Arte e coraggio del regista filippino Lav Diaz, che ha partecipato al XXIII Torino Film Festival (2005) con Ebolusyon ng Isang Pamilyang Pilipino (Evoluzione di una famiglia filippina), della durata di 11 ore e girato in 10 anni.
«Che cosa possiamo fare? Quale responsabilità abbiamo come filippini? Perché siamo in America? Perché milioni di cittadini lottano per lasciare le Filippine? Perché l’80% dei filippini vive sotto la soglia di povertà? Che cosa c’è di sbagliato nella nostra cultura?».
Spinti da queste domande innovative, perché non solo critiche verso l’Occidente, ma anche verso se stessi, il giovane regista filippino Lav Diaz e il produttore Paul Tañedo hanno speso 10 anni della loro vita (1992-2002) nelle riprese di Ebolusyon ng Isang Pamilyang Pilipino (Evoluzione di una famiglia filippina), realizzato con mezzi finanziari molto scarsi «per offrire un contributo di un certo livello estetico al cinema delle Filippine, pervaso dallo squallore commerciale dell’industria cinematografica locale».
Questi coraggiosi artisti filippini (Paul Tañedo è un fotografo di professione) sono riusciti a realizzare il loro «pazzo sogno», tanto pazzo da produrre un film della durata di 11 ore? Che cosa hanno voluto raccontare? «Il film Ebolusyon racconta le lotte della gente nella storia delle Filippine, in questo caso nel periodo tra il 1971 e il 1987 – spiega Lav Diaz, durante l’incontro al Torino Film Festival (11-19 novembre 2005) -. L’introduzione della legge marziale, decretata dal dittatore Marcos nel 1972, l’omicidio del senatore Aquino nel 1983 al suo rientro dall’esilio all’aeroporto di Manila, le speranze suscitate dall’ascesa al potere di Cory Aquino nel 1986 e l’enorme delusione dopo l’eccidio dei contadini a Mendiola (1987) attraversano e peggiorano la vita di una micro realtà, protagonista del film, cioè una famiglia contadina».
Nato nel 1958 a Cotabato (Filippine) da una famiglia di insegnanti, Lav Diaz è cresciuto tra i libri e ha vissuto in prima persona i drammi della dittatura di Marcos e del dopo Marcos. Ha intanto frequentato il Mowelfund Film Institute di Quezon City, scoprendo i lavori di Lino Brocka, suo maestro, e solo nel 1990 è emigrato in America, dove ha collaborato alla redazione di giornali per filippini e, nel tempo libero, è riuscito a dedicarsi alla sua grande passione: la produzione di film.
Ha esordito nel 1997 con Serafin Gironimo e nel 1999 si è aggiudicato il titolo di «Miglior film» al Festival di Bruxelles e al Singapore Inteational Film Festival con Batang West Side, pellicola di 5 ore, che narra le peripezie di un investigatore filippino tra i meandri della comunità filippina d’America.
Con Ebolusyon, presentato ai Festival di Toronto, Rotterdam e Torino, Lav Diaz è ormai un regista conosciuto a livello mondiale.
Per raccontare «la lotta della gente nella storia delle Filippine», Lav Diaz in Ebolusyon narra la vita ai margini della società della famiglia Gallardo, che vive in uno dei tanti barrios della periferia urbana e subisce, anche se quasi a livello inconscio, le ingiustizie e soprusi del regime dittatoriale.
La famiglia, dal passato emblematico, è guidata dall’amorevole e autoritaria nonna Puring, capace di affrontare con dignità e coraggio le tante tragedie che colpiscono duramente il nucleo familiare.
Infatti padre delle sue tre nipoti, è il figlio Kadyo, buono ma debole, che trascinato da cattive compagnie si è trovato coinvolto in un furto e, messo alla gogna dalla legge marziale, è anche stato azzoppato da militari brutali.
La figlia Hilda, generosa e instabile, ha adottato il neonato Raynaldo, trovato abbandonato. Egli viene cresciuto con affetto anche da Kadyo, che lo salverà dalla follia suicida di sua sorella, ma non potrà arrestae la fuga, quando la madre adottiva viene brutalmente uccisa.
La nonna Puring è risoluta nel volere che le tre nipoti, orfane di madre e con il padre in carcere, frequentino la scuola e si guadagnino da vivere con la raccolta stagionale del riso e con lavori occasionali presso famiglie ricche.
La nonna offre stabilità alla famiglia e rievoca la tradizione, unendosi volentieri ai canti tradizionali dopo un buon raccolto e onorando il ricordo dei defunti con visite al cimitero e preghiere di suffragio durante la messa. Rifiuta persino l’allettante proposta di matrimonio per una delle ragazze da parte di un arrogante e impettito pastore protestante (forse Diaz si è ispirato al rifiuto dell’intelligente Liz di Orgoglio e pregiudizio).
La nonna chiede a Kadyo, uscito dal carcere, di cercare lo scomparso Raynaldo, anch’egli amato come le nipoti. Durante questa ricerca, Kadyo incontrerà incalliti criminali, che questa volta gli chiederanno di uccidere. Ma Kadyo, che nei momenti di dormiveglia, pensando a Raynaldo o alla morte della coraggiosa madre Puring, vede Gesù cadere sotto il peso della croce, come il «buon ladrone» preferirà la morte piuttosto che macchiarsi di un crimine, commissionato dai «potenti».
Spezzoni di documentari, inseriti nel film, rievocano la storia del paese e propongono le dimostrazioni pacifiche della gente, l’arrogante dittatore Marcos accompagnato dalla bella e subdola Imelda, il sorriso di Aquino sull’aereo prima di essere assassinato, la massiccia partecipazione della folla ai suoi funerali, la repressione nel sangue dei contadini e filmati sullo scomodo regista Lino Brocka (vedi riquadro), la vittima designata dai potenti per il delitto su commissione.
In Ebolusyon la voce e le scomode idee di Brocka raggiungono gli angoli più remoti del paese tramite un’intervista radiofonica, ma le famiglie dei barrios preferiscono cambiare subito programma, per alienarsi con radiodrammi insignificanti e ripetitivi, che però divengono i «padroni» delle loro semplici abitazioni e le rendono così sempre più vittime di un «potere» assoluto e corrotto.
Ripetutamente Lav Diaz nelle sue interviste dichiara: «Kadyo e Raynaldo rappresentano il filippino medio. L’anima dei filippini deve essere salvata». Diaz ha terminato il film con la toccante storia delle due madri: quella che ha abbandonato il neonato Raynaldo, chiedendo ogni giorno perdono, e quella che lo ha salvato offrendogli la vita in una famiglia.
Perché un film con una trama certamente complessa dura ben 11 ore? Anche con queste scelte il regista filippino esprime il suo netto rifiuto nel seguire le più banali regole dei film commerciali: durata massima di due ore e budget altissimi.
Che cosa vediamo nelle 11 ore di scene eccezionali e innovative, girate in bianco e nero? Non ci sono primi piani; lo spettatore deve vivere con i personaggi e condividere le atmosfere reali vissute dalla gente del Sud del mondo: le interminabili camminate, le estenuanti attese alle fermate di autobus che non arriveranno mai, le lunghe ore nottue rischiarate dalla tremula lampada a petrolio, i ritmi lenti dei tempi della raccolta del riso, la bellezza di un paesaggio che potrebbe dar vita a una mostra di meravigliose fotografie d’autore.
Emblematica è la scena dell’agonia di Kadyo, accoltellato all’addome in mezzo alla folla da un sicario con gli occhiali scuri. L’uomo, per più di 20 minuti, si trascina in strade assolate semideserte, cade esausto, per poi rialzarsi con fatica e morire abbandonato in un fatiscente capannone industriale.
Con questa scena Lav Diaz desidera che «il pubblico capisca le sofferenze patite dalla mia gente per un così lungo periodo di tempo: sotto gli spagnoli per più di 300 anni, sotto gli americani per circa 100 anni e ancora attualmente, sotto i giapponesi per quattro anni, e poi sotto Marcos per 20 anni, con effetti che si protraggono al giorno d’oggi».
Per vedere e apprezzare un film come questo, bisognerebbe dedicare un week-end di «totale immersione». Non sarebbe tempo sprecato anzi, forse si potrebbe sperimentare un modo nuovo di fare «cultura».
Sia i filippini che le persone desiderose di conoscere seriamente la storia dell’«arcipelago dorato» imparerebbero molto di più dalla visione di Ebolusyon che da centinaia di conferenze. E, come auspica Lav Diaz, i filippini potrebbero confrontarsi «apertamente con il nostro passato per costruire un futuro migliore».
Silvana Bottignole