C’era una volta … il regno di Saba

Passato in pochi anni dal medioevo alla modeizzazione, grazie anche alla scoperta del petrolio, nello Yemen permangono gravi problemi di arretratezza sociale ed economica, che provocano ribellioni e insicurezza. Nonostante i frequenti sequestri di stranieri, la sua storia millenaria e le stupefacenti architetture continuano ad attrarre masse di turisti. Solo l’isola di Socotra, meravigliosa oasi naturale, sembra, essere risparmiata, per ora, dal turismo selvaggio.

Quando lo visitai per la prima volta, 15 anni fa, lo Yemen era da poco uscito dal medioevo. Era emozionante scoprire l’incanto di antichi villaggi, dei mercati, di gente fieramente legata alle tradizioni.
Oggi, si atterra in un moderno aeroporto e si incontrano subito tecnici americani che lavorano per conto di multinazionali del petrolio; in un’ampia superstrada si attraversa la vera città di Sana’a, modea e piena di attività, mentre la parte storica della capitale sta diventando un museo, al pari di Venezia. Una specie di trincea permette alle auto di attraversare la città antica e raggiungere i vari quartieri, in gran parte restaurati.
Il nostro albergo è stato ricavato da una di quelle case torri, fatte di pietra ai piani bassi, con elaborati fregi in gesso e finestre a lunetta, con vetri colorati e alabastro. Il cortile dove si cena è in comunicazione con un vasto appezzamento di terreno, che ora appare trascurato. Al tempo della mia prima visita, ricordo gli orti ben coltivati e le pecore che la mattina uscivano dai piani bassi delle case del centro.
La sera salgo sulla terrazza per godere del tramonto e mi rendo conto dei cambiamenti avvenuti: molti edifici nuovi e tante paraboliche su terrazze e tetti. Nonostante tali mutamenti, la medina (così è chiamato il centro storico) appare intatta, il souk (mercato) è affollato di uomini col pugnale alla cintola e donne velate di nero. Un tempo le abitanti di Sana’a usavano mantelle colorate e un velo nero e rosso che copriva totalmente il viso.
È cambiato anche l’ antico villaggio di Bayt Bows, che risale al tempo della regina di Saba, almeno 3.000 a.C. Oggi vi resta solo una famiglia, anche se il governo ha fatto portare l’acqua e ha costruito una scuola, ai piedi della collina. Dall’alto dell’abitato si può constatare quanto la capitale si sia dilatata nelle periferie, tra cui spicca una grande moschea in costruzione, voluta e finanziata dai paesi del Golfo.
Nello Yemen non si può generalmente entrare nelle moschee. Ve ne sono di bellissime, antiche e ben armonizzate nei centri abitati o nelle campagne. Questo edificio, moderno e gigantesco, mi pare una pesante stonatura, in un paese che persino nelle periferie ha voluto mantenere lo stile della tradizione nelle forme delle finestre, nei serramenti e nel rivestimento in pietra delle pareti delle case.

NEL REGNO DI SABA

Due giorni di viaggio attraverso il deserto, con peottamento a Mareb, dove vi fioriva il mitico regno di Saba, e raggiungo il Wadi Hadramaut, la regione dove è stato trovato il petrolio ed è diventata teatro di rapimenti di stranieri.
Una comoda strada asfaltata, costruita proprio per lo sfruttamento petrolifero, consente ora di arrivare a Say’un in poche ore. Ne approfittiamo per un tratto, per poi inoltrarci nel mare di sabbia, scortati dalla guida beduina, e scoprire città carovaniere, dove gli archeologi hanno trovato antichi templi dedicati al culto del sole e della luna. La vista della città di Shibam, mi emoziona come la prima volta, per la bellezza del paesaggio e delle architetture di fango crudo.
Nell’aprile del ’94 mi trovavo a Sana’a quando scoppiò la breve guerra civile tra il nord e il sud, appena unificati. «Prendi l’aereo per Say’un – mi avevano detto gli amici yemeniti -, laggiù sarai tranquilla, la gente è pacifica e non ci sono problemi». Mi ero sistemata in un albergo ricavato da vecchi prefabbricati russi. Ero l’unica ospite, insieme a uno studioso di rettili tedesco. Tutte le sere spesse nubi si addensavano sul ciglione roccioso, per poi scaricarsi in una pioggia fitta, preziosa per le intense coltivazioni del Wadi, che consentono la vita di oltre 200 mila persone. La sera la passavo in compagnia delle famiglie dei custodi, eritrei cristiani, che mi offrivano la cerimonia del caffè.
Oggi scendo in uno degli alberghi appena costruiti e vi trovo uomini d’affari giordani, cinesi e coreani. Seyun ha strade ampie e asfaltate, scuole, campi sportivi e molte costruzioni nuove e belle, che non deturpano l’armonia del paesaggio.
La gente invece è ferma nel tempo, specialmente le donne, velate di nero, con i tipici altissimi cappelli di paglia. Gli uomini sono occupati in antichi mestieri, come la fabbricazione di mattoni di fango, lavorato con mani e piedi e seccati al sole, la produzione della calce, ricavata dalle rocce.
Nei precedenti viaggi non avevo mai visto mendicanti. L’obolo era obbligatorio per lebbrosi e handicappati, fermi sul ciglio della strada. Perché ora, nei mercati, incontro donne velate col bimbo in braccio che premono insistenti per l’elemosina? Forse si è rotta un’armonia sociale, che manteneva la dignità delle persone.

