CONSOLATA: madre dei poveri
Il Concilio Vaticano II ha messo l’accento sull’immagine di chiesa come popolo in cammino. Tra le giornie e le speranze, le tristezze e le angosce di tutti gli uomini Maria è, oggi come sempre, modello e guida, luce di consolazione. Soprattutto dei poveri e di ogni persona che soffre.
In questa stagione, la campagna del Sussex si stende lussureggiante da Londra verso il mare. Villette a schiera, case coloniche e nobiliari bucano il manto di prato «all’inglese» che proseguirebbe altrimenti intonso per decine di chilometri. Una fotografia di pace, armonia; magari un po’ noiosa, ma certamente rilassante. Alle spalle il viaggiatore lascia la grande metropoli; di fronte, la turistica costa della Manica è l’unico vero ostacolo prima di tuffarsi nel blu intenso del canale.
UN SANTUARIO SPECIALE
Il santuario di «Nostra Signora della Consolazione», nel paesino di West Grinstead, emerge come una grande macchia bianca immersa in un oceano di verde: un grande luogo di culto come non ci si aspetterebbe di trovare da queste parti, in questa terra dove le parole chiesa e liturgia si sposano obbligatoriamente con il concetto di sobrietà. Ci sono ragioni storiche per spiegare il perché si è voluto dedicare il santuario proprio alla Regina della consolazione. Sì, perché la Consolata ha una delle sue «seconde case» anche in Inghilterra. Dobbiamo ritornare brevemente con la memoria al XVI secolo e agli anni bui che seguirono la rottura politico-religiosa operata dalla corona inglese con la chiesa di Roma. Al colpo di mano di re Edoardo VIII seguirono anni di repressione contro la presenza cattolica in Inghilterra, che ebbero il loro picco durante il lunghissimo regno della figlia di questi: Elisabetta I. Per molti preti, religiosi o anche esponenti laici della chiesa cattolica la fuga fu l’unica opportunità per evitare minacce, arresti, torture e condanne a morte. Inutile dire che l’unica via di salvezza per chi voleva allontanarsi dalle isole britanniche era rappresentata dal mare. I percorsi delle attuali A24 e A23, le autostrade che oggi, piene di traffico, si snodano da Londra verso le cittadine di Worthing e Brighton, divennero il pericoloso cammino notturno di molti pellegrini che cercavano sul continente il modo di salvarsi e, con il tempo, riordinare le fila del cattolicesimo inglese.
Tuttavia, le campagne del sud dell’Inghilterra non offrivano soltanto pericoli a questi viandanti del tutto speciali. A West Grinstead, i Carylls, un’abbiente famiglia cattolica del posto, iniziò a dare rifugio a molti preti che tentavano di lasciare l’isola o, in seguito, cercavano di ritornarvi sotto mentite spoglie per iniziare a ricostituire nella clandestinità le comunità cattoliche. Verso la metà del XVI secolo, venne costruita nella proprietà di famiglia quella che, ancora oggi, è conosciuta come la «casa del prete», una piccola costruzione in cui i rifugiati vivevano sotto mentite spoglie, sovente travestiti da pastori. Sotto il tradizionale tetto di paglia, un fienile nascondeva una piccola cappella in cui, quotidianamente, veniva celebrata l’eucaristia. Altri due nascondigli, ovviamente privi di luce naturale, vennero ricavati utilizzando le canne fumarie della casa, angusti rifugi che permettevano ad una persona in piedi di rimanere perfettamente celata a sguardi inopportuni.
L’affidabilità di questo ricovero di fortuna è testimoniata dal fatto che non si ha avuto memoria di persone scoperte o arrestate mentre vi si nascondevano. La famiglia Carylls subì vessazioni e persecuzioni a causa della testimonianza di fede data in così difficili circostanze e non è difficile immaginare i sentimenti di paura, sgomento, angoscia, che le pareti di quel nascondiglio dovettero respirare per anni.
