora oggi: rileggere la Populorum progressio, ma soprattutto per tradurla in scelte concrete di vita, ci sembra un cammino più che mai attuale da percorrere.
Mario Bandera