IL PAESE DI BIN LADEN

«Bin Laden saudi group» dice il cartello dell’impresa che sta terminando la strada che collega Wadi Doan alla costa dell’Oceano Indiano, attraverso aride e scoscese montagne. I Bin Laden sono una grande famiglia di imprenditori, le cui splendide case dipinte si possono ammirare percorrendo le valli scavate dal Wadi Doan e dai suoi numerosi affluenti.
Il fondo valle è una lunga oasi ricca di verde e punteggiata da villaggi dorati. «La gente qui è molto benestante» spiega Mahdi, la guida che ci ha accompagnato da Sana’a.
Mahdi parla perfettamente l’italiano, avendo studiato in Somalia presso le suore della Consolata. I genitori erano emigrati, come molti yemeniti, per migliorare la propria condizione. Da anni ormai sono stati costretti a ritornare in patria a causa delle guerre. Con quattro figlie e due ragazzi da mantenere agli studi, l’affitto di una modesta casa di periferia da pagare, per Mahdi è importante lavorare nel turismo, dove si guadagna bene, ma si è soggetti a brusche interruzioni, a causa dei ricorrenti sequestri. Gli italiani sono tra i più assidui visitatori del paese, insieme ai tedeschi francesi e spagnoli.
Anche in questa parte del paese molte cose sono cambiate, rispetto al passato: non ho più notato, specialmente in città, uomini che, nell’ora della preghiera, si fermano, si radunano, anche nei cantieri, per pregare. Mahdi e gli autisti fanno eccezione: per tutto il viaggio sostano in preghiera cinque volte al giorno.

SOCOTRA

Da Mukalla, antico porto sul Mare Arabico, raggiungiamo in aereo Socotra, isola situata non lontano dalla Somalia, rimasta isolata nei secoli e miracolosamente intatta nella sua biodiversità. Qui si trovano specie di animali e vegetali uniche al mondo; per questo è in corso un progetto di collaborazione tra il governo yemenita e il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite per proteggere l’isola dall’aggressione di un turismo e sviluppo poco rispettoso.
Gli italiani sono i principali finanziatori di tale progetto e alcuni nostri connazionali stanno lavorando nel centro Saving Socotra, cornordinati da Ismael Mohammed. Algerino, sposato con una toscana di Castiglioncello, mi invita a fermarmi per collaborare con loro. Bisogna insegnare l’inglese (e magari anche l’italiano) ai giovani socotrini che si stanno formando come guide ecologiche per accompagnare i visitatori.
Fino a due anni fa non c’erano strade, ma piste durissime, percorribili con difficoltà. Ora si stanno costruendo le prime strade e i turisti cominciano ad arrivare, incuriositi dalla storia e dalla natura particolare di un luogo che ha conservato miracolosamente l’habitat primitivo.
Gli abitanti dell’isola si sono dati da sempre le regole per salvaguardare l’ambiente, dal quale dipende la loro sopravvivenza. Il consiglio degli anziani del villaggio decide se e quando si possono tagliare gli alberi, quando è possibile effettuare la pesca e dove devono gettare le reti. Le condizioni di vita degli abitanti sono molto povere, per cui accettano volentieri gli aiuti che tengano anche presente la salvaguardia dell’ambiente.
I rari villaggi hanno basse case di pietra col tetto piatto; alcuni hanno una scuola nuova, frequentata anche dalle bambine. I 60 mila abitanti sono per lo più dediti alla pastorizia e alla pesca, mentre le coltivazioni sono in pratica impossibili, a causa del vento impietoso. Piccoli giardini circondati da muri di pietra consentono di avere palme da datteri e banane; tutto il resto viene importato.
Per le donne è nata una cornoperativa per promuovere l’artigianato della ceramica e tessitura. Vasi molto originali nelle forme, decorati col succo della pianta del drago (dracarnena) e stuoie tessute a mano con lana di pecora bianca e grigia vengono venduti nel negozio del centro di Hadibu.
Tra i primi 10 paradisi botanici al mondo, l’arcipelago di Socotra, che comprende altre tre isolette, è stato definito le Galapagos dell’Oceano Indiano. Alcuni torrenti scendono dai monti sempre avvolti da nuvole, formando pozze di acqua limpida. Le spiagge sono intatte, coperte di corallo e conchiglie che ancora nessuno ha raccolto. Numerose sono le colonie di uccelli marini nelle aree di riproduzione protette. La varietà di coralli e pesci comprende tutti quelli del mar Rosso e molti degli oceani.

MEZZALUNA ROSSA

L’appuntamento è alle 5,30 del mattino, sull’unica strada che taglia a metà l’abitato del villaggio. Mi unisco a un gruppo di medici yemeniti per raggiungere la spiaggia e fare il bagno all’alba.
Saleh è nato e cresciuto in un villaggio presso Aden, nello Yemen più laico e socialista, dove le donne giravano senza velo e dove risiedono ancora i suoi genitori. Gli studi li ha fatti a Leningrado e a Kiev, dove conobbe la moglie Irina. Ora abita e lavora a Abu Dhabi, presso due cliniche private, perché Irina, che è medico e ha una casa anche a Kiev, non vuole vivere nello Yemen. «Le mogli russe sono di supporto al marito. Sono forti e ben educate» mi dice convinto, mostrandomi le foto della famiglia.
Con 4 mila dollari al mese, auto e casa pagate, Saleh può permettersi di mandare a scuola privata le due figlie, di cui è molto orgoglioso. Degli anni vissuti in Russia Saleh ricorda con gratitudine la possibilità avuta di avvicinarsi alla vasta cultura del paese. Teatro, musica, letteratura lo hanno affascinato e segnato.
Mohammed, invece, ha studiato a Praga; è otorinolaringoiatra, ma meno loquace. L’esperienza interculturale che hanno fatto questi yemeniti è stata eccezionale. Rispetto ai connazionali, hanno la mente aperta e concordano sul fatto che la religione nel loro paese non ha un ruolo positivo.
Erano ragazzi diciottenni quando furono mandati a studiare in Unione Sovietica. Alcuni anni li passarono a studiare il russo, ucraino, ceco. Poi il latino, avendo scelto la facoltà di medicina. Dopo 14-15 anni di studi, il ritorno a casa, in uno Yemen appena uscito dal medioevo. Anche il direttore del piccolo ospedale di Socotra ha studiato in Unione Sovietica.
Tawfik è il più anziano del gruppo e invece di farsi una nuotata va alla ricerca di carcasse e spine di pesci, intatte e molto belle. Ha studiato in Pakistan e Sudan, a Khartoum; poi è ritornato a Sana’a, la sua città, dove ha lo studio ed è assistente di oculistica all’università.
Nel gruppo c’è anche una donna del Qatar, molto riservata, medico oculista. Ha il velo sul capo, veste di nero, ma il viso è scoperto; vi è pure un ingegnere di Abu Dabi che sta progettando il nuovo ospedale.
Dopo colazione, i medici raggiungono l’ospedale per operare, aiutati da infermieri, tutti della Mezzaluna rossa, mentre io vado alla scoperta dell’isola. Ci rivediamo a cena, nella trattoria di Hadibu, con gli ospiti dei due alberghi del luogo: qualche spagnolo, un gruppo di italiani e una signora di New York, accompagnata da due guide.
L’ultima sera prima della partenza, al ritorno da una lunga gita, siamo testimoni di un grave incidente. Un pick up carico di tifosi della locale squadra di calcio si è rovesciato, causando 17 feriti, che subito trasportiamo in ospedale. Due sono molto gravi e verranno portati a Sana’a la mattina dopo, su un aereo militare. La presenza della delegazione della Mezzaluna rossa è provvidenziale, i nostri amici medici passeranno la notte in ospedale a operare.

Claudia Caramanti

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