Lo scandalo dell’acqua (2): diritto o merce?
L’acqua è un bisogno e un diritto umano. Sembra un’ovvietà, eppure gli organismi inteazionali, come dimostra il recente Forum di Città del Messico, non la pensano così. Perché mai? Come sempre dietro questioni di questa portata ci sono le multinazionali e dietro queste, come sempre, la ricerca del profitto privato. A tutti i costi.
Il 2006 si è aperto con una grave carestia in Africa orientale: in Kenya, Somalia, Etiopia, Eritrea, Gibuti milioni di persone stanno affrontando una grave carenza di cibo. La situazione è stata provocata dall’ennesima siccità.
Siccità ed alluvioni, in entrambi i casi il risultato è lo stesso: sofferenze, vittime, danni.
Qualcuno ribatte: questo è sempre avvenuto, ma un tempo le notizie non si conoscevano come si conoscono oggi nell’era della comunicazione in tempo reale. Non è così: in tutto il mondo, i cambiamenti climatici e l’alterazione del ciclo dell’acqua stanno provocando la cronicizzazione dei fenomeni estremi, con un sempre più frequente alternarsi di periodi di siccità e di alluvioni. E con l’aggravarsi dei processi di desertificazione (1).
LE RESPONSABILITÀ UMANE
Non tutti sono d’accordo sulla drammaticità dei problemi ambientali e soprattutto sulle responsabilità umane. Ad esempio, l’amministrazione Bush, (che però si è in parte ricreduta dopo i disastri dell’uragano Katrina) o alcuni autori, che parlano addirittura di «falsi SOS».
«Nella storia – scrivono Cascioli e Gasperi (2) – le risorse sono andate sempre aumentando e diversificandosi (…). Due secoli fa nessuno conosceva il petrolio, ma anche averlo non serve a un granché se non si ha a disposizione la tecnologia per estrarlo, raffinarlo e distribuirlo. Discorso analogo si può fare per l’acqua: nessuno di noi oggi si disseta andando direttamente alla sorgente. La possibilità di soddisfare le esigenze idriche della popolazione sta invece nella tecnologia che ha permesso di potabilizzare acqua che in natura non sarebbe bevibile e nella costruzione di acquedotti che portano l’acqua direttamente nelle case. Così si può facilmente immaginare che nei prossimi decenni avremo a disposizione risorse che oggi neanche immaginiamo. Il che vuol dire soltanto una cosa: il concetto di risorsa non è definito dalla natura, ma dalla creatività e dalla tecnologia umana che rende sfruttabile una determinata componente della natura». Da non credere: riporre la soluzione di un problema di portata planetaria nella creatività e nella tecnologia è quantomeno semplicistico e fuorviante.
«L’acqua – si legge nel Dizionario critico della globalizzazione – è diventata un bene raro soprattutto per l’utilizzo insensato e dilapidatore da parte dell’uomo (…). Abbiamo prosciugato i fiumi e le falde, distrutto la vita nei laghi, contaminato il suolo, devastato il territorio» (3). La questione idrica, inoltre, tende ad aggravarsi a causa della crescita demografica: più popolazione significa più domanda d’acqua.
Occorre allora riconsiderare il comportamento umano, come singoli, come società nazionali e come organismi inteazionali. Occorre in primis definire cosa sia la risorsa naturale acqua. Già qui iniziano però i problemi…
ACQUA DIRITTO UMANO?
SÌ, FORSE, MEGLIO NO
In marzo si è svolto a Città del Messico il IV «Forum mondiale dell’acqua». A prima vista, viene da dire: bello, giusto, importante. Ma poi, quando si legge dietro gli slogan, le cose cambiano e di molto.
Tra gli organizzatori del Forum c’erano i membri di «AquaFed», che è l’associazione degli operatori privati dell’acqua, comprendente più di 200 soggetti, tra cui le grandi multinazionali del settore. Dunque, è importante mettere assieme i tasselli del quadro: il Forum è stato finanziato da quelle stesse imprese che cercano di impadronirsi dell’acqua per fae mercato! Ma le multinazionali non sono mai mosse da slanci filantropici, bensì dalla ricerca dell’utile e dal suo continuo incremento (si chiama «massimizzazione del profitto»).
L’alleanza tra i rappresentanti degli interessi neoliberisti (Banca mondiale, Fondo monetario internazionale, Banca interamericana di sviluppo, ecc.) e di quelli privatistici (le imprese multinazionali) ha pesantemente condizionato il Forum e le sue conclusioni. Nella dichiarazione conclusiva firmata dai delegati di 148 paesi si legge che «l’acqua è una garanzia di vita», ma non si fa cenno al concetto di «diritto».
