Non nascondiamoci!

È chiaro che, a causa della diffusione dell’Aids, la famiglia sia in grave pericolo. Non è difficile incontrare famiglie che non abbiano più un genitore, o addirittura entrambi. Spesso si viene a conoscere che sono morti per «la malattia dei nostri giorni», senza dire apertamente cosa sia successo, come se non si sapesse di cosa si stia parlando. In questa situazione, chi sopporterà maggiormente il peso della vita, se non i bambini? Le testimonianze che seguono provengono da due donne affette dal virus dell’Aids e ci spronano a non tacere davanti a questa tragedia che ci tocca tutti.

(Testimonianze raccolte da padre Gianni Treglia e pubblicate sulla rivista Enendeni)

Sono una vedova e ho 42 anni. Ho quattro figli, di cui l’ultimo ha 13 anni ed è in settima (l’ultima classe delle primarie, ndr). Nel 1996, mio marito si ammalò e morì.
Dopo la sua morte, anch’io mi ammalai di tubercolosi e fui ricoverata nell’ospedale regionale dove fui curata. Dopo di ciò, cominciai ad avere problemi di salute, con dolori alle ossa. Per lungo tempo sopportai questa situazione, finché un giorno, fortunatamente, incontrai un consulente medico e con lui accettai di controllare a fondo la mia situazione. Dopo varie analisi, risultò che avevo contratto il virus dell’Aids. A dire il vero, questo mi sconvolse alquanto e già pensai di essere una morente.
Però Dio è buono e il consulente mi indicò in che modo vivere, cosa mangiare, cosa lasciare, cosa fare. Ritornai dal primo medico, il quale mi consigliò allo stesso modo. Ora mi ritrovo ad avere speranza di vivere, ad accettare la mia condizione. Ora vivo grazie anche agli aiuti di organizzazioni non governative, che contribuiscono a mandare avanti i miei figli negli studi, a ricevere dei microcrediti che mi permettono di vivere una vita dignitosa.
Non nascondo la mia situazione e per dare una informazione giusta voglio sensibilizzare la società: è bene andare a controllare la propria salute, piuttosto che vivere nella paura. Se conosceremo la nostra situazione sanitaria, sapremo programmare meglio la vita. Nonostante la morte sia lì, spazza via la paura e va’ a fare le analisi. Non farti ingannare dall’aspetto esteriore della persona. L’unica medicina è fare le analisi. I centri per questo sono tanti. Dopo aver fatto le analisi e accettata la tua condizione, vivrai in pace, scaccerai la paura che hai ogni volta che non stai bene e pensi: ecco, sono finito! Queste possono essere piccole malattie secondarie, che possono essere curate. Il virus, di per sé, non ti danneggerà più di tanto, se seguirai i consigli dei consulenti e potrai vivere più a lungo senza problemi.
Sono ormai nove anni che so di avere il virus dell’Aids, eppure sto bene e vado avanti con speranza nella vita. Alzati, allora, e vai a controllare la tua salute.

Vivo a Kihesa (quartiere di Iringa) e ho tre bambini. È dal 1996 che ho scoperto di avere il virus dell’Aids, quando andai per una visita.
Nel 2003, mi recai al «Centro Allamano», l’ospedale per affetti da virus di Aids, gestito dalle missionarie della Consolata, per fare un nuovo controllo e ho visto che il virus era ancora lì, non se ne era andato, né era diminuito.
Il motivo per cui andai a controllarmi fu questo: mio marito desiderava che avessimo il quarto figlio e io, da parte mia, ho creduto bene di verificare lo stato della mia salute, prima di rimanere incinta. È qui che scoprii di essere affetta dal virus dell’Aids. Consigliai a mio marito di fare altrettanto, dicendogli che sarei stata disposta a rimanere incinta dopo aver fatto le analisi.
Non mi diede retta, ma questo durò solo due mesi. Si convinse e lo portai al «Centro Allamano», dove diagnosticarono la presenza del virus, ma ci consigliarono il modo di vivere da marito e moglie nonostante l’Aids. Ricevemmo tanti insegnamenti che ci aiutarono a poter allevare i nostri figli senza perdere la speranza (poi il marito morì, ndr).
Ringraziamo Dio per il «Centro Allamano», che si ricorda delle persone affette dal virus, le raduna, dà loro aiuti di ogni genere che permettono alla gente di vivere senza doversi rompere il capo per sapere delle medicine o del cibo. Inoltre, il Centro fa prestiti a chi ha ancora la forza di lavorare. Offre pure piccoli progetti di allevamento di bestiame (quali polli, capre, ecc.) e anche attrezzature varie per l’agricoltura. Ci è stato anche insegnato come fare l’orto: non abbiamo problemi di verdura, ora, anche nei periodi di siccità.
Perciò, fatevi avanti e controllatevi, non fatevi ingannare dall’apparenza del vostro stato di salute, pensando di stare bene. No, fai le analisi per conoscerti. E se non hai fatto le analisi, sta’ zitto, non indicare a dito le persone!