Quando, nel 1865, venne presa in considerazione la proposta di costruire una nuova chiesa a West Grinstead, si suggerì che il futuro santuario potesse essere messo sotto la protezione della Vergine della Consolazione. L’ordinario della diocesi di Southwark, il vescovo Grant, appoggiò caldamente questa iniziativa, riconoscendo che il «luogo santo», su cui sarebbe sorto il nuovo centro di culto, avrebbe avuto nella Madonna Consolata una degna titolare, madre e modello di una chiesa perseguitata che si fa servitrice degli oppressi della storia. Per l’importanza rivestita in quel tempo e per la particolare spiritualità che da sempre lo animava, il santuario della Consolata di Torino divenne il modello cui ispirarsi e gemellarsi, in modo da poter condividere con esso preghiere, privilegi spirituali e benedizioni.
SPIRITUALITÀ FORTE
Del resto, anche la gente di Torino aveva imparato, nel corso dei secoli, ad affidarsi alla Vergine nei momenti particolarmente difficili della vita cittadina: carestie, epidemie, guerre. La Consolata è sempre stata la discreta «compagna di viaggio» della popolazione che a lei si affidava, attenta e premurosa, pronta ad offrire uno squarcio di luce a chi brancolava nel buio di difficili circostanze esistenziali. Da sempre, insomma, la spiritualità della Consolata si è incarnata nel tessuto quotidiano della vita della città. I grandi santi sociali della chiesa torinese del tempo avevano attinto a piene mani la forza per continuare la loro opera al servizio dei più poveri anche dalla figura umile, silenziosa, ma risoluta della giovane donna di Nazaret che vedevano impressa nell’icona della Consolata.
Questo tratto caratteristico di Maria è stato riconosciuto sin dall’esperienza di fede della prima comunità cristiana. Nel racconto dell’evangelista Giovanni, immediatamente prima dei capitoli dedicati alla passione e morte del Signore, Gesù promette l’invio del suo spirito sulla comunità dei discepoli, spirito che dimorerà in loro, guidandoli nei sentirneri della storia e aiutandoli a ricordare con fedeltà e testimoniare con autorità il messaggio di Gesù. Per compiere il suo mandato, la chiesa trova in Maria un modello degno di essere imitato. In lei, celebra un essere umano capace di trascendere la propria realtà e che, abitato dallo spirito, indica con coraggio i valori del regno. Il conto del Magnificat riassume al meglio lo status che Maria riveste davanti a Dio e alla chiesa: è la umile e docile ancella del Signore, da lui consolata attraverso «grandi meraviglie» affinché possa essere lei stessa una consolatrice profetica dei poveri e degli oppressi. Di conseguenza, noi, che siamo la presente generazione di discepoli di Cristo, chiamati a partecipare e a lottare nel suo mistero di redenzione, crediamo che nessun altro come Maria possa guidarci attraverso le frange, sia umane che divine, di questo mistero. È su questi passi che ci guida il culto della Consolata.
Seguendo le orme di Maria, consolata e consolatrice, si possono superare certi aspetti devozionistici deteriori suscitati da una certa forma di culto mariano, fondata su un eccessivo sentimentalismo e una certa dose di superstizione. Ciò non significa assolutamente farsi beffe della religiosità popolare. Si tratta, invece di recuperare autentiche forme di devozione, che facciano maturare una genuina relazione dell’uomo con l’inesauribile mistero di Dio, relazione che si perfeziona nella prassi delle beatitudini e nella testimonianza dei valori del Regno.
Già papa Paolo VI, nella sua esortazione apostolica Marialis Cultus (1974) incoraggiava la ripresa di pratiche tradizionali di devozione mariana come il rosario, auspicando che esse venissero arricchite da fondamenti teologico-pastorali che le rendessero più vicine alle sensibilità e alle esigenze del mondo contemporaneo. Oggi, nuovi spunti provenienti dalle scienze bibliche, dalla teologia femminista e dal dialogo ecumenico obbligano la chiesa a ripensare teologicamente e pastoralmente il ruolo di Maria e a rivisitare il culto a lei dedicato applicandolo al contesto esistenziale del credente.
Come non pensare all’immagine di Maria che traspare dall’insegnamento del beato Allamano, per quarantasei anni rettore del santuario della Consolata di Torino? L’amore grande per la Vergine, coltivato in intense notti di preghiera e vissute a tu per tu dal coretto che si affaccia sull’icona del santuario, è passione vera per una persona «viva», reale, che l’Allamano indica come modello ai suoi preti e missionari. Una donna «che condusse una vita esteamente ordinaria, ma non in modo ordinario». Una donna come tante, vicina all’esperienza di molte altre madri, figlie e sorelle che si rivolgono a lei per cercare la via dello straordinario nell’ordinario, la santificazione nelle piccole cose. Maria madre dei poveri e degli oppressi, donna del popolo e, nello stesso tempo, icona di fedeltà al progetto di Dio sull’umanità, chiamata ad esser santa per poter essere missionaria, portatrice di Gesù Cristo, consolazione delle genti.
CONSOLARE IL MONDO
Per i poveri, Maria è sempre stata la consolata e la consolatrice, anche se per ragioni culturali, storiche o affettive l’hanno venerata e continuano a venerarla sotto altri titoli. In Colombia, per esempio, il culto alla Virgen del Carmen ha resistito all’invasione di altre devozioni mariane che hanno accompagnato l’evangelizzazione del paese nel corso dei secoli. Se andiamo però a leggere gli aspetti che caratterizzano l’amore della gente alla Madonna del Carmine, non possiamo non individuarvi gli stessi tratti tipici che ci spingono ad abbracciare la Consolata. In una terra segnata da guerra, violenza, disgregazione familiare e sociale come è la Colombia di oggi, Maria assurge a modello di fede e vita cristiana, con le sue doti di madre consolatrice. Come la figura della madre è sociologicamente il centro della famiglia, vero (e molte volte unico) punto di riferimento, Maria, sotto qualsiasi titolo la si voglia chiamare, suscita una spiritualità forte. È una donna energica, determinata, che si impegna, silenziosamente, nell’oscuro lavoro di testimoniare con fede incrollabile la sconfitta del peccato e di annunciare la liberazione messianica dei poveri dalle storiche ingiustizie sociali. In America Latina come nelle baraccopoli di Nairobi, nella foresta del nord del Brasile come nelle ghiacciate steppe della Mongolia o nel deserto umano delle opulente città europee e Nordamericane, Maria continua a essere la donna del Magnificat. È l’umile serva con cui gli emarginati di ogni tempo possono identificarsi. Come ieri furono i pellegrini che fuggivano per le campagne inglesi ad essere accompagnati da Maria al sicuro rifugio di West Grinstead, oggi sono altri migranti a cercarne la protezione. La processione della Consolata che si tiene tradizionalmente a Torino la sera del 20 giugno si veste di nuovi colori e si arricchisce di nuovi volti. Sono i segni della nuova cristianità torinese, frutto della migrazione, che celebra la propria fede nel capoluogo piemontese. Senza rinunciare alle proprie devozioni tradizionali, le comunità latinoamericane, africane, est-europee e asiatiche di fede cattolica pongono ai piedi della Consolata i loro affanni quotidiani. Da lei sono ancora una volta invitati ad avvicinarsi all’unico consolatore: Gesù, il Cristo.
Maria ha dovuto sentire su di sé la forza della consolazione: Maria resa madre prima del matrimonio e subito discriminata, Maria migrante, rifugiata in terra straniera, madre di un uomo ucciso ingiustamente e barbaramente. È proprio la sua drammatica esperienza di povertà, sofferenza, persecuzione e migrazione che rende Maria sorella dei poveri. Nessuno si può sentire da lei rifiutato e questa sicurezza rappresenta una grande fonte di consolazione per coloro che sono continuamente abbandonati alle periferie della storia. Maria è un modello che non sostituisce Cristo in quanto sorgente di ogni consolazione, ma ne completa l’opera grazie alla dimensione matea e femminile della sua esperienza di fede.
Ugo Pozzoli