Non basta il silenzio delle armi
Incontro con mons. Celestino Migliore, nunzio apostolico presso l’Onu
L’ambasciatore del Vaticano non nega la crisi del Palazzo di vetro, ma allo stesso tempo vede segnali importanti di rinnovamento. Perché le Nazioni Unite non siano una «Torre di Babele» al servizio del potere.
New York. Nella metropoli statunitense ha sede il segretariato delle Nazioni Unite dove sono prese alcune delle principali decisioni politiche a livello intea-
zionale. Le trattative e negoziazioni sono discusse durante l’Assemblea generale dai rappresentanti permanenti, ovvero dagli ambasciatori dei 191 stati membri.
Anche la Santa Sede è presente all’Onu, però solo come «osservatore», ovvero, come altre organizzazioni inteazionali ivi presenti (per esempio, la Lega degli stati arabi, il Comitato internazionale della Croce Rossa, etc.), pur partecipando ai dibattiti, non ha diritto di voto in Assemblea generale.
Il rappresentante della Santa Sede (altrimenti detto «nunzio apostolico») presso le Nazioni Unite è un diplomatico di carriera: mons. Celestino Migliore, arcivescovo di Canosa. Mons. Migliore, piemontese di Cuneo, oltre a godere di un’eccellente reputazione a livello internazionale, ha un importante curriculum professionale e una preparazione accademica unica.
Monsignore, cosa significa essere un diplomatico della Santa Sede?
«Rappresentare il papa. Tra i suoi titoli c’è quello di Sommo pontefice, che, nonostante l’aulicità dei termini, significa una gran bella cosa e cioè: colui che più di tutti cerca di costruire ponti. In questo senso, la diplomazia della Santa Sede è anzitutto uno strumento pastorale a disposizione del papa per cercare di realizzare l’ideale della coesistenza dei popoli nella pace, nella solidarietà, nella cura reciproca e nel senso della comune dipendenza da Dio».
Come concilia l’attività diplomatica con quella di sacerdote?
«Ogni mattino nella messa la preghiera eucaristica mi fa ringraziare il Signore“ per averci ammessi alla sua presenza a compiere il servizio sacerdotale”. Il mio servizio sacerdotale comincia subito all’inizio di ogni funzione, quando si riconosce il nostro stato di peccato: in quel momento porto davanti al Signore i peccati miei e quelli della famiglia Onu che possono essere lentezze che penalizzano i poveri, verbosità e fumosità di certi discorsi che tradiscono inazione, egoismi nazionali o regionali a scapito del bene comune, impertinenze di chi vuole sostituirsi a Dio in tante maniere. La meditazione quotidiana sulla parola di Dio getta luce sulle questioni all’ordine del giorno. Le parole “questo è il mio corpo” voglio pronunciarle con la fede che il miracolo operato da Gesù non si fermi alla trasformazione del pane in corpo suo, ma si estende al corpo mistico della chiesa, della società umana. Una lezione di umiltà e di tenacia allo stesso tempo, perché i conflitti li avremo sempre tra noi, ma l’unità la crea lui.
Negli incontri quotidiani con funzionari e diplomatici, non è infrequente sentirmi dire: “preghi per me”, “dia una benedizione perché l’iniziativa vada in porto”, “ho bisogno della sua preghiera” … intenzioni che amo tener presenti nella preghiera dei salmi o nel rosario, perché esse manifestano la convinzione di molti che tutti viviamo nella dipendenza da Dio».
Il suo incarico di rappresentante della Santa Sede presso l’Onu cosa comporta concretamente? Quali sono i suoi compiti?
«Nell’ambito dell’Onu, la Santa Sede ha scelto di essere non un membro a pieno titolo, ma osservatore. Il che significa che esercita tutte le funzioni normali dei membri ad eccezione del voto e della partecipazione nella gestione istituzionale e amministrativa dell’organismo. Essa contribuisce al dibattito sulle grandi questioni come la pace, la sicurezza, lo sviluppo, l’ambiente; i diritti del bambino, della donna, dell’anziano; questioni sociali e altre riguardanti il diritto alla vita; l’informazione, la cultura e la collaborazione delle religioni alla costruzione della pace. Segue da vicino i vari negoziati che si intavolano sulle questioni appena accennate ed altre ancora».
Perché è importante partecipare nei negoziati dei testi adottati dall’Onu?
«Perché quelli giuridicamente vincolanti – anche se vincolano solo i paesi che li ratificano – entrano a far parte della normativa internazionale. Anche i testi con valenza politica creano quella che viene comunemente detta soft law, ma la tendenza di ogni parlamento nel mondo è quella di legiferare tenendo un occhio su tali indicazioni e pertanto quello che oggi si dichiara all’Onu domani molto facilmente entrerà nelle legislazioni nazionali. Infine, c’è un altro compito della mia attività dell’Onu che forse è quello che maggiormente assorbe tempo e forze ma che offre anche una certa gratificazione. Con un po’ di presunzione, la chiamerei “dar voce a chi non ha voce”. Ma è proprio così. Quante volte dalle comunità cattoliche, e non solo, sparse nel mondo qualcuno scrive al papa o va ad incontrarlo ed espone situazioni di guerra o di fame o di violazione dei diritti umani che sembrano non aver né fine né soluzione. A volte si tratta di parlare in nome loro, ma spesso è invece il caso di aiutarli ad incontrare chi può far qualcosa, ad esporre essi stessi, perorare la loro causa con le loro proprie parole e il loro carico di speranza».
Quali sono i più grandi ostacoli che vede in questo momento nel processo di riforma dell’Onu? Perché l’Onu è in crisi?
«È forse questione della bottiglia mezzo piena o mezzo vuota. Ciò che vedo in questo momento e mi pare giusto sottolineare è la parte mezzo piena. Nonostante un evidente clima di crisi, il processo di riforma sta producendo misure importanti. È stata adottata la commissione per il consolidamento della pace, che segna un importante passo avanti: e cioè, si è riconosciuto che la pace non è il solo silenzio delle armi, ma va preparata e costruita con strutture nuove o riformate a livello politico, giuridico e sociale; essa va consolidata con processi di accertamento della verità storica e di riconciliazione; essa va coltivata con modalità che coinvolgono i singoli vincitori e vinti. È in dirittura d’arrivo la riforma del meccanismo di monitoraggio e implementazione internazionale dei diritti dell’uomo (1). Ne sono in cantiere altre, intese a rendere il Palazzo di vetro sempre più dimora della trasparenza e del servizio alle popolazioni, più che non all’equilibrio del potere. Evidentemente, si registrano problemi, ritardi, ostacoli, resistenze. Nell’Onu, dove si trovano ogni giorno, gomito a gomito, rappresentanti di tutti i paesi del mondo, si riflette in modo evidente la grande frammentazione culturale di oggi che a volte rischia di rendere questa istituzione una Torre di Babele. La globalizzazione unifica il mondo su tanti livelli, non su quello culturale, anzi sembra accentuae le differenze. Essa va avanti con una sua logica ferrea, ma le manca un’etica comune».
Barbara Mina