Siccità, sprechi, business
Qualche anno fa il presidente statunitense Bill Clinton dichiarò che un quarto della popolazione mondiale non ha mai tenuto in mano un bicchiere d’acqua potabile. I dati sembrano dargli ragione: il 97 per cento dell’acqua del pianeta si trova negli oceani e nei mari salati e solo il rimanente 3 per cento è adatto al consumo umano, ed esso è di difficile accesso, le riserve d’acqua dolce infatti sono costituite in gran parte dalle calotte polari e dai ghiacciai e solo il 20 per cento da riserve e correnti sotterranee. Questi semplici dati confermano che l’acqua è un bene prezioso, dall’equilibrio fragile e delicato, ma se visto sotto l’aspetto economico il tutto diventa un grande affare. L’idea economica legata all’utilizzo delle acque sta prendendo sempre più piede, tant’è che nel mondo attualmente già 10 grandi multinazionali sfruttano, gestiscono e commerciano acqua a pagamento. Grazie al controllo dei mezzi di informazione sempre più si instilla nell’opinione pubblica l’idea che l’acqua dovrebbe essere privatizzata al fine di rendere più agibile e fruibile un bene che in realtà è destinato a tutti e non può essere consegnato nelle mani di pochi. Questo è il nodo della questione, non possiamo permettere che l’acqua venga da una parte inquinata e dispersa e dall’altra accaparrata da pochi potentati economici in grado di aprire i rubinetti a loro piacimento, ovviamente dietro pagamento di bollette sempre più salate.
In teoria tutti i paesi membri delle Nazioni Unite, concordano sul principio che l’acqua non va considerata come una risorsa economica, bensì come un bene sociale, nella pratica invece essa è una merce come un’altra e ultimamente sta diventando una sorta di «gallina dalle uova d’oro». Molti di quegli stessi paesi che riconoscono all’acqua un valore sociale, nelle ovattate stanze dove si trattano i problemi inteazionali fanno di tutto per privatizzarla e questo sarebbe una sventura proprio per quei paesi del Sud del mondo più deboli di fronte alle pressioni politiche dei grandi di tuo e meno preparati all’assalto delle multinazionali.
Un problema di questo genere non è molto di casa in ambito ecclesiale, se non nella variopinta nicchia dei missionari, ma – come dice la «Gaudium et spes» – ogni problema legato all’ambiente è un problema dell’uomo e quindi è un problema della chiesa.
Mons. Feando Charrier, vescovo di Alessandria, concludendo i lavori di un convegno organizzato a Mortara (1), affermava come siano importanti i valori che mettono al centro l’uomo e non invece gli antivalori che vengono spacciati oggi da una visione economicista e liberista della vita. Dove al primo posto viene messo il profitto e lo sfruttamento irrazionale del Creato.
Mario Bandera