Pace incerta e fame alle porte
Etiopia – Eritrea: continua la tensione
Due anni di guerra tra Eritrea ed Etiopia (1998-2000), per una incomprensibile questione di confine, ha provocato la morte di oltre 80 mila soldati, centinaia di migliaia di espulsioni e conseguenze economiche che hanno aggravato la povertà delle popolazioni dei due paesi.
Dopo il trattato di Algeri (maggio 2000) le armi tacciono, separate da una forza di intermediazione Onu di 4.200 caschi blu, e la soluzione della contesa è stata affidata al Tribunale arbitrale dell’Aia, che nel 2003 ha tracciato i nuovi confini tra i due paesi in maniera «definitiva e irrevocabile: Balme, la località simbolo, è stata assegnata all’Eritrea; i confini devono essere resi certi e verificabili con pilastri in cemento.
Ma l’Etiopia continua a non riconoscere tale decisione, ritenuta troppo sbilanciata a favore di Asmara, e finora si è opposta all’erezione di pietre militari. L’Eritrea si rifiuta di rimettere nuovamente in discussione la decisione e ha deciso di colpire con una serie di restrizioni la missione Onu, incaricata di presidiare la zona cuscinetto che divide i due paesi.
Mentre il capo missione Onu in Etiopia ed Eritrea (Unmee) e i paesi garanti del trattato di Algeri continuano a lanciare appelli ai governi di Asmara e Addis Abeba, affinché accettino senza riserve la demarcazione, la tensione tra i due paesi continua a crescere: lo stato di allerta permanente e i movimenti di truppe da ambo le parti degli ultimi mesi rischiano di sfociare nella ripresa delle ostilità.
La situazione di tensione e ambiguità, intanto, viene usata dai leaders dei due paesi per giustificare i loro comportamenti autoritari. In Eritrea, il presidente Afwerki imprigiona semplici cittadini e giornalisti che osano criticare il suo potere e l’arruolamento forzato di giovanissimi per prestare servizio militare nell’esercito, composto da 300 mila soldati. In Etiopia, il primo ministro Zenawi continua a governare con la repressione.
Nelle elezioni del maggio 2005 gruppi di opposizione hanno ottenuto un successo sorprendente, mettendo a repentaglio l’egemonia del partito di Zenawi. Alle manifestazioni di protesta per presunti brogli elettorali il governo ha risposto con violenza, lasciando sul terreno 36 morti, arrestando migliaia di oppositori, chiudendo giornali indipendenti, imprigionando editori e giornalisti, deportando esponenti delle associazioni per i diritti umani.
Da quando l’Onu ha mandato il contingente di pace a dividere i contendenti, la comunità internazionale sembra si sia dimenticata del problema dei confini con l’Etiopia. In cinque anni nessuna autorità si è occupata di fare pressione su Addis Abeba perché dia piena esecuzione agli accordi di Algeri. Eppure, a detta di vari osservatori politici, una soluzione ci sarebbe, poiché la questione dei confini è solo strumentale: l’Etiopia vuole uno sbocco sul Mar Rosso. Tale aspirazione può essere concretizzata in maniera incruenta mediante la garanzia internazionale, l’unica capace di riportare i due paesi in un clima di pace e collaborazione.
Intanto sull’Etiopia (e su tutto il Coo d’Africa) si abbatte un’altra piaga ciclica: siccità, carestia e fame. Nelle regioni meridionali del paese, ai confini con il Kenya, fiumi e pozzi sono quasi secchi e i pascoli stanno sparendo: si vedono carcasse di animali sul bordo delle strade.
Già in situazioni di «normalità» nella Somali Region l’acqua costituisce un problema cronico. Ora si è aggravato enormemente, perché la stagione delle piogge tra ottobre e novembre è stata particolarmente scarsa. A soffrie maggiormente sono i bambini, che vengono portati ai centri sanitari in stato di estrema debolezza a causa della malnutrizione e disidratazione.
Il governo di Addis Abeba ha ordinato di fare dei sopralluoghi per verificare il livello di gravità della situazione ed eventualmente dichiarare lo «stato di emergenza»; in questo caso dovrebbero arrivare aiuti dal governo centrale. Ma non è chiaro quando saranno prese tali misure di soccorso e in che cosa consisteranno. Tali aiuti dipendono, soprattutto, dalla solidarietà internazionale, che non sempre arriva con quella tempestività e generosità richieste dalla gravità della situazione. B. B.
Benedetto Bellesi