Da mesi il Ciad è sull’orlo della guerra civile: gruppi ribelli ed esercito regolare si combattono nelle regioni dell’est e del sud del paese, ai confini con il Sudan e la Repubblica Centrafricana; il 14 aprile la guerriglia è arrivata nella capitale, N’Djamena, nell’ennesimo tentativo di rovesciare il presidente Idriss Deby, al potere dal 1990. Il colpo di stato è fallito, ma la tensione rimane; l’episcopato ciadiano teme una catastrofe nazionale.
Ad aggravare la situazione ha contribuito la modifica della Costituzione, per consentire al presidente un terzo mandato, e della legge del petrolio, per usae i proventi in spese militari, anziché in opere pubbliche a lungo termine, come imposto dalla Banca mondiale.
Tali cambiamenti hanno provocato diserzioni in massa dell’esercito inviato a sedare le ribellioni al confine con il Sudan, ma soprattutto tra gli alti ufficiali, quelli più vicini al presidente, passati dalla parte dei ribelli, raggruppati sotto diverse sigle: Fronte unito per il cambiamento (Fuc), Fronte unito per il cambiamento democratico (Fucd), Fronte per il cambiamento, l’unità e la democrazia (Scud), Movimento per la democrazia e giustizia del Ciad (Mdjt), Coalizione per la democrazia e la liberà (Rdl).
A prima vista sembrerebbe una lotta di potere tutta intea, tra i membri dello stesso clan di cui fa parte il presidente: gli zaghawa, originari del Darfour. Ma i burattinai che tirano le fila sono altrove.
La Francia, per difendere la stabilità politica nella regione e nel resto del continente, mantiene in Ciad un contingente di 1.200 soldati, offrendo aiuto logistico e informativo all’esercito regolare, come ha fatto durante il colpo di stato.
Gli Stati Uniti sono padroni delle finanze del paese attraverso la Banca mondiale, che finanzia le compagnie americane Exxon e Chevron Texaco nella trivellazione ed estrazione del petrolio, che dal bacino di Doha viene convogliato da un lungo oleodotto sulle coste atlantiche del Camerun.
La Cina fornisce armi e mezzi di trasporto ai ribelli, nella speranza di mettere le mani sulle risorse petrolifere, ancora inesplorate, della regione confinante con il Sudan, e convogliarle verso il Mar Rosso.
Di fronte alle turbolenze del Medio Oriente, l’Africa sta diventando la grande riserva petrolifera sulla quale si rivolgono le mire di Usa e Cina, sempre più assetata di oro nero. Il Ciad è una pedina strategica nel grande gioco per l’accaparramento energetico del futuro.
Benedetto Bellesi