M i chiamo Abely Myovela, ho 39 anni. Con molte speranze vivo nella città di Iringa. Ho scoperto di avere il virus dell’Aids il 12 dicembre del 1996. Questo avvenne dopo lunga malattia, che mi vide ricoverato per più di due anni. Mentre ero in ospedale, fui consigliato di fare le analisi per vedere se avessi l’Aids, ma non accettai quel consiglio.
Il dolore cresceva, il mio problema diventava sempre più grande e cominciarono a venir fuori molti bubboni. Toai così dal dottore che mi aveva in cura, il quale mi consegnò un foglio con cui mi mandava dal consulente medico dell’ospedale.
Il dialogo si protrasse a lungo, almeno due ore e mezzo; dopo di che, mi fu prelevato il sangue. Quando le analisi furono pronte, i risultati erano inequivocabili: avevo contratto il virus dell’Aids! Il consulente, in quel secondo colloquio e dopo avermi fatto conoscere i risultati, si accorse che avevo cambiato atteggiamento, tanto da andarmene sbattendo forte la porta.
Quando la rabbia si affievolì, tornai dal consulente, che mi rassicurò riguardo il mio comportamento: era cosa normale. Non ero il solo in quella situazione, c’erano anche degli altri e, se lo desideravo, mi avrebbe accompagnato da loro. Accettai la proposta e mi condusse a un incontro con malati che avevano contratto il virus; in gruppo, ricevemmo dei consigli.
Ho deciso di non nascondermi alla società, anzi desidero che la gente veda una testimonianza vera, affinché comprenda la gravità di questo problema. Ho continuato a ricevere tanti insegnamenti per poter vivere con speranza; ho la possibilità di incontro con altre persone che hanno il virus; ho frequentato seminari per conoscere l’importanza di una buona alimentazione per curare le malattie a esso collegate e prevenire nuovi contagi.
Nonostante sia infetto, posso vivere più a lungo. Ho imparato che avere il virus non significa essere già morto. Ho incontrato altre persone malate e associazioni che si occupano di loro. Sono venuto a conoscenza dei luoghi dove vengono offerti servizi e aiuti di altro genere. In ospedale, conoscendo la mia situazione, vengo subito accolto e curato.
A dire il vero, all’inizio ho avuto molti problemi, soprattutto quando ho ammesso apertamente la mia situazione; e così, quando gli altri ne sono venuti a conoscenza, ho sperimentato una situazione di infelicità. Ero, infatti, visto come un «diverso». Ciononostante, non mi sono scoraggiato. Mi sono fatto avanti e ho cominciato a dire a tutti che solo facendo le analisi è possibile sapere se uno sia affetto o no dal virus dell’Aids.
Poiché in quel periodo ero in una situazione pietosa, la gente mi aveva già battezzato con svariati nomi: «Il compare ha il tamburo; il compare si è inciampato; il compare ha l’elettricità; il compare è andato a sbattere…» (espressioni che ho tradotto letteralmente, molto efficaci nel nostro linguaggio di strada, ma che in fondo indicano chi è stato contagiato, ndr).
Però non ho mollato e ho continuato a espormi. Ho creduto che ciò fosse normale. Allo stesso tempo, molti di coloro che mi indicavano a dito se ne sono andati proprio per lo stesso male. Non sapevano che l’Aids è una tragedia nazionale e mondiale. Altri che hanno contratto il virus ora mi cercano per consigli, come «maestro del vivere con speranza»: le accolgo, le consolo, dicendo loro di non perdere la speranza di vivere, di accettare il problema e prenderlo per quello che è. Fino ad ora vado avanti con i miei impegni quotidiani e per questo non mi vedono diverso dagli altri.
Ora consiglio a tutti che bisogna conoscere la propria situazione. Personalmente, dopo aver avuto certezza della mia condizione, vivo tranquillo. Non è facile per un altro conoscere che ho il virus dell’Aids, poiché il mio stato di salute è buono. A tutti dico di abbandonare i comportamenti che diffondono il virus e di non emarginare nessuno, perché nella lotta contro il nemico dell’Aids bisogna combattere uniti.

Gianni Treglia

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