Lo scandalo dell’acqua (4): l’acqua in bottiglia (di plastica
Abbagliati da una pubblicità ossessiva ed invadente, gli italiani sono i primi consumatori mondiali di acqua in bottiglia: 184 litri a testa! Eppure la logica direbbe di non comprare o almeno di limitare l’acquisto di questo prodotto. Che costa uno sproposito, impoverisce lo stato, inquina il mondo e da ultimo non è proprio detto che faccia così bene…
Un famoso calciatore e una giovane miss Italia: sono loro i testimonial più utilizzati in questi mesi del 2006. La pubblicità, invero simpatica, è quella di due note marche di acqua minerale.
I produttori di acque minerali spendono cifre da capogiro sui media e in particolare in televisione per pubblicizzare i loro taumaturgici prodotti: 300 milioni di euro nel 2004, 600 miliardi di vecchie lire (fonte Nielsen).
Dato che gli introiti della pubblicità sono sacri e spesso fondamentali è difficile leggere o vedere qualcosa contro le acque minerali (1). Trovare qualche notizia libera da condizionamenti è un’impresa, soprattutto sui media importanti, come riconosce, con amarezza, Giuseppe Altamore nel suo libro Qualcuno vuol darcela da bere.
«È (…) un tema – si legge – dai risvolti oscuri tale da suscitare una certa indignazione in chi pensa che la libertà di stampa sia un diritto inderogabile. Purtroppo, l’informazione economica è sottoposta a pressioni e contaminazioni il più delle volte ignorate dai lettori. Nel campo delle acque minerali prevalgono gli interessi dei grandi gruppi del comparto alimentare che aderiscono a Mineracqua, organizzazione aderente a Confindustria. (…) i produttori di minerale fanno parlare di sé a ogni spot televisivo, invadono le pagine dei giornali, rimpinguano gli esausti bilanci delle case editrici che accettano ben volentieri milioni di euro di pubblicità in cambio di un tacito silenzio».
Anche la rivista Altroconsumo vive senza pubblicità ed infatti sul numero 126 dell’aprile 2000 si legge: «“Coccola i reni”, rende la vita leggera, aiuta a fare ping! ping!, reintegra il giusto equilibrio di minerali… le teste d’uovo della pubblicità usano tutta la loro fantasia per convincerci che l’acqua minerale è poco meno di una panacea. Dato che in Italia se ne bevono fiumi, c’è da stupirsi che ci sia ancora in giro qualche malato.
La verità è diversa. L’acqua in bottiglia fa bene, sì, esattamente come quella di rubinetto. Non ci sono motivi fondati per aspettarsi chissà quale vantaggi per la salute dall’acqua minerale, così come non ce ne sono neanche per diffidare sistematicamente di quella foita dagli acquedotti (…). In linea di massima, l’unico motivo per preferire l’acqua minerale è il gusto: vi piace di più di quella che passa il rubinetto di casa».
La conclusione dell’inchiesta di Altroconsumo è ironica: «È proprio vero che l’acqua minerale rende più leggeri, soprattutto i nostri portafogli».
ITALIANI: SORDI E CIECHI
Nel 2003 un rapporto di Legambiente (2) scriveva: «In Italia si consuma più acqua minerale che in qualsiasi altro paese del mondo: circa 172 litri l’anno pro-capite, con un giro d’affari attorno ai 3 miliardi di euro (6.000 miliardi di vecchie lire). Nella sola ristorazione si utilizza il 35% del mercato totale nazionale, settore in crescita per effetto dell’aumento dei pasti fuori casa.
Ma l’iperconsumo di acqua minerale in bottiglia non è proprio un comportamento virtuoso. L’impatto ambientale dell’acqua in bottiglia, per cominciare. Se ogni italiano consuma 172 litri di acqua minerale in un anno, vuol dire che consuma in media 90 bottiglie di plastica e una trentina di vetro. La popolazione italiana conta 55 milioni di abitanti. Dunque ci sono quasi 5 miliardi di bottiglie di plastica da smaltire ogni anno. Tenendo conto che la raccolta differenziata della plastica ne intercetta il 20% circa, almeno 4 miliardi di bottiglie finiscono in discarica. Ogni anno bere ci costa circa 1 milione di metri cubi di discariche. Oltre a questo c’è il problema dell’impatto ambientale dovuto al trasporto su gomma delle bottiglie, con spostamenti del tutto irrazionali che portano acque del sud al nord e viceversa».
Intanto, dopo questo rapporto di Legambiente, il consumo è ulteriormente aumentato. Nel 2004 il consumo di acqua in bottiglia sarebbe stato di 184 litri per italiano: un primato mondiale. Il dato proviene dal prestigioso Earth Policy Institute di Lester Brown (3).
VITA DA CONSUMATORE
Immaginiamo che il nostro consumatore vada al supermercato a comprare l’acqua. Il primo problema da affrontare sarà la scelta: le marche sono decine. Prendere quella che aiuta la digestione o quella che fa andare in bagno? Comunque sia, dalla più famosa alla meno cara, tutte regaleranno al nostro compratore un bel peso (difficile che si acquisti un solo litro) da trasportare, prima alla cassa del negozio, poi a casa (dove magari manca l’ascensore).
Arrivate a destinazione, le bottiglie di acqua saranno consumate. Senza certo soffermarsi sulla lettura dell’etichetta, tra l’altro di solito scritta con lettere minuscole. Residuo fisso a 180 gradi mg/l (milligrammi per litri) e poi una lista di sostanze disciolte in un litro d’acqua espresse in ioni e mg. Tra i pochi che leggeranno, quanti sapranno interpretare queste informazioni? La cosa più comprensibile sarà, probabilmente, il nome di quel dipartimento universitario o di quella Asl che hanno svolto l’analisi chimica e chimico-fisica. Quando? Il 22 marzo 2004. Siamo nel giugno 2006 e dunque sono passati più di 2 anni. Un periodo certo non breve in un mondo dove tutto cambia molto rapidamente. Ma, per una volta, cerchiamo di non essere troppo maligni: quella sorgente è sicura, al riparo da contaminazioni.
