011-Cos’ sta scritto – «A immagine di Dio lo creò»
«Egli è l’immagine del Dio invisibile»
Il mese scorso abbiamo stabilito i termini e il loro significato di base. Ora diventa più agevole approfondie il senso nascosto, oltre il testo, per addentrarci nel mistero della coppia. In questa esplorazione applichiamo la ghematrìa o scienza che esplora il significato dei numeri corrispondenti alle lettere dell’alfabeto ebraico, secondo l’uso comune alla tradizione giudaica e ai padri della chiesa dei primi secoli.
Intoo al xii sec. d.C., chiusa da secoli la fase di raccolta della tradizione orale (Mishnàh e Talmud), nell’ebraismo si sviluppa un genere letterario detto Qabalàh o Càbala (in ebraico significa tradizione/ricezione/accoglienza), che rappresenta il vertice della conoscenza: è la mistica, la sintesi della Mishnàh e del Talmud; l’ultimo gradino della perfezione, riservato agli iniziati introdotti al segreto (sod) della conoscenza per acquistare il dono/ricezione della luce.
L’opera letteraria, il codice della Qabalàh è il Sefer ha-zohar o solo Zohar (Libro dello splendore), a cui si rifanno i successivi movimenti mistici ebraici fino a oggi. La Qabalàh può riportare tradizioni antiche, che bisogna individuare di volta in volta sui singoli testi.
Il criterio esegetico prediletto dalla Qabalàh è la ghematrìa o scienza dei numeri: a ogni consonante (l’ebraico ha solo consonanti, le vocali sono secondarie) corrisponde un numero, per cui le composizioni che si possono ricavare con i relativi significati sono infiniti. Il processo è complesso e noi ci limitiamo ad alcune applicazioni.
Zakàr/pungente/maschio in ebraico si scrive zkr e ha un valore numerico di 22; neqebàh/perforata/femmina si scrive nqbh e ha un valore di 157.
La differenza tra maschio e femmina è 70 (227-157=70): è lo stesso numero che si ottiene sommando le consonanti dell’espressione ebraica Adam weChavàh/Adam ed Eva.
All’epoca della bibbia, intorno al sec. x a.C., si calcolava che la terra fosse abitata da 70 popoli, per cui l’espressione Adam weChavàh/Adam ed Eva comprende la totalità del genere umano, un modo per dire che tutti i popoli hanno una sola origine: nella prima coppia creata da Dio.
Anche la qabalàh si basa sul n. 70, perché corrisponde alla parola ebraica sod (60+6+4 = 70), che significa «segreto» della conoscenza e della mistica. Il «segreto» della coppia umana è nella loro differenza; dall’altra parte il suo mistero è nella totalità della sua umanità: l’unione tra maschio e femmina è il segno dell’unità del genere umano (70 = tutti i popoli della terra).
Prima di creare la coppia umana, Dio crea l’ambiente, il cielo e la terra; e prima ancora crea la luce, come orizzonte del creato e dimensione della coppia: in ebraico luce si dice «’or» e ha un valore numerico pari a 207.
L’espressione come la luce si dice ke-’or e il suo valore è la somma della luce (=207) e della lettera k/come (=20) 227, cioè lo stesso numero di zakàr/maschio.
L’ultima espressione come la ricezione della luce in ebraico si dice ke-qabalàh e corrisponde al numero 157 cioè lo stesso numero della neqebàh/femmina.
Il valore della lettera ebraica K (kaf=20) si ritrova sia nel maschio, perché lo paragona alla luce che viene offerta (207 [luce] + 20=227 [maschio]), sia nella femmina, perché la paragona alla luce che viene ricevuta e accolta (157 [femmina] – 20=137). Il n. 137 è il valore di qabalàh/ricezione/ accoglienza: la femmina in quanto luce ricevuta e accolta è simbolo del mistero e della mistica, il vertice e la sintesi di tutta la tradizione scritta e orale, ovvero della qabalàh [=137].
All’alba della vita, Dio crea la luce prima del maschio e della femmina, per fare della loro unione il segreto della conoscenza. «Conoscere/yadà’» nella bibbia è sinonimo di rapporto sessuale.
Adam ed Eva nel giardino di Eden erano senza vestiti, perché il loro vestito era la luce di Dio che risplendeva sulla loro pelle. In ebraico pelle si dice ‘or, parola simile a luce che si dice ’or (tra le due parole cambia solo la 1a consonante, che corrisponde al piccolo segno che sembra una virgoletta): ’or/luce e ‘or/pelle. Nel parlare si sente l’assonanza.
Dice una tradizione che la pelle dei corpi di Adam ed Eva era luminosa: come la luce/ke-’or. La pelle divenne opaca dopo il peccato e per questo si accorsero di essere nudi: si era spenta la «luce» della grazia che li rivestiva.
Dio procura alla coppia nuda (Gen 3,21) un vestito di tuniche di pelli ricavate dagli animali morti e scuoiati: Adam ed Eva hanno il sigillo della loro mortalità nel vestito della loro opacità. La coppia, perduto il vestito della pelle luminosa, deve coprire la propria opacità con pelle di animali morti, impegnando la propria esistenza nel tentativo di recuperare la somiglianza perduta. La morte entra a fare parte della natura umana e ne diventa il vestito, il contenitore e la morsa.
La vita della coppia diventa così un costante impegno a ricostruire ciò che era al «principio», cioè l’espressione visibile di una luce misteriosa che emana il senso di Dio/Amore. Prima del peccato originale, l’amore era la stessa natura del maschio/femmina, cioè armonia di perfezione; dopo il peccato l’amore diventa un impegno, una conquista, ma anche una sofferenza.
Gesù viene a portare solo questa rivelazione: Dio/Padre è Amore che vuole ricomporre l’armonia iniziale della creazione nella persona del Figlio suo, nella sua morte e risurrezione. Il senso finale della redenzione è la ri-creazione dell’immagine perfetta di Dio (Col 1,15-20).
La parola «Amore» in ebraico è ’ahabah" (valore numerico 13) e il Nome santo di Dio è Yhwh (valore numerico 26).
A nche la parola «esistenza/hawayah» ha il valore numerico di 26. Yhwh (=26) è la vita/esistenza (=26). Creando zakàr/maschio e neqebàh/femmina, ha diviso la vita in due e ne ha dato metà al maschio (13), metà alla femmina (13). Se vogliono ritrovare la loro immagine iniziale e vivere la vita di Dio (=26), essi devono sommare la parte di amore che hanno ricevuto per esprimere la totalità dell’esistenza (13+13=26), che si manifesta nella generatività di padre, di madre e del figlio generato, secondo lo schema seguente.
Maschio e femmina uniti come zakar e neqebàh diventano padre e madre, cioè sorgente della vita: nella ghematrìa la somma numerica di padre (3) e di madre (41) dà il figlio (3+41=44).
Se Dio è l’Amore e questo è l’esistenza partecipata, vivere acquista senso solo in una dimensione di amore che a sua volta trasforma e rigenera il maschio in padre e la femmina in madre, che sommati insieme formano una nuova esistenza, una vita nuova per ricominciare il ciclo luminoso della creazione.
Amare è sempre un ritorno alle origini, al «principio» dell’intimità con Dio (Gen 3,8). Il Talmud babilonese, nel trattato Sotah17a, ce ne dà la conferma: «Quando l’uomo e la donna sono degni (dell’amore), la Shekinàh/Presenza di Dio è con loro; quando invece non ne sono degni il fuoco li consuma». •
Paolo Farinella