La difficile uscita dalla povertà

L’energia elettrica c’è solo alcune ore al giorno. L’economia informale rappresenta una consuetudine. La sanità pubblica è una catena di corruzione. Il contrabbando, piccolo o grande, è abituale. Viaggio nell’Albania di tutti i giorni.

L’Albania è un paese difficile e complesso dove, come dice un proverbio, anche le cose più strane ed inverosimili sono possibili.
È un paese la cui storia è nata in Europa, ma è vissuta poi 5 secoli sotto l’Impero ottomano. L’ultimo paese europeo a divenire indipendente, sebbene tra i più grandi protagonisti dell’indipendenza della Grecia (1821) figurino gli albanesi. Sempre poco considerato dalle diplomazie degli altri stati, talvolta anche per propria colpa, come quando nel 1919, alla Conferenza di Parigi che seguì la fine della prima guerra mondiale, a perorare la causa dell’Albania si presentarono cinque diverse delegazioni. Ed alla fine fu la diplomazia vaticana ad influire maggiormente per il suo riconoscimento e si può dire che se oggi esiste l’Albania, buona parte del merito va all’opera del Vaticano.

NUOVO GOVERNO, STESSI PROBLEMI

Nell’estate del 2005, appena Sali Berisha assume l’incarico di primo ministro, centinaia di funzionari dei vari ministeri vengono licenziati in tronco, perché sospettati di aver sostenuto o collaborato con il partito socialista! Il Shik (il servizio segreto) è tolto dalla competenza del parlamento e passa al ministero dell’interno, come durante il regime comunista. Toano in patria personaggi fuggiti nel 1997 con il crollo delle «piramidi»; uno di questo giro è addirittura proposto come nuovo ambasciatore negli Stati Uniti, che lo rifiutano!
La vittoria del partito democratico poteva essere, finalmente, l’occasione per un’alternanza davvero «democratica», nonostante i dubbi, ancora una volta, sulla correttezza del voto. Ma così non è stato.
Così si è tornati indietro di nuovo, ancora a dire che «chi vince ha ragione» e chi è più furbo, più scaltro o chi non ha scrupoli avrà successo. Non è sempre così, né lo è per tutti, ma il governo della cosa pubblica si sta trascinando dietro da troppo tempo questa immagine, provocando non solo il malcontento, ma spesso anche l’avversione della gente comune e delle persone oneste.
La vittoria elettorale del partito democratico è stata costruita, a livello di propaganda elettorale, sullo slogan «caccia alla corruzione» e «dimezziamo le tasse alle piccole imprese». Sul primo, visti i precedenti del 1997, è piuttosto difficile credere solo sulla parola e la circostanziata denuncia fatta in parlamento per la collusione tra membri del governo ed ambienti della malavita, non lascia presagire seri risultati in proposito. Sul secondo, già prima che il nuovo governo si insediasse, il Fmi ha messo le mani avanti pubblicamente, impedendo qualsiasi riforma. È cambiato il governo, ma non i problemi, a cominciare da quello dell’energia elettrica. Viene erogata solo per un certo numero di ore al giorno, solitamente le prime ore della giornata e la sera. Quando si avvicina l’inverno, la situazione si aggrava e le ore di sospensione si allungano. Mancando la rete di distribuzione del gas, il riscaldamento domestico si fa con la corrente e quando manca si resta al freddo. Ed è la stessa cosa per gli uffici e per i negozi, per i semafori delle strade e per gli ascensori dei palazzi, per i bar e per tutte le attività produttive, piccole e grandi. Queste per poter continuare l’attività si sono dotate di un generatore.
E poi il problema dell’acqua, che il paese ha in abbondanza ma che non sempre è disponibile, soprattutto come acqua potabile; il problema del sistema fognario, quasi sempre insufficiente o quando non del tutto mancante; il problema delle molte strade ancora dissestate, in particolare nelle zone rurali e dei coperchi dei pozzetti che mancano. E ancora, la sanità pubblica, dove la catena di una corruzione alla luce del sole, raggiunge anche gli addetti ai servizi di pulizia; la mortalità infantile ancora troppo alta; la scuola, che può vantare i più bassi salari e la maggior disaffezione al lavoro del personale, oltre al riaffacciarsi dell’analfabetismo (solo l’88% dei giovani fino a 15 anni sa leggere e scrivere); la disoccupazione, ancora molto alta (ufficialmente il 14%) soprattutto tra i giovani, ma anche conseguenza delle privatizzazioni, passaggio obbligato per gli accordi di integrazione, che hanno provocato migliaia di licenziamenti. Sono tutte le varie facce dell’unico grande problema della povertà, che in Albania interessa in gran parte, ma non solo, le aree rurali.
Nel problema della povertà, un rilievo particolare deve essere fatto per la popolazione rom, che costituisce la parte più emarginata della popolazione albanese. Dall’abitazione, alla frequenza della scuola, dallo sfruttamento minorile, alla prostituzione, dalla disoccupazione all’assistenza sanitaria, le generali condizioni di vita di questo gruppo sono le più misere in assoluto.
Non è la situazione disperata del 1991-92 o del 1997, certamente. E bisogna anche non dimenticare che gli albanesi erano abituati a vivere talmente con poco che è stato ovvio, con la liberalizzazione, l’aumento delle esigenze quotidiane. Negli ultimi cinque anni, il miglioramento delle infrastrutture stradali è stato enorme. Ma la gente vorrebbe maggior impegno e maggior efficacia. Non è stato fatto tutto quello che si poteva fare ed in altri paesi che si sono presentati all’appuntamento con la democrazia in situazioni simili, è stato fatto di più. Romania e Bulgaria, per esempio, hanno già una data fissata per il loro ingresso nell’Unione europea.

L’ARTE DI «ARRANGIARSI»

Secondo gli esperti, l’Albania è in ritardo nel cammino verso l’Ue perché è il paese meno integrato nell’economia europea. Uno dei problemi più dibattuti dagli esperti è la necessità di portare alla luce del sole la grande fetta di economia informale del paese, che è stata stimata pari al 33% del Prodotto interno lordo (Pil).
C’è una economia formale ormai abbastanza strutturata e dinamica: costruzioni, commercio all’ingrosso, commercio al dettaglio, strutture alberghiere, produzione di scarpe e confezioni, lavorazione del legno, molti servizi, eccetera. C’è poi tutto quanto si fa per sopravvivere: piccolo commercio occasionale, ambulante o semi-stabile, di tutti i generi; manutenzioni e riparazioni di auto, elettrodomestici, impianti elettrici, bagni domestici; trasporti di persone e cose, tutte attività non dichiarate, in gran parte tollerate, se non tacitamente approvate, che ufficialmente non esistono e per le quali non si paga nessuna forma di assicurazione o tassa. Ma l’economia informale non è solo questo, è anche fare le stesse cose, avere cioè il medesimo comportamento di «arrangiarsi», anche nell’ampia gamma delle attività dichiarate. Per cui si tende a fare la doppia fattura per la dogana, la doppia fattura per l’Iva, nelle vendite si dichiara un prezzo più basso, le auto entrano con documenti falsi ed il contrabbando, piccolo e grande, è abituale, specie alle frontiere di Grecia e Montenegro.

LA (PESSIMA) DISTRIBUZIONE DEI REDDITI

Ciò che conta è, come al solito, che il quadro macroeconomico tenga bene: l’inflazione nel 2005 è stata calcolata al 2,2%, con un totale di 9,5% negli ultimi quattro anni; la moneta è da anni abbastanza stabile nel cambio con l’euro ed il dollaro americano; il Prodotto interno lordo (Pil) registra una crescita costante negli ultimi anni tra il 5% ed il 6%, ed ha raggiunto, secondo i dati ufficiali del ministero delle finanze del 2004, 1.934 dollari pro capite, cioè più del doppio del 1998.
Questo vorrebbe dire che una famiglia media albanese di quattro persone dovrebbe avere un reddito annuo di oltre 5.800 euro. Ma si sa che la statistica inganna, facendo la media tra chi ha tanto e chi non ha niente. La realtà è che delle circa 880.000 famiglie albanesi, un 20% ha un reddito annuo minimo che supera i 50.000 euro, cioè può permettersi un livello di vita considerato nei paesi europei medio- alto. Sono persone che vestono elegantemente, possiedono auto piuttosto costose e si recano regolarmente all’estero per le vacanze. Poi, secondo i dati della Strategia nazionale per lo sviluppo economico e sociale (del 2002), il 46,6% della popolazione è sotto la soglia di povertà, cioè ha un reddito pro capite che non supera i 1,65 euro al giorno. Per paragonare questo gruppo alle altre famiglie, queste (più del 40%) non vanno oltre i 2.400 euro l’anno. Ma in questo gruppo, sempre secondo i dati ufficiali del 2002, il 17,4% sono famiglie con un reddito annuo che non supera i 1.200 euro. Che le salva c’è il pane, che da oltre dieci anni non subisce variazione di prezzo: un chilo costa 60 lek, meno di 0,50 euro. Così in Albania il consumo medio di pane è almeno quattro volte maggiore di quello dell’Italia ed il pezzo di pane a cassetta di un chilo, della forma di un mattone, è il minimo che entra ogni giorno nelle case.
Anche per questo bisogna dire che l’Albania è un paese complesso e per capire serve un po’ di pazienza e non fa certo male anche un po’ di umiltà. Sono stati fatti passi enormi, economicamente, dalla situazione di collasso generale dello stato del 1991 ad oggi, ma bisogna anche dire che c’è della povera gente che stava meglio prima, o almeno prima era più protetta e sicura. Non è affatto raro vedere negli angoli delle strade di città un signore che mette il telefono a disposizione dei passanti per arrotondare la pensione, o un ragazzo rom che rovista nelle immondizie alla ricerca di bottiglie di vetro o lattine di alluminio. Senza trascurare poi che i circa 700.000 emigrati garantiscono il reddito a buona parte delle altre famiglie, quelle considerate più o meno medie.

SARÀ POSSIBILE CREARE UNA «SOCIETÅ CIVILE»?

Uno degli argomenti che da un po’ di tempo sono oggetto di particolare attenzione, a livello internazionale, riguardo l’Albania ed i Balcani è la necessità di creare la «società civile» come presupposto per lo sviluppo della democrazia. L’Unione europea, in particolare, da alcuni anni stanzia ed investe milioni di euro a questo scopo, per sostenere gruppi di persone ed attività che dovrebbero aiutare la società albanese ad evolversi in tal senso. Cioè essa dovrebbe assumere i valori, le caratteristiche ed i comportamenti delle società degli altri paesi europei in cui le forme di società civile sono già ben sviluppate. L’obiettivo di fondo è lo sviluppo della democrazia nel paese, nelle sue varie forme. Questo sarebbe appunto perseguibile aiutando la crescita della società civile.
Prendendo la cosa alla leggera ed in maniera un po’ scanzonata, potremmo dire che la scaltrezza albanese, dalla disponibilità di fondi che l’argomento prometteva, ha saputo trarre subito il beneficio che cercava. Così sono nate in pochi anni centinaia di associazioni, in tutto il paese, che dovrebbero dimostrare quanto è intenso e rapido l’evolversi positivo della società albanese verso la democrazia dal basso… In pratica, diciamo che tante persone non sono più disoccupate.
In realtà l’argomento è molto serio. Non è questo il luogo per un dibattito su come la democrazia potrebbe avere maggior successo in Albania. Tuttavia, l’attuale fase di transizione della realtà albanese avrebbe bisogno quantomeno di una particolare attenzione. Gli spunti necessari ci vengono dagli stessi albanesi più attenti.
Un’analisi di un altro albanese, attento alla realtà del suo popolo, Edi Rama, dice che la società albanese attuale non è ancora giunta al «livello zero» dello sviluppo democratico, alla soglia minima, cioè, che le permetta poi di scegliere tra più opzioni. Lo dimostra il fatto che pur mutando i partiti di governo, fautori in apparenza di opposte visioni, la politica economica non ha mai mutato indirizzo, sempre strettamente governata dal Fondo monetario internazionale.
A sostegno di quest’analisi, va ricordato che finché una parte importante della popolazione, a causa delle serie condizioni di povertà in cui vive, è praticamente esclusa dal circuito economico, questa non ha alcun legame, né interesse nemmeno verso forme di pratica della democrazia. L’impegno per la quotidiana sopravvivenza la tiene esclusa.
L’equivoco di fondo di quanti oggi cercano di sviluppare forme di pratica democratica in Albania, basandosi su azioni di sostegno alla società civile, è di aver scambiato il risultato con il presupposto. Né più né meno che mettersi a costruire una casa partendo dal tetto.

Pier Paolo Ambrosi

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