Acqua del rubinetto? Si, grazie!

Lo scandalo dell’acqua (3): l’acqua di casa

La strategia è chiara: diffondere diffidenza verso l’acqua del rubinetto, un tempo foita da società pubbliche. Un tempo, perché da qualche anno è in corso il tentativo di vendere le infrastrutture idriche pubbliche a società private. La scelta di privatizzare anche l’acqua del rubinetto si inserisce nel consueto schema neoliberista. Ma è una scelta inaccettabile, a cui molti movimenti nati dalla società civile, a Sud come a Nord, si stanno opponendo strenuamente, pur tra mille difficoltà.

L’acqua che scorre dal rubinetto di casa non è un fatto scontato. Al contrario: solo 16 persone su 100 possono aprire un rubinetto e veder scorrere acqua potabile. Nella maggioranza dei paesi del Sud del mondo, soprattutto in Africa, l’acqua non arriva in casa, ma occorre procurarsela ai pozzi, alle sorgenti, ai fiumi, ai laghi. Si calcola che 18 milioni di bambine e bambini sono costretti a fare i portatori d’acqua a causa della mancanza o dell’inaccessibilità degli acquedotti.
Precisato questo, cosa sta avvenendo dove esiste un sistema di distribuzione, nei paesi del Sud come in quelli del Nord? Si assiste al tentativo di privatizzare gli acquedotti, sottraendoli cioè alla gestione pubblica.
Il tutto accade senza fare troppo rumore, per evitare l’opposizione delle popolazioni. Per fortuna, l’operazione non sempre riesce.

RUBINETTI… D’ORO

Come a Cochabamba ed El Alto, ma anche a Napoli, Caserta, Arezzo: due città boliviane ed alcune città italiane idealmente unite nel combattere contro la privatizzazione dei loro acquedotti.
A Cochabamba e ad El Alto hanno combattuto e vinto, sconfiggendo niente di meno che due multinazionali del calibro della statunitense Bechtel e della francese Suez. Nelle città della Campania e della Toscana si sta ancora discutendo, dopo che la decisa opposizione dei movimenti civici per l’acqua ha fermato la macchina della politica e del business.
A Cochabamba l’eroe della prima «guerra dell’acqua» (la seconda è stata quella di El Alto, sempre in Bolivia) è stato Oscar Olivera, operaio e sindacalista.
A Napoli la rivolta è capeggiata da padre Alex Zanotelli, missionario comboniano molto noto per le sue battaglie a fianco della società civile, prima in Kenya, ora in Italia.
A Sud come a Nord la motivazione addotta per giustificare la privatizzazione dei servizi idrici è sempre la solita: l’inefficienza della gestione pubblica. Invece di correggere il pubblico si pensa subito al privato, facendo finta di non ricordare che il privato ha come primo obiettivo il guadagno e per ottenerlo subito è disposto a tutto, indipendentemente dal consenso della clientela.
A Cochabamba, prima della vittoriosa rivolta, le tariffe della Bechtel-Aguas del Tunari, erano aumentate del 68 per cento! Identicamente sono aumentate le tariffe nei comuni italiani che hanno rinunciato ad una gestione pubblica dei servizi idrici. Ad Arezzo, ad esempio, le bollette sono aumentate del 200 per cento.
L’ordinamento italiano prevede 3 modalità di affidamento dei servizi pubblici locali: la gestione interamente pubblica (definita in house providing), la gestione mista (cioè con capitale pubblico e capitale privato) e la gestione interamente privata. Dopo l’elettricità, il gas, i rifiuti, i trasporti urbani, adesso si è giunti alla privatizzazione dell’acqua e dei servizi ad essa collegati (captazione, depurazione, distribuzione, eccetera).
Ma l’acqua non è un bene come un altro; è un bene vitale a cui tutti debbono avere accesso. Data la sua natura di diritto umano fondamentale, la sua gestione dovrebbe sempre essere esclusivamente ed interamente pubblica. Escludendo dunque realtà come l’Acea di Roma, che è una società pubblico-privata, dove tra i soci di minoranza c’è il gruppo Caltagirone (cioè un pezzo da novanta del capitalismo privato).
Questo chiedono i movimenti civici per l’acqua sorti in tutta Italia. Questo chiede la legge di iniziativa popolare per la quale si stanno raccogliendo le firme.
Sta ottenendo molte attenzioni l’esperienza dell’acquedotto pugliese, società a capitale interamente pubblico, il cui presidente è addirittura il professor Riccardo Petrella, notissimo per le sue battaglie in favore dell’acqua come diritto, nonché presidente dell’«Università del bene comune» (che ha una facoltà dell’acqua).
In Italia ogni persona consuma mediamente 250-300 litri al giorno, ma i litri prelevati sono molti di più a causa delle perdite (tabella 4). Un buon governo pubblico dell’acqua dovrebbe avere come obiettivo anche un uso sostenibile della risorsa, riducendo i consumi e gli sprechi.

L’INDIA E LE DONNE
DELL’ACQUA

In Italia si spreca, in altri luoghi del mondo per avere l’acqua si deve combattere. In India due donne, due personalità come Arundhati Roy e Vandana Shiva, si sono messe alla guida di movimenti popolari che contestano le autorità per le loro scelte in materia di acqua.
La scrittrice Arundhati Roy (famosa soprattutto per il romanzo Il Dio delle piccole cose) sta combattendo a fianco delle popolazioni che si oppongono alla costruzione di un’enorme diga sul fiume Narmada, una diga che sommergerà 91 mila ettari di terra, 249 villaggi e la città di Harsud.
La scienziata Vandana Shiva è al fianco delle popolazioni indiane che stanno battendosi (in Kerala, Rajahstan, Utar Pradesh) contro lo scriteriato pompaggio delle falde acquifere da parte della Coca Cola, che nel paese possiede decine di stabilimenti. Si calcola che per produrre un litro di Coca Cola siano necessari ben 9 (!) litri di acqua potabile.
In India, considerata una potenza economica emergente, 500 milioni di persone non sanno cosa sia l’acqua potabile.

Paolo Moiola


ACQUA-DIRITTO O ACQUA-MERCE?

• l’acqua come diritto
L’acqua è un diritto umano essenziale e pertanto inalienabile. Trarre profitto (privato) dall’acqua dovrebbe essere vietato.

• l’acqua come merce
Come sempre accade quando un bene o un servizio sono gestiti da privati, il beneficio di quel bene o di quel servizio andrà soltanto a chi può permetterselo. Ma allora l’acqua smette di essere un «diritto umano» per diventare una «merce».

• le conseguenze dell’acqua come merce
Abbiamo visto che alla lunga dalle ingiustizie derivano sempre conseguenze negative per le società (si veda quanto accaduto dopo la privatizzazione dell’acqua in Bolivia) e l’intera collettività umana. Per questo la mercificazione dell’acqua va fermata subito.

Pa.Mo.

Paolo Moiola

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