Il nostro consumatore ha terminato l’acqua. Che ne farà della bottiglia in Pet? Se rientra nel gruppo del 20% degli italiani che fa regolarmente la raccolta differenziata, cercherà un contenitore per depositare le bottiglie vuote (magari dopo averle accartocciate per non occupare spazio inutilmente). Se invece rientra nel gruppo, purtroppo ben più consistente, di coloro che non fa la raccolta differenziata, getterà le bottiglie nel contenitore della spazzatura (magari anche lamentandosi del servizio di nettezza urbana e dei suoi costi crescenti).
Il nostro consumatore è convinto del prodotto acquistato. Televisioni, radio, giornali gli ricordano in continuazione che l’acqua minerale è più sana, più controllata, più salutare dell’acqua del rubinetto.
Non è vero. Svariate inchieste (ad esempio, Altroconsumo n. 160 del maggio 2003) hanno dimostrato che l’acqua del rubinetto è sottoposta a severi controlli e nella maggioranza dei casi è più garantita di quella in bottiglia. Certamente occorrerebbe investire soldi pubblici negli acquedotti, nel trattamento delle acque reflue, nei controlli sugli scarichi industriali ed agricoli. Costi elevati per casse pubbliche sempre più vuote. Ma siamo certi che non sarebbero soldi ben spesi?
PROFITTI PRIVATI,
PERDITE PUBBLICHE
Già, i soldi. Toiamo al nostro consumatore per capire quanto gli costa comprare quei litri di acqua diuretica, leggera, frizzante, briosa, quasi senza sodio, eccetera eccetera. Il prezzo varia dai 20 ai 50 centesimi al litro. Moltiplicate questo per 184 litri all’anno a persona e otterrete un bel costo. E l’acqua che sgorga dal rubinetto di casa? Costa circa un euro. Però non al litro, ma al metro cubo, cioè per 1.000 litri!
Ma l’argomento costi non si esaurisce qui. La bottiglia in plastica (che in Italia è il 77 per cento del totale) (4) fa risparmiare le imprese ma grava – tanto per cambiare – sulle casse pubbliche. Il costo di una bottiglia in Pet è di circa un centesimo contro i 25 centesimi per una bottiglia di vetro. I costi dello smaltimento del le bottiglie in plastica ricadono però sulle regioni che spendono molto di più di quanto incassino dai canoni delle concessioni per lo sfruttamento delle fonti. Per capire l’entità della questione: su un giro d’affari delle aziende produttrici pari a 2,8 miliardi di euro (5.500 miliardi di vecchie lire) il canone di concessione arriva a circa 5,16 milioni di euro (un miliardo di lire) (5). In sintesi: profitto per le imprese, costi per lo stato e la collettività.
L’Earth Policy Institute ha calcolato l’ammontare di plastica usata ogni anno per produrre le bottiglie per l’acqua: 2,7 milioni di tonnellate! Consumata l’acqua, le bottiglie vengono riciclate in minima parte (le percentuali variano molto da paese a paese); le restanti vanno ad incrementare le discariche o, qualora siano incenerite, ad aumentare le scorie tossiche.
Insomma, ogni volta che andiamo al supermercato, prima di comprare dell’acqua minerale, pensiamo un attimo se ne valga veramente la pena.
(1) Informazione libera si può trovare sui giornali delle associazioni ambientaliste (Legambiente, Wwf, eccetera), altromondiste (Mani Tese, Unimondo, ecc.) o dell’economia equa e solidale (Altreconomia, Valori, ecc.).
(2) Legambiente, H2Zero. L’acqua negata in Italia e nel mondo, giugno 2003.
(3) Emily Aold, Bottled Water: Pouring Resources Down the Drain, Earth Policy Institute, febbraio 2006.
(4) Anche in questo l’Italia è in ritardo. In Germania, sono in Pet soltanto il 24 per cento delle bottiglie; ben il 75 per cento sono in vetro.
(5) Si veda il Dossier Acque minerali (2005), curato dal «Comitato italiano per il contratto mondiale sull’acqua».
ACQUA DEL RUBINETTO O ACQUA IN BOTTIGLIA?
• il costo
L’acqua del rubinetto costa molto (molto) di meno di quella in bottiglia.
• la salubrità
Non è affatto detto che l’acqua del rubinetto sia qualitativamente inferiore all’acqua in bottiglia. Anzi…
• i costi per la collettività
A fronte di ricavi collettivi molto esigui (le concessioni di sfruttamento vengono rilasciate alle imprese private per pochi spiccioli) ci sono enormi e crescenti costi collettivi, a cominciare dallo smaltimento delle bottiglie di plastica.
• i costi per il pianeta
L’impatto ecologico dell’acqua in bottiglia di plastica è incalcolabile. Non va, inoltre, dimenticato l’impatto sociale che nasce dal diffondersi dell’idea dell’acqua come merce e non come diritto umano.
• la scala dei valori
Bere acqua del rubinetto sottende anche una scelta valoriale. Bere acqua in bottiglia è infatti una risposta individualistica, un comportamento questo che si traduce nella rinuncia alla ricerca dell’acqua come «bene comune» fornito dal servizio pubblico (*).
(*) Si legga il Dossier Acque minerali curato dal «Comitato italiano per il Contratto mondiale sull’acqua».
Paolo Moiola