Sorriso «divorato»
Si chiama Noma: è la malattia più dimenticata; ogni anno toglie il sorriso,
e la vita, a migliaia di bambini. Nel silenzio.
Cancro orale, o stomatite cancrenosa, o ulcera della povertà. Questa ultima definizione è forse la meno scientifica, ma è quella che racchiude meglio la storia e le caratteristiche della malattia. Il termine «ulcera» evoca infatti dolore, sofferenza, distruzione; il termine «povertà» le persone che colpisce, i più poveri fra i poveri.
Ma anche il nome proprio che le è stato attribuito, «Noma», una volta tradotto rende subito l’idea di cosa si ha davanti. Deriva dal greco nomein e significa divorare. Quello che divora è il volto dei malati, soprattutto bambini sotto i sei anni. Uccidendone sette-otto su dieci e sfigurando i sopravvissuti per tutta la vita.
I numeri incerti
della sofferenza
Noma può essere considerata anche il simbolo delle malattie dimenticate, perché, fra le tante che di rado conquistano i riflettori e l’attenzione dei media, è quella più ignorata. «Quando abbiamo sentito il suo nome per la prima volta, non sapevamo cosa fosse. Quando abbiamo sentito la sua descrizione, non potevamo crederci. E da quando abbiamo visto la devastazione causata dalla malattia con i nostri stessi occhi, non siamo stati più gli stessi» scrive Bertrand Piccard, il presidente di una fondazione (Winds Hope Foundation) che si è occupata della Noma.
Anche le notizie sulla sua diffusione non sono precise. Proprio perché presente nelle zone più povere e isolate; non si ha certezza sulla reale quantità di persone colpite, uccise o sfigurate. Valutazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, che risalgono al 1998, riportano 140 mila casi ogni anno, concentrati soprattutto in Africa, ma anche in Asia e in America Latina. Analisi più recenti segnalano 25 mila nuovi casi l’anno, considerando solo i paesi lungo il confine con il Sahara.
La prevalenza, ovvero il numero di malati in totale, potrebbe essere intorno a 800 mila casi nei tre continenti indicati. Numeri già alti, soprattutto se si considera che i casi reali potrebbero essere molti di più, 10 volte tanto.
Secondo un articolo uscito sulle pagine della rivista medica The New England Joual of Medicine, i casi di Noma (o ulcera della povertà estrema, come la definisce il titolo dell’articolo) che vengono riconosciuti rappresenterebbero solo la punta dell’iceberg: appena il 10% dei malati di Noma viene visto da un operatore sanitario, con conseguente diagnosi della condizione. L’articolo è firmato da Cyril Enwonwu, medico che ha raccontato sulle pagine della rivista la sua esperienza in Nigeria, seguendo i bambini dei villaggi nel nordovest del paese africano.
Volti distrutti,
vite perdute
I pazienti sono soprattutto bambini che non hanno ancora sei anni, in particolare fra uno e quattro anni di età. Tutto comincia con una lesione a carico delle gengive, che non curata, progredisce, allargandosi e coinvolgendo via via i tessuti più profondi. La ferita, dolorosa, si estende quindi alle labbra o alla guancia, distruggendo, «divorando» uno dopo l’altro i tessuti che incontra: lingua, mucose e poi ossa, parti della mascella e della mandibola, fino alla possibile caduta dei denti. La cavità sempre più profonda che viene a formarsi, partita dall’interno della bocca, affiora alla superficie, sfigurando per sempre il viso, e la vita, di bambini nati nella povertà estrema.
I pochi che sopravvivono, avranno comunque la vita, oltre al viso, segnata per sempre. La guarigione della ferita, con esiti cicatriziali, impedirà una normale funzione respiratoria e masticatoria, non potranno più parlare né mangiare come gli altri bambini. Non solo le cicatrici residue deturpano il volto, ma distruggono, divorano, anche la vita sociale degli ex malati: vengono confinati, trattati come i lebbrosi, lasciati ai margini della società. Non li si vuole vedere e li si isola; talora vi sono credenze per le quali la malattia è collegabile agli spiriti, e si sospetta persino che le famiglie con casi di Noma attirino il malocchio.
Le radici nella povertà
Non sono note la cause di questa ulcera. Si pensa possa derivare dalla combinazione di diversi fattori, riuniti dalla parola chiave povertà. La malnutrizione, che comporta carenze importanti, quali quella di vitamine, proteine e ferro, ma anche la scarsa igiene orale, la presenza di lesioni sulle gengive e la contemporanea compromissione del sistema immunitario di difesa dell’organismo.
È stato visto, infatti, che spesso la stomatite cancrenosa compare in bambini che hanno avuto da poco malattie infettive, come il morbillo, la malaria, la varicella, la scarlattina, la tubercolosi, la diarrea. Malattie che hanno lasciato indebolito l’organismo del piccolo, già di base malnutrito e con scarse difese. Infine, per completare l’elenco della possibile somma di cause che concorrono alla Noma, in alcuni casi (ma non in tutti, e non è noto il motivo) è stata trovata anche la presenza di germi, introdotti con acqua e cibo contaminati, altra condizione che si riallaccia alla povertà estrema delle persone colpite dalla malattia, che vivono con misure igieniche scarse o assenti.
Prevenire è possibile
Bastano due o tre settimane alla Noma per completare la sua opera di distruzione e, se non curata, portare alla morte nel 70-80% dei casi. Ma la causa di tanto dolore potrebbe essere fermata prima, molto prima, con la prevenzione: basterebbe un’educazione sanitaria alle famiglie, un’alimentazione equilibrata dei bambini, una igiene orale corretta e qualche accorgimento igienico in più. Le persone a rischio per questa malattia infatti non la conoscono, non sanno dell’importanza di una diagnosi precoce e di un intervento tempestivo.
Ma anche se si arriva un pochino più tardi, si può ancora intervenire con l’utilizzo di disinfettanti orali e antibiotici. Quando ormai la malattia è avanzata e si sono già formate le cavità, è ancora possibile fare qualcosa, seppur con maggiori difficoltà e costi, con interventi di chirurgia plastica complessi e ripetuti; in ogni caso, raramente è possibile recuperare le caratteristiche del volto.
Farla scomparire
La Noma è una malattia, come si diceva, strettamente connessa alla povertà. Anche i paesi ricchi, che ora non si ricordano nemmeno di cosa si tratti, l’hanno conosciuta. In Europa e nel Nord America era diffusa fino all’inizio del ventesimo secolo. È sparita grazie al miglioramento delle condizioni igieniche in cui vivevano le persone e con la possibilità di una alimentazione più equilibrata e corretta. Vi sono stati ancora casi durante la seconda guerra mondiale, nei campi di concentramento di Auschwitz e Bergen-Belsen, e, in tempi più recenti, con la diffusione di terapie immunosoppressive e dell’Aids, condizioni cioè di marcata riduzione delle difese immunitarie dell’organismo.
Le strade da seguire per fermare e far sparire la Noma ci sono: prima fra tutte la prevenzione, perché, nel silenzio, non tolga più il sorriso dei bambini in Africa, Asia e America Latina.
I paesi poveri, ogni giorno, fanno i conti con malattie che li uccidono, per le quali non possono curarsi, che spazzano via la vita dei più piccoli e deboli. Sono malattie dimenticate dal mondo ricco, perché non oltrepassano, se non di rado, i confini geografici, climatici o della povertà.
Malattie dimenticate anche dalla ricerca, dall’industria per la produzione di strumenti di prevenzione, diagnosi e terapia, perché interessano solo una parte della popolazione mondiale: una parte che ha poca voce per farsi sentire.
Eppure la leishmaniosi uccide 50 mila persone ogni anno, l’encefalite giapponese ha causato la morte di centinaia di indiani e nepalesi lo scorso anno, soprattutto bambini, la partita con il virus di Marburg in Angola si è chiusa con oltre 300 vittime. Sono solo alcuni esempi, per portare lo sguardo, con una serie di articoli, su quelle malattie che solo di rado, magari quando si avvicina il rischio che approdino ai paesi ricchi, ottengono l’attenzione del resto del mondo.
Valeria Confalonieri