LETTERE – “Altri 4 anni di guerre e terrorismo?” Le reazioni

Riguardava la rielezione di George W. Bush
a presidente degli Stati Uniti.
Nel pubblicare, lo scorso febbraio,
alcune lettere sull’argomento, abbiamo titolato:
Uno «0» e quattro «10»,
per indicare le bocciature e le promozioni.
Ora c’è ancora uno «0», mentre i «10» sono cinque.

Leggo sempre con piacere la rivista Missioni Consolata, corredata da foto meravigliose. Sul numero 12/2004, tuttavia, Paolo Moiola ha pubblicato un articolo circa la rielezione di George W. Bush alla Casa Bianca che non condivido affatto.
È una noiosa e settaria «collezione» di interventi di giornalisti e opinionisti che sparano, come di consueto, le frecce che hanno nella loro faretra (sempre uguali e sempre quelle!).
La vostra prestigiosa rivista cerchi di non ospitare tendenziose opinioni su fatti di rilevanza mondiale, essendo un mezzo di comunicazione rivolto alle «famiglie».
don Achille Lumetti
Sassuolo (MO)

Leggo con estremo interesse l’articolo di Missioni Consolata, dicembre 2004, passatami da un amico. Non è facile trovare sulla stampa, in tempi di pensiero unico, articoli così completi e circostanziati. Mi sembra opportuno ed «etico» che una rivista missionaria tratti problemi che toccano tutti. Personalmente la penso alla don Milani «I care» («mi interessa», «vi partecipo»…).
L’etica si dovrebbe incontrare con la politica! Sappiamo invece che si incontra solo con l’olio (petrolio). La chiesa è fedele quando «dice» la Parola ricevuta, senza riguardi ai potenti. È giusto valutare atti e parole. Denunciare! Tacere significa rinunciare alla funzione profetica. Oggi occorre schierarsi. Schierarsi forse può essere il primo gradino della giustizia.
Gianluigi Villa
(e-mail)

Ho letto con interesse l’articolo «Altri quattro anni di guerre e terrorismo?» e vi ho trovato molte informazioni che non conoscevo, come la storia delle tre suore detenute o la citazione di Ettore Masina sulle guerre dei poveri.
Vi auguro di poter continuare il vostro lavoro con lo stesso coraggio e la stessa determinazione.
Marco Colucci
Genova

Un amico mi ha segnalato l’articolo «Altri quattro anni di guerre e terrorismo?». Non solo condivido tutto quello che vi è scritto, ma sento il dovere di ringraziarvi per aver avuto il coraggio di pubblicarlo. Ho sempre apprezzato la rivista Nigrizia, mentre consideravo con diffidenza le altre riviste missionarie, ritenendole allineate con il Vaticano e con quelle posizioni della chiesa, o delle chiese, che, pur di ottenere qualche aiuto o qualche privilegio, non osano criticare coloro che sono al potere.
D’ora in poi seguirò con maggiore attenzione la vostra rivista.
Carlo Ferraris,
responsabile del Segretariato
Attività Ecumeniche – Genova

Ringrazio Paolo Moiola dell’articolo sugli USA e voi della redazione, che non vi siete trincerati dietro la solita prudenza. Il mio vivere m’insegna che c’è un tempo per tacere e uno per parlare. Questo è il momento di gridare con forza contro l’ipocrisia di potenti «messia», che nel nome di Dio esportano violenza e morte.
È il momento in cui anche noi, che ci riteniamo cristiani, prendiamo posizione: o politiche inteazionali di giustizia, solidarietà, collaborazione e pace (quindi disarmo, rispetto di ogni essere umano e dell’ambiente), oppure politiche imperiali di dominio, sfruttamento, violenza e guerra (altri recinti e nuove mura per difendere ciò che da secoli stiamo «rubando»).
È il momento di prendere sul serio il «servire Dio» e l’umanità, che egli ama, o «servire mammona».
Auguri di buon lavoro, anche se Vi arriveranno… tirate d’orecchie!
Giovanni Russotto
Genova

Su Missioni Consolata, dicembre 2004, leggo un lucido articolo di Paolo Moiola: «Altri 4 anni di guerre e terrorismo?». È eloquente e ineccepibile sull’opera «pacificatrice» degli Usa e del loro comandante in campo.
Non si è, però, detto che gli Usa, primi al mondo, destinano gran parte del loro Prodotto interno lordo alla foitura di armi e neppure si è detto che, in Iraq (soltanto in Iraq?), terroristi sono solo gli Usa. Infatti terrorista è chi aggredisce uno che non ha arrecato offesa ad altri e non può difendersi, proprio come è avvenuto in Iraq.
Nella babele del linguaggio, i patrioti iracheni sono stati presentati come «guerriglieri», «ribelli» e, preferibilmente, «terroristi»; altrimenti i media (in primis i nostrani Libero, Il Gioale, Il Foglio ecc.) che cosa ci stanno a fare?
In Iraq i «fedelissimi del deposto regime» non devono essere «2.000», come scrivono i servi dell’informazione; altrimenti non si spiega come «tutto l’Iraq è in fiamme». Solo a Falluja si è parlato di «1.600 vittime ribelli». Ormai la propaganda bellicista non regge neppure alla più elementare logica euclidea…
Le (sagge) parole di Kofi Annan e Boutros Ghali rappresentano il sigillo istituzionale e democratico ad un vero e proprio sterminio. Nessuno che parli mai delle vittime civili. Eppure è questo un mondo dove le chiacchiere abbondano, oltre alle menzogne. Tutti ricordiamo all’Onu (telecronaca in tempo reale in molti paesi e continenti) la «colomba» americana Powell con la manipolata provetta in mano? Sì, chiarissimo.
Tutto decorre dall’«11 settembre 2001», supportato da un racconto molto fantasioso ad uso e consumo di Usa e Israele. Ci si è pure inventati un aereo sul Pentagono, che nessuno ha mai «visto»; di Al Qaeda si è saputo «tutto dopo» e «nulla prima» e non si è approfondito niente. Chissà perché…
Al Zarkawi è sempre imprendibile e nessuno lo conosce; Bin Laden, che da anni non telefona (neppure ai suoi numerosissimi figli), è sempre ammalato di diabete, ma, al contempo, dirige il «terrore nel mondo». A me pare che l’unico che rompa gli equilibri nel mondo sia il rieletto comandante in campo, del quale qualcuno ha scritto: «Ha gli occhi troppo vicini per essere intelligente».
O Bush o Kerry, le multinazionali non fanno sconti. Dei 500 mila bimbi iracheni la responsabilità è dei «liberali» Clinton e Albright, tanto per capirci. Ricordo un intelligente Vittorio Sgarbi che ne mostrava gli effetti fotografici su Canale 5, anche se tutto si è limitato ad una sola «sterile» trasmissione… Beh, meglio non disturbare il manovratore!
Berlusconi è al passo del padrone atlantico, e la sinistra (che aggredì la Serbia per apparire «credibile» al gendarme planetario)… anche. Salvo solo Missioni Consolata e poco altro.
Ma, davvero, si può credere che gli Stati Uniti siano venuti in Italia per «liberarci» e basta? È ovvio che non sia stato così; infatti è normale che uno stato impieghi uomini e mezzi a decine di migliaia anche per il proprio tornaconto.
Il flagello umanitario in America Latina è da secoli sotto gli occhi di tutti: basta chiederlo a chi si reca sul posto. Come chi va in Palestina si accorge della quotidiana repressione di Israele verso i legittimi proprietari di quella terra, mentre la stampa svolge un’operazione molto più «filtrata»: tutto poggia (e viene «compensato») su «Auschwitz e dintorni», dove «gli ebrei sono le vittime per eccellenza».
Ci sarà mai un tempo per una (macabra) contabilità delle vittime dei pellerossa o dei regimi latinoamericani al soldo delle lobbies economiche? Per chi crede in maniera irriducibile nel valore della vita e/o si autorninveste in maniera preventiva del ruolo di latore dei valori democratici, ciò non dovrebbe essere che di conforto, anzi auspicato.
Ricordo che Lozada, predecessore dell’attuale presidente boliviano Carlos Mesa (su Missioni Consolata, dicembre 2004, vi è una bella intervista di Paolo Moiola), è stato prima cacciato dal suo popolo, dopo averlo represso, e in seguito ospitato e presentato negli Usa come «difensore della democrazia». Uno schema consolidatissimo.
Se Saddam Hussein era un dittatore, l’egiziano Moubarak, amico dell’Occidente, da chi è stato eletto e quando? Delle famose «fosse comuni» di Saddam, anticipate da una marea di chiacchiere, non si è vista una fotografia… come del resto con Milosevic, il cui processo è «opportunamente silenziato» al patetico Tribunale penale internazionale dell’Aja.
È reato affermare di simpatizzare con la resistenza irachena? Forse sì.
Il male non è dato dal balbettio minimalista dei nostri politicanti, bensì sta nei nostri modelli di vita: se comperassimo meno prodotti inutili, toglieremmo in maniera pacifica e radicale a molte sovrastrutture industriali ed economiche la loro ragione di esistere, sfruttare e… uccidere (e intaseremmo meno le aule dei tribunali nostrani).
Tutte le idee per definizione sono «belle», mentre il male sta esclusivamente nei nostri modelli di vita, dove è sempre bene tenere un occhio attento alla realtà, perché c’è chi con cinismo, perfidia e «sapiente» cosmesi mediatica la sovverte.
Max Cole
Brescia

L’ultima lettera è diversa dalle precedenti, e non solo per la lunghezza (l’abbiamo in parte ridimensionata, sforzandoci di non travisare i contenuti). Il lettore mette molta carne al fuoco; talora è allusivo, a scapito della comprensione.
Non sempre siamo d’accordo con lui: per esempio, non condividiamo che «in Iraq… terroristi sono solo gli Usa»…
Diverso è pure l’intervento di don Achille, che ci raccomanda di «non ospitare tendenziose opinioni su fatti di rilevanza mondiale, essendo (la rivista) un mezzo di comunicazione rivolto alle “famiglie”». Raccomandazione sacrosanta che dovrebbe valere per tutti, magari dopo aver stabilito cosa si intenda per «tendenziose opinioni».
Risponde Paolo Moiola – Nell’articolo contestato da don Lumetti, tra le tante autorevoli opinioni ci sono anche quelle di: don Paolo Farinella, don Raffaele Garofalo, don Gianfranco Formenton, don Aldo Antonelli, padre Roy Bourgeois.
Le famiglie italiane dovrebbero accontentarsi di sentire Bruno Vespa, Giuliano Ferrara, Emilio Fede o Mara Venier?

Autori vari




LETTERE – “Disagio giovanile, disagio del mondo

Gentile redazione,
mi congratulo per il dossier di gennaio 2005 «Disagio giovanile, disagio del mondo», che ho letto tutto d’un fiato. È assai interessante e centra in pieno il problema giovanile e della scuola.
Sono un’insegnante ormai disgustata dell’attuale andamento che la riforma Moratti sta dando. La scuola sta affondando con le implicazioni sui giovani che ne conseguono e che voi avete così bene descritto.
L’idea del dossier è stata non solo buona, ma ottima. Spesso è più facile trattare problemi distanti dalla nostra realtà di quelli che quotidianamente ci toccano da vicino. Il pianeta giovani rappresenta una nuova terra di missione, per quanto le povertà e/o i problemi di cui soffre attualmente siano diversi da quelli più concreti dei paesi del cosiddetto terzo mondo.
Voi li avete messi a nudo assai bene. Spero che il dossier aiuti a riflettere sull’importanza di investire sul presente e futuro dei giovani (cosa che si sta facendo poco e male), oppure si offrano immagini sulle quali investire per impostare il proprio stile di vita, le proprie priorità, i valori in cui credere.
Ma un mondo che sta perdendo l’etica per strada, giustificando tutto come accettabile o possibile, in cui il concetto di bene si mescola con quello di male (anch’esso inteso come esperienza), che sta creando falsi miti, può portare i giovani a credere ancora in qualcosa?
Silvana Vergnano
Torino

All’osservazione «spesso è più facile trattare problemi distanti dalla nostra realtà…» rispondiamo che bisogna saper guardare sia lontano sia vicino. La missione è, nello stesso tempo, e «qua» e «là».
Di fronte ad un quesito finale, così significativo oltre che angosciante, come in altre occasioni coinvolgiamo i nostri lettori… confidando però nello Spirito Santo. Questo «gigante invisibile» sa illuminare molti: per esempio, i sottostanti ragazzi di Cava de’ Tirreni

Silvana Vergnano




LETTERE – “Antisemitismo strisciante?”.

Spettabile redazione,
su Missioni Consolata di dicembre 2004 trovo pubblicata una mia lettera con un titolo incongruente e sbagliato «Antisemitismo strisciante?», anche se la brevissima risposta sembra condividee il contenuto.
Faccio osservare che semiti sono tutti i popoli del vicino Oriente e non solo gli ebrei: l’antisemitismo rivolto al solo Israele è un’indebita appropriazione letteraria. E mi sorge spontanea la domanda: si può criticare e condannare la politica di Israele senza essere tacciati di antisemitismo?
Max Cole
Brescia

«Si può criticare… senza essere tacciati di antisemitismo»? La risposta dovrebbe essere: sì. Ma abbiamo usato il verbo al condizionale.

Max Cole




LETTERE – Per la felicità di…

Cari missionari,
siamo tre amici. Siamo solo tredicenni e frequentiamo il terzo anno della scuola media statale «Carducci – Trezza».
Tutti e tre abbiamo obiettivi diversi per il futuro, ma tutti e tre abbiamo a cuore la tragica condizione che vige nella Repubblica Democratica del Congo. Il nostro interesse si è accresciuto quando, in chiesa, abbiamo trovato la rivista Missioni Consolata che, per l’appunto, parlava del Congo.
Sull’ultima pagina vi erano anche delle informazioni sulla scuola di lingua swahili di Torino. L’argomento ci appassiona parecchio; ma, data la nostra età e la lontananza, non possiamo frequentare la scuola. È per questo che vi chiediamo se, gentilmente, potreste inviarci dei fascicoli di lingua swahili per principianti. Saremmo molto felici se accettaste la nostra richiesta, che ci darebbe l’opportunità di realizzare un sogno e di formarci in maniera più aperta alle diversità che segnano questo nostro mondo.
Confidando pienamente nell’obiettivo che ci accomuna e precisando che, se necessario, siamo anche disposti a versare una certa quota per ricevere i fascicoli, porgiamo i nostri più distinti saluti.
«Kwa heri».
Sara, Ida e Fabrizio
Cava de’ Tirreni ( SA)

Con Sara, Ida e Fabrizio la speranza è assai di più di un obbligo… Ragazzi, vi ricordiamo che il kwa heri con il quale ci avete salutati sta per «arrivederci»; ma letteralmente significa: «per la felicità». La vostra felicità.

Sara, Ida e Fabrizio




LETTERE – Ritorna il Kossovo

Signor direttore,
complimenti a Snezana Petrovic e a voi per la lettera sul Kossovo (Missioni Consolata, gennaio 2005). È puntuale, condivisibile, chiara: un importante contributo alla verità sugli avvenimenti dell’ex Jugoslavia e sulla situazione dei serbi e delle altre minoranze in Kossovo. Essa dovrebbe diventare un punto di partenza per la soluzione dei problemi, così drammatici, di quelle popolazioni.
Occorrerà coraggio e molto impegno, per affrontare una battaglia che si presenta in questo momento decisiva, poiché gli stati occupanti stanno per determinare il futuro assetto politico del Kossovo e il destino di quelle persone.
C’è un debito di giustizia, da colmare, che abbiamo nei loro confronti.
Dr. Giuseppe Torre
Genova

Snezana Petrovic, nostra collaboratrice di nazionalità serba, spiega «perché i serbi in Kossovo non hanno votato».
La situazione in Kossovo rimane molto grave, come ci ha raccontato il nostro collaboratore Enrico Vigna, appena tornato dalla zona.
Del Kossovo abbiamo scritto anche nel nostro libro La guerra. Le guerre pubblicato dall’Emi (Bologna, 2004), con due ristampe in pochi mesi.

Giuseppe Torre




LETTERE – Cina: persecuzioni religiose

Egregio direttore,
da anni leggo la vostra bella rivista, ma ho avuto solo ora l’occasione di leggere un numero da me dimenticato. Si tratta di aprile 2003: articolo «Cina il gigante si è svegliato», di Mirco Elena.
L’articolista, dopo aver bene descritto origine, storia, tradizioni, politica e risveglio economico della Cina, si è completamente dimenticato di accennare alle varie, continue e pesanti persecuzioni religiose: cristiani, missionari, vescovi… torturati e imprigionati tuttora, per non voler essere «patrioti», dipendenti dal governo cinese e non dal papa di Roma. Tutto questo si deve sapere e l’autore, Mirco Elena, si aggiorni! Non si può tacere questa triste realtà.
Missioni Consolata dovrebbe sempre sottolineare che in Cina esiste pure «la chiesa del silenzio», legata a Roma. Qualche vostro articolo nel passato l’ha ricordato e bisogna farlo anche ora.
A parte questa grave dimenticanza di Elena, leggo con piacere i vostri interessanti articoli ed invio anche alle missioni qualche modesta offerta.
prof. Giuseppe Tomaselli
Treviso

Grazie della solidarietà con i missionari e le loro comunità. Grazie anche del suo rilievo critico, pertinente. Però non si tratta di «dimenticanza», bensì di «complessità».
Non si possono affrontare «le persecuzioni religiose» in Cina con poche battute. La superficialità diventerebbe più grave dell’omissione.

Giuseppe Tomaselli




LETTERE – “Non avanzo soldi”

Cari missionari,
ricevo Missioni Consolata da un po’ di tempo con il conto corrente.
Quest’anno però non posso fare l’abbonamento, perché, essendo pensionata e con parecchie spese, non avanzo soldi. Non mi rimane che pregare per tutti, per la pace nel mondo intero…
Lettera firmata

Pregare per la pace è un contributo enorme…
D’altro canto non ignoriamo le difficoltà economiche in cui versano tanti nostri lettori. Nel 2003 le famiglie italiane che faticavano a giungere alla fine del mese erano il 38%. Oggi superano il 51%… «La gente – ha scritto Enzo Biagi – non legge i listini di Borsa, ma fa fatica a riempire quella della spesa. L’Eurispes precisa che tra noi ci sono 14 milioni di poveri. Non si vedono per strada, ma a tavola». Ecco perché siamo ammirati di fronte alla generosità di tanti nostri lettori.

Lettera firmata




Eucarestia & Missione

In questo anno, consacrato all’eucaristia, i cristiani sono invitati ad accostarsi con rispetto e devozione al mistero della presenza di Cristo in mezzo all’umanità. Il mondo missionario s’interroga su come la sua azione di evangelizzazione e di promozione umana può far riferimento all’eucaristia, quale momento privilegiato di riflessione nel suo incedere sui sentirneri della storia umana.
In una sana prospettiva missionaria, oltre alla devozione e al culto liturgico che le sono dovuti, l’eucaristia contiene numerosi e puntuali riferimenti all’impegno di denuncia per i mali della terra e di solidarietà con tutti gli oppressi del mondo. Ecco alcuni esempi.
Durante la messa della notte di natale 1537, nella cattedrale di Hispaniola (oggi Santo Domingo), fra’ Montesino de Guzmán, pronunciò una fortissima omelia contro i conquistadores spagnoli, che sulle terre appena scoperte rubano, ammazzano, seviziano gli indios. Quell’omelia colpì profondamente un giovane novizio domenicano, Bartolomé de las Casas: scosso dalle parole del suo confratello, diventò il più strenuo difensore degli indios.
Quella denuncia, pronunciata in una solenne celebrazione eucaristica, fu un incisivo punto di partenza per l’attenzione e la cura che la chiesa latinoamericana ha sviluppato verso gli indigeni lungo i secoli, difendendoli dai soprusi dei nuovi arrivati.
Sempre in un contesto prettamente missionario, l’eucaristia si fa memoria di martirio e celebrazione di speranza. Questo aspetto è testimoniato dallo scrittore cattolico giapponese Susaku Endo nel suo romanzo Silenzio, dove viene narrata la persecuzione che, tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600, annientò tutte le comunità cristiane fondate da san Francesco Saverio. Si salvò solo un «piccolo resto». Nel 1870, quando i missionari europei poterono rientrare, arrivati nel porto di Nagasaki, si sentirono chiedere dai discendenti di quei cristiani giapponesi di celebrare l’eucaristia in memoria dei loro martiri: un’eucaristia attesa per più di 200 anni!

I n occasione dell’anno eucaristico, iniziato proprio nello scorso ottobre, mese missionario per eccellenza, Giovanni Paolo ii ha ripreso ed evidenziato questi temi nella lettera apostolica Mane nobiscum Domine. In essa il papa ricorda che «l’eucaristia ci spinge a mostrare solidarietà verso gli altri, rendendoci promotori di armonia, di pace e, specialmente, di condivisione con i bisognosi.
L’«Anno dell’Eucaristia» deve condurre le comunità diocesane e parrocchiali a un particolare interessamento per le varie manifestazioni della povertà nel mondo, come fame e malattie nelle nazioni in via di sviluppo, solitudine degli anziani, disoccupazione, sofferenze degli immigrati. Questo criterio di carità sarà il «segno dell’autenticità delle nostre celebrazioni eucaristiche».
L’eucaristia, prosegue il papa, «non è solo espressione di comunione nella vita della chiesa; essa è anche progetto di solidarietà per l’intera umanità. Nella celebrazione eucaristica la chiesa rinnova continuamente la sua coscienza di essere segno e strumento, non solo dell’intima unione con Dio, ma anche dell’unità di tutto il genere umano».
Ogni messa, anche se celebrata nella più umile delle comunità e nelle regioni più sperdute della terra, porta in sé il segno indelebile della universalità. Il cristiano che partecipa all’eucaristia, impara a farsi promotore di comunione, di pace, di giustizia e di solidarietà in tutte le circostanze della vita.

I l nuovo millennio è iniziato avendo davanti a sé lo spettro del terrorismo e la tragedia della guerra. La grande famiglia missionaria, che reca in sé come la coscienza storica di un cammino di evangelizzazione che ha plasmato intere generazioni, chiama i cristiani a vivere più che mai il mistero dell’eucaristia come scuola di pace, in cui uomini e donne, partecipando alla vita di Cristo, si fanno tessitori di dialogo e comunione, oltre che costruttori incessanti di cammini di giustizia e di pace.
Interessanti pagine di vita attendono ancora di essere scritte nel meraviglioso libro della missione, da chi con fede e umiltà celebra e partecipa al mistero dell’eucaristia.

Mario Bandera

Mario Bandera




002-Così sta scritto – Dalla Bibbia le parole della vita (2a. puntata)

DIO LI BENEDISSE E DISSE LORO:
«Siate fecondi…» (Gen 1,28)

Il verbo «benedire» e il sostantivo «benedizione», in secoli di pratica cultuale, hanno perso il loro significato originario. Vogliamo tentare di recuperare «una» dimensione biblica, senza pretendere di esaurire tutta la complessità di significato che questi termini hanno.

a) In accadico, kara¯ bu significa pregare, consacrare, benedire, salutare. In arabo, baraka esprime beneficio, flusso benefico che viene da Dio, dai santi, dalle piante, da cui benessere, salute o felicità. In ebraico, la radice brk da cui il verbo ba¯ rak, dotare di forza vitale, e il sostantivo bera¯ ka¯, forza salutare o vitale, ha anche il significato di inginocchiarsi e ginocchio.

In Oriente, il termine ginocchio è un eufemismo, cioè un modo attenuato e indiretto per indicare gli organi sessuali maschili; in questo senso vi sarebbe una parentela con l’accadico birku, ginocchio e grembo.

b) Questi cenni etimologici dicono un nesso tra benedire/inginocchiarsi e benedizione/ginocchio, stabilendo un collegamento tra benedire/benedizione e gli organi sessuali maschili. Se qualche lettore si stupisce ora, lo invitiamo a proseguire nella lettura fino in fondo, garantendo che non siamo maniaci.

In base alle loro conoscenze «scientifiche», per gli antichi è l’uomo che trasmette la vita, mentre la donna è solo una incubatrice di seme. Discendenza, infatti, in ebraico si dice «zera’» che il greco biblico traduce con sperma (Gen 12,7; Gal 3,16). Ecco il senso: benedire significa trasmettere la propria capacità generativa a un altro rendendolo fecondo. Questa benedizione è unica: una volta data non può più essere tolta.

 

Quando si benedice Dio, si usa sempre il participio passato passivo ba¯ rûk, benedetto, perché in Dio la benedizione è uno «stato» permanente della sua persona, mai un augurio: «Sia benedetto!», che indica un compiersi nel tempo. Dio «è» Benedetto. Sempre. È la benedizione stessa.

Quando Dio benedice trasmette la sua potenza vitale, la sua capacità generