Lo scandalo dell’acqua (1): neoliberisti all’attacco
Due miliardi di persone non hanno accesso all’acqua. Milioni muoiono per malattie trasmesse dall’acqua. Mentre si moltiplicano i conflitti per l’«oro blu», governi neoliberisti e multinazionali alla ricerca di nuovi profitti si attrezzano per rendere l’acqua una merce con un prezzo e un mercato. Morale: avrà l’acqua chi potrà pagarla…
Nel mondo ci sono attualmente circa cinquanta conflitti (fortunatamente non necessariamente armati) tra stati, per cause legate all’accesso, all’utilizzo e alla proprietà di risorse idriche.
Ben di più che per il controllo delle fonti di petrolio. Del resto Mark Twain scriveva: «Il whisky è per bere, l’acqua per combattersi».
Ci deve essere una qualche forma di giustizia riparatrice, se è vero che alcuni tra i Paesi produttori di petrolio figurano però agli ultimi posti nella graduatoria mondiale per disponibilità di acqua potabile: in Kuwait 10 metri cubi l’anno pro capite, negli Emirati Arabi 58 metri cubi… contro la Guyana francese, in vetta all’hit parade dell’acqua, con 812.121 metri cubi pro capite l’anno.
Giuseppe Altamore, nell’introduzione al suo libro I predoni dell’acqua, scrive: «Oro blu, un’espressione suggestiva, forse esagerata. Ma dopo aver letto questo libro, probabilmente non riuscirete a trovare una definizione migliore per un affare da 400 miliardi di dollari».
Solo per l’Italia, il Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche, nella Relazione annuale al Parlamento sullo stato dei servizi idrici, ha valutato che l’ammontare del giro di affari nel settore del ciclo dell’acqua (acquedotti, fognature e depurazione) sfiora i 4 miliardi di euro. Notevole anche l’occupazione del comparto: 63.374 addetti.
Che l’acqua sia davvero «l’oro blu», lo hanno ben intuito alcune grandi multinazionali, che si sono prontamente buttate sul mercato dell’acqua potabile.
Nel 1980 solo 12 milioni di persone nel mondo erano rifoite da imprese private; nel 2000 si era già arrivati a 300 milioni, e si prevede che entro il 2015 tale cifra crescerà fino a quota 1 miliardo e 600 milioni.
Il mercato mondiale dell’acqua è dominato da due grandi multinazionali francesi, la «Vivendi» (che ha inglobato la General des Eaux) e la «Suez» (che ha inglobato la Lyonaise des Eaux), che da sole detengono il 40 per cento del mercato planetario dell’acqua.
Un altro ambito è particolarmente attento a fiutare dove si nascondano i possibili «affari»: è quello della criminalità organizzata.
IN SICILIA,
L’ACQUA È… «COSA NOSTRA»
La prima vera guerra di mafia – secondo gli storici di Cosa nostra – inizia nel 1874, a Monreale, quando viene ucciso il guardiano dell’acqua Felice Marchesi. Il delitto si inserisce nel conflitto tra due organizzazioni mafiose rivali, i Giardinieri e gli Stoppaglieri, che è appunto la prima guerra di mafia documentata.
La mafia siciliana fa affari su tutto il ciclo dell’acqua, grandi lavori compresi. Se non esistessero interessi criminali dietro il controllo delle risorse idriche, difficilmente si capirebbero alcune incredibili contraddizioni della realtà siciliana. In Sicilia piovono normalmente 7 miliardi di metri cubi d’acqua l’anno. Il fabbisogno agricolo, civile e industriale è calcolato in 2 miliardi e 482 milioni di metri cubi. La Sicilia, insomma, potrebbe addirittura esportare acqua, invece alcune province (Agrigento, Caltanissetta ed Enna) soffrono di una sete endemica. Nonostante di acqua in Sicilia si occupino in molti, forse troppi: 3 enti regionali, 3 aziende municipalizzate, 2 società miste, 19 società private, 11 consorzi di bonifica, 284 gestioni comunali, 413 consorzi.
Risultato? Una rete idrica-colabrodo. Anche per lavori fatti male, e sui cui appalti la mafia ha sempre detto la sua. Così come nei lavori di costruzione delle dighe e gli invasi, molti mai iniziati, molti mai finiti. E così i proprietari dei pozzi (spesso controllati dalle famiglie mafiose) vendono l’acqua a caro prezzo.
LE PROSSIME GUERRE
Di fronte ai dati allarmanti sullo stato delle risorse idriche del pianeta, molti esperti concordano nel prevedere che le guerre del XXI secolo scoppieranno proprio a causa delle dispute sull’accesso alle risorse idriche.
Non stiamo parlando di uno scenario futuribile, ma della stringente attualità. Non stiamo facendo della fantascienza, ma della cronaca.
Prendiamo la Turchia, che con risorse idriche pro capite superiori a quelle italiane, è da anni ai ferri corti con Siria e Iraq per il controllo di Tigri ed Eufrate. Ma quello turco non è il solo esempio.
Basti pensare alle dispute che oppongono l’Egitto a Etiopia e Sudan per il controllo delle acque del Nilo (un fiume, tra l’altro, che attraversa ben 9 diversi paesi africani). O alla crisi che, sempre per il controllo delle acque, oppone Israele ai suoi vicini arabi.
E proprio il caso israelo-palestinese è forse il più eloquente. Come testimonia la differenza tra coloni israeliani e popolazione araba che, pur vivendo negli stessi territori, usufruiscono di differenti possibilità di accesso e di utilizzazione delle risorse idriche.
Il consumo medio palestinese, in Cisgiordania e a Gaza, è di circa 150 metri cubi pro capite all’anno, mentre quello dei coloni israeliani dei territori occupati si aggira intorno ai 700-800 metri cubi.
E non è un caso se in Israele la gestione delle risorse idriche fa capo al ministero dell’Agricoltura, mentre l’Autorità palestinese ha affidato la stessa competenza al ministero della Difesa…
Toando alla Turchia, poi, l’attuazione di un gigantesco progetto che prevede la realizzazione di 22 dighe e 19 centrali idroelettriche è diventato un tassello importante della strategia geopolitica nell’area.
La Turchia, con questo progetto, punta a due obiettivi: ribadire la sua supremazia rispetto a Siria e Iraq e controllare militarmente (con l’alibi di proteggere i cantieri dagli attentati) i territori dell’Anatolia sudorientale, che da sempre sono la roccaforte dei curdi.
Sul piano mondiale, dei 263 bacini idrici la cui estensione interessa più di un paese, circa un terzo attraversa più di 2 stati e 10 ne coinvolgono 5 o più.
Più della metà delle risorse idriche di gran parte dei Paesi dell’Africa e del Medio Oriente ha origine fuori dei loro confini; altrettanto succede nell’America Latina.
Negli ultimi cinquant’anni le controversie tra stati per il controllo delle risorse idriche sono state 1.831, in gran parte risolte con la firma di 200 trattati di condivisione dell’acqua o la costruzione di nuove dighe o bacini artificiali; 507 casi invece sono stati conflittuali, in 37 casi hanno comportato scontri violenti, in 21 vere e proprie guerre con l’intervento degli eserciti.
MILIARDI DI PERSONE
SENZA ACCESSO ALL’ACQUA
L’acqua è oggi il bene più prezioso per l’umanità, quello che decide della vita e della morte, del benessere e della povertà.
A livello mondiale, 1 miliardo e 400 milioni di persone non hanno praticamente accesso all’acqua potabile; 1 miliardo beve acqua non sicura; 3 milioni e 400 mila persone muoiono ogni anno per malattie trasmesse dall’acqua.
Si prevede che entro il 2025 vi saranno almeno 3 miliardi di persone che soffriranno per la scarsità di acqua potabile. L’80 per cento delle malattie nei paesi in via di sviluppo sono provocate dall’impiego e dal consumo di acqua insalubre. Ogni giorno 6.000 bambini di età inferiore a 5 anni muoiono in seguito al consumo di acqua non potabile.
E l’Onu ci avverte: «In meno di 25 anni due terzi della popolazione mondiale sarà colpita dalla crisi idrica».
Il futuro, dunque, non è roseo. Le necessità di risorse idriche sono destinate a salire in proporzione alla crescita della popolazione: secondo l’Unesco in tutto il pianeta ci saranno 8 miliardi e 300 milioni di persone nel 2025 e tra i 10 e i 12 miliardi entro il 2050. Ma se la popolazione aumenta, le risorse idriche potabili, tendono invece a diminuire.
IO SPRECO, NOI SPRECHIAMO
Il consumo di acqua nel mondo, dal 1960 ad oggi è aumentato del 60 per cento. Abbiamo parlato di consumo, ma occorre parlare anche di spreco, dei singoli consumatori e delle industrie. Qualche dato è più eloquente di tante parole: per un bagno in vasca si consumano fra i 120 e i 160 litri, ma questa quantità d’acqua corrisponde a quella disponibile gioalmente per 12 o 16 abitanti del Madagascar!
E ancora: per produrre un chilogrammo di carta sono necessari 325 litri di acqua, 95 litri per un chilo di acciaio, 10 litri per un litro di benzina. Per costruire un’auto del peso di una tonnellata, di litri di acqua se ne consumano addirittura 150 mila.
Senza una radicale svolta nella politica idrica e con gli attuali investimenti, l’acqua non inquinata potrà raggiungere l’intera popolazione africana non prima del 2050, quella latinoamericana non prima del 2040 e quella asiatica non prima del 2025. Nel frattempo, milioni di persone moriranno in questa strage silenziosa.
SEMPRE MENO ACQUA
La situazione è allarmante. Perché il 97,5 per cento dell’acqua della terra è salata e del rimanente 2,5 per cento, soltanto lo 0,007 per cento è a disposizione dell’uomo. E le riserve d’acqua stanno diminuendo (sempre fonte Unesco): tra vent’anni ognuno di noi disporrà mediamente di un terzo di acqua in meno.
La maggior parte dell’acqua dolce viene utilizzata per uso agricolo. Più precisamente, l’agricoltura utilizza il 70 per cento delle risorse, l’industria il 20 per cento, e il restante 10 per cento viene indirizzato verso altri usi.
Tuttavia – tornando all’agricoltura – la gran parte dei sistemi di irrigazione è inefficiente, dal momento che essi perdono circa il 60 per cento dell’acqua a causa dell’evaporazione o di flussi di ritorno verso i fiumi e le falde freatiche sotterranee. L’irrigazione inefficiente non determina solamente uno spreco di acqua, ma causa anche dei rischi ambientali e sanitari, fra i quali la perdita di terreni agricoli produttivi a causa dell’acquitrinizzazione dei suoli, un fenomeno che rappresenta un importante problema in alcune zone dell’Asia meridionale, e del fatto che la superficie delle acque stagnanti facilita la trasmissione della malaria.
In alcune zone del mondo il consumo idrico ha comportato degli impatti ambientali impressionanti. In alcune aree degli Stati Uniti, della Cina e dell’India, le falde freatiche vengono consumate più rapidamente di quanto non riescano a ricostituirsi, e le superfici delle stesse si stanno riducendo costantemente. Alcuni fiumi, come il Fiume Colorado negli Stati Uniti occidentali e il Fiume Giallo in Cina, spesso si prosciugano prima di raggiungere il mare.
Un altro problema considerevole è quello delle dighe, che drenano l’acqua, spesso alterando il corretto equilibrio ecologico. Si calcola che nel mondo ci siano più di 800 mila dighe di varie dimensioni, che immagazzinano 6.000 chilometri cubi di acqua, pari al 15 per cento circa della riserva rinnovabile del pianeta.
Quasi la metà dei maggiori fiumi è stata in qualche modo alterata dalla costruzione di questi sbarramenti artificiali.
In Italia sono state censite circa 11 mila dighe, solo 800 delle quali controllate dal Servizio nazionale dighe. Le altre 10.000 sfuggono alle verifiche del Servizio nazionale per il semplice fatto che non rientrano nei parametri previsti per il controllo obbligatorio: un’altezza superiore ai 15 metri o un invaso della capacità di almeno 1 milione di metri cubi d’acqua.
LA DESERTIFICAZIONE
AVANZA
C’è poi l’incubo della desertificazione. Anche qui qualche dato:
• il 39% circa della superficie terrestre è «affetta» da desertificazione
• 250 milioni di persone sono direttamente a contatto con la degradazione della terra nelle regioni aride
• più di 100 paesi nel mondo sono interessati dal fenomeno
• la perdita di reddito imputabile alla desertificazione è di circa 45 miliardi di dollari ogni anno
• il 70% dei terreni aridi utilizzati in agricoltura sono già degradati
• la desertificazione impoverisce le possibilità di produzione alimentare: ogni anno 12 milioni di ettari vengono così persi
• la desertificazione impoverisce la biodiversità.
ITALIA: INQUINAMENTO,
PERDITE, CONSUMI ECCESSIVI
Il fenomeno della desertificazione riguarda anche l’Italia. Le zone italiane più interessate dal processo di desertificazione sono soprattutto le isole, grandi e piccole, e le coste del Sud: la Sicilia e la Sardegna, le isole Pelage (Lampedusa, Linosa e Lampione), Pantelleria, le Egadi, Ustica e parte delle coste di Puglia, Calabria e Basilicata per un totale di 5 regioni, 13 province per 16.100 chilometri quadrati di territorio pari al 5,35% dell’Italia.
La regione dove più alto è il rischio di terre «aride e desolate» è la Sicilia con il 36,6% del suo territorio sensibile alla desertificazione e 5 province (Siracusa, Enna, Ragusa, Trapani e Agrigento). Segue la Puglia con il 18,9% del territorio ed anche una zona non costiera (l’interno del Gargano); la Sardegna con il 10,8%.
Secondo le previsioni di Legambiente, infatti, la temperatura nel nostro Meridione è destinata a salire di 2-3 gradi nel giro di un secolo, facendo calare le risorse idriche da 6,3 miliardi di metri cubi a 5,1 miliardi.
Secondo le stime del Wwf, ciascun italiano ha una disponibilità teorica annua di 2.700 metri cubi d’acqua, ma la quantità realmente disponibile crolla a 1.100 metri cubi a causa dell’inquinamento delle falde e dei fiumi e della rete idrica vecchia e inadeguata, con una significativa percentuale delle riserve sprecata per via delle perdite e degli allacciamenti abusivi.
I consumi domestici nel nostro paese rimangono a livelli eccessivi, se si pensa che l’italiano medio consuma 250 litri d’acqua potabile al giorno, mentre i nostri vicini svizzeri ne consumano 159 litri e gli svedesi 119.
Le perdite della rete di distribuzione continuano a superare mediamente il 35 per cento, ma raggiungono il 60 per cento in alcune regioni meridionali. In Svizzera e in Svezia la percentuale di tali perdite si attesta attorno al 9 per cento.
ITALIA: EVASIONE FISCALE
E TARIFFE
L’abusivismo è poi diffuso. Siamo di fronte a un vero e proprio «furto d’acqua». Mentre l’uso dell’acqua cosiddetta «produttiva» (cioè per usi agricoli, industriali, energetici e in altre attività del settore terziario) rappresenta il 75 per cento dei prelievi, essa costituisce solo il 10 per cento dell’acqua fatturata. Abbiamo dunque un’evasione pari al 90 per cento del prelievo.
Un’altra anomalia italiana riguarda le tariffe. Le nostre tariffe per la foitura idrica sono tra le più basse in Europa: il costo può variare da 0,15 a 1,55 euro, a seconda delle zone. Questo ha fatto diventare gli italiani i maggiori consumatori europei di acqua per uso domestico, con 250 litri al giorno prelevati da ogni cittadino. Ma, indagando sull’impiego dell’acqua, si scopre che il 39% se ne va in igiene personale, il 20 per il Wc, il 12 per la lavatrice. Appena l’1% è utilizzato per bere.
IL «CONTRATTO MONDIALE SULL’ACQUA»
L’acqua non è una risorsa inesauribile. Sull’acqua, come ricorda Giuseppe Altamore nel suo libro, incombono molti pericoli: la desertificazione di vaste aree, anche nel nostro paese, la salinizzazione delle falde costiere, l’inquinamento e lo spreco stanno compromettendo sia la qualità che la quantità delle nostre risorse.
Si fa dunque indilazionabile una proposta di «governo dell’acqua» che risponda a precisi criteri: garanzia del diritto fondamentale all’acqua concepita non come un mero prodotto commerciale, ma come un servizio pubblico essenziale, e trattato dunque come altri beni fondamentali (l’istruzione, la sanità, l’assistenza sociale) nel quale l’efficacia e l’efficienza si misurano sulla capacità di coniugare la sostenibilità economica e la qualità e diffusione del servizio.
Concretamente ciò significa «rigenerare il bene acqua attraverso un cambiamento strutturale degli usi». Non sono parole mie, le traggo dal Manifesto italiano dell’acqua 2005, stilato dal «Comitato italiano del Contratto mondiale sull’acqua».
La richiesta di un «governo delle risorse idriche» vale su scala nazionale, ma anche tra stati.
Nel Manifesto leggiamo infatti: «Vi sono grandi bacini, come quello del Guaranì, che essendo corpi idrici a valenza globale, dovrebbero essere governati in modo congiunto dai paesi sui quali si estende il bacino. È inaccettabile che il mar Morto stia scomparendo (ha già perso il 30 per cento della sua superficie), come è quasi scomparso il lago Baikal. I grandi laghi dell’America del Nord, come i grandi fiumi dell’Amazzonia, dell’Africa e dell’Asia che attraversano più paesi, costituiscono degli “ecosistemi maggiori” d’importanza vitale per il funzionamento del ciclo integrale dell’acqua e della vita sul pianeta terra».
Per l’Italia, il Manifesto, annota: «Dopo il disastro che è stato fatto in questi anni in Italia del bene acqua, è necessario puntare alla rigenerazione del capitale idrico nazionale adottando severe misure di riduzione drastica delle fonti di inquinamento e di contaminazione, tra le quali restano determinanti i pesticidi, i nitrati, gli idrocarburi, i metalli pesanti e, in maniera crescente le sostanze tossiche di origine umana legate all’alta medicalizzazione delle nostre popolazioni».
Per raggiungere questi obiettivi, il Manifesto suggerisce alcune misure concrete:
• riduzione di almeno il 40 per cento delle perdite in irrigazione legate al metodo di polverizzazione. L’irrigazione rappresenta in Italia il 55 per cento dei prelievi di acqua dolce. Di questi, il 40 per cento si perdono per evapotraspirazione;
• portare al 12-15 per cento i livelli di perdita delle reti di distribuzione;
• effettuare un censimento generale dei pozzi. Si stima che in Italia ci siano circa 1,5 milioni di pozzi illegali, che prelevano acqua dolce dove vogliono, senza nessun controllo;
• riduzione dei flussi negli usi domestici a livello di bagni, tornilette, grazie a sistemi di riciclaggio delle acque reflue.
Naturalmente si tratta solo di alcune indicazioni, tra le tante possibili. Ma il problema è soprattutto politico e di educazione dei consumatori.
IL «CODICE DELL’AMBIENTE»
A febbraio c’è stata la Delega ambientale, chiamata anche Codice dell’ambiente. Che dedica molti dei suoi articoli proprio alla gestione delle risorse idriche.
Mi limito a citare quanto prevede l’articolo 144 (tutela e uso delle risorse idriche), che potremmo definire come un «Manifesto delle risorse idriche»:
• Tutte le acque superficiali e sotterranee ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato.
• Le acque costituiscono una risorsa che va tutelata ed utilizzata secondo criteri di solidarietà; qualsiasi loro uso è effettuato salvaguardando le aspettative e i diritti delle generazioni future a fruire di un integro patrimonio ambientale.
• La disciplina degli usi delle acque è finalizzata alla loro razionalizzazione, allo scopo di evitare gli sprechi e di favorire il rinnovo delle risorse, di non pregiudicare il patrimonio idrico, la vivibilità dell’ambiente, l’agricoltura, la piscicoltura, la fauna e la flora acquatiche, i processi geomorfologici e gli equilibri idrogeologici.
Sulla carta sembrano principi ampiamente condivisibili, ma sull’impianto complessivo della delega ambientale le polemiche non mancano (da Legambiente, ad es.).
Il Codice dell’ambiente, all’articolo 159, istituisce anche l’«Autorità di vigilanza sulle risorse idriche», con il compito di vigilare perché le norme dettate dalla legge siano rispettate.
L’ACQUA DI SAN FRANCESCO
Il documento della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, dal titolo «Frutto della terra e del lavoro dell’uomo», al paragrafo 25 recita: «Al riguardo (dell’acqua) ci sembra opportuno ribadire alcune convinzioni e orientamenti. L’acqua, anzitutto, è un bene di tutti e per tutti. Il suo valore impareggiabile è ben avvertito dal cuore di san Francesco, per il quale l’acqua “è molto utile et humile et pretiosa et casta”. Essa non va sprecata ma custodita con uno stile di vita sobrio, a cominciare dalle famiglie. È necessario fare adeguati investimenti per salvaguardare tale bene».
Siamo così al punto di partenza. L’acqua è la vita, là dove c’è in misura adeguata e con qualità garantita. L’acqua può diventare la morte, dove manca o è inquinata.
Come tutto il creato, è affidata da Dio alle nostre mani. Possiamo attingere alle sorgenti e fare del nostro pianeta l’Eden tra i grandi fiumi. Oppure trasformarlo in un pianeta devastato, desertificato, un Eden perduto.
Il futuro è, più che mai, nelle nostre mani.
Maurizio De Paoli
Maurizio De Paoli