Presagendo questa conclusione, in contemporanea al Forum ufficiale, a Città del Messico si è anche svolto un forum alternativo dei «Movimenti in difesa dell’acqua» al quale hanno partecipato 300 organizzazioni non governative di 40 paesi. Nella loro dichiarazione finale i movimenti hanno affermato che «l’acqua in tutte le sue forme è un bene comune e il suo accesso è un diritto umano fondamentale e inalienabile».
Bisogno o diritto umano? Non è una banale scelta terminologica. Un bisogno può essere soddisfatto in molti modi, soprattutto da chi ha i soldi. Un diritto umano, invece, appartiene per definizione ad ogni persona e non può essere venduto, non può divenire oggetto di mercato, non ha prezzo. Insomma, una bella differenza.
Ci piace citare l’appello del «Forum italiano dei movimenti per l’acqua»: «L’acqua è fonte di vita. Senza acqua non c’è vita. L’acqua costituisce pertanto un bene comune dell’umanità, un bene irrinunciabile che appartiene a tutti. Il diritto all’acqua è un diritto inalienabile: dunque l’acqua non può essere di proprietà di nessuno, ma deve essere condivisa equamente da tutti».
DISCUTIBILI ALLEANZE
Come si è arrivati a mettere in discussione un bene comune come l’acqua?
In un’epoca di neoliberismo e di fondamentalismo del mercato («più impresa, meno stato», è uno dei tanti slogan), si è celebrata l’alleanza tra istituzioni inteazionali ed imprese multinazionali, un’alleanza forte, che gode di protezioni politiche e di una macchina propagandistica formidabile.
«La Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale – scrive Francesco Martone – operano in base all’assioma secondo il quale la dismissione delle imprese di proprietà dello stato in favore di compagnie private può aumentare l’efficienza economica della gestione delle risorse idriche con conseguente riduzione del debito pubblico ed una migliore gestione del bilancio nazionale. I governi prevedono così di ridurre il loro deficit attraverso la privatizzazione. Tuttavia la volontà delle imprese ad investire dipende principalmente dalla loro capacità di massimizzare il ritorno sull’investimento stesso. Quest’ultima dipende a sua volta dal livello di tariffe imposte agli utenti».
Riassumendo, ecco la sequenza degli eventi che produce la privatizzazione dell’acqua: aumento dei prezzi, impossibilità per le classi più povere di accedere al servizio, incremento dei problemi di salute pubblica (diarrea, colera, gastroenteriti, eccetera), investimenti concentrati nelle zone a reddito certo, escludendo pertanto le zone rurali e le periferie degradate (come sono la maggior parte delle baraccopoli).
L’ACQUA IN UN MONDO
PRIVATIZZATO
Secondo Maude Barlow e Tony Clarke (4), «la mercificazione dell’acqua è sbagliata dal punto di vista etico, ambientale e sociale».
«L’antidoto alla mercificazione dell’acqua – continuano i due studiosi ed attivisti canadesi – è la sua demercificazione. L’acqua deve essere dichiarata e concepita come proprietà di tutti. In un mondo dove tutto viene privatizzato, i cittadini devono stabilire chiari perimetri intorno a quelle aree che sono sacre per la vita e necessarie alla sopravvivenza del pianeta. I governi dovrebbero semplicemente dichiarare che l’acqua appartiene alla terra e a tutte le specie ed è un diritto umano fondamentale. Nessuno ha il diritto di impadronirsene a fini di lucro».
Barlow e Clarke non hanno fiducia né nei governi né nelle istituzioni globali. Le loro speranze sono riposte nella società civile. Ma basterà?
(1) Sulla desertificazione sono molto preoccupanti le risultanze degli studi condotti dall’Unccd (United Nations Convention to Combat Desertification). Si veda inoltre Intoo a noi… il deserto, dossier di «Amico», giugno 2006.
(2) Riccardo Cascioli – Antonio Gasperi, Le bugie degli ambientalisti. I falsi allarmismi dei movimenti ecologisti, Piemme 2004. Abbiamo già criticato questo saggio su MC di marzo 2005.
(3) Ignacio Ramonet, Ramón Chao, Jacek Wazniak, Piccolo dizionario critico della globalizzazione, Sperling&Kupfer Editori 2004.
(4) Maude Barlow e Tony Clarke, I padroni dell’acqua, The Nation (Usa), ripreso dal settimanale Internazionale del 30 agosto 2002. Maude Barlow e Tony Clarke sono autori di vari studi sui problemi dell’acqua.
Paolo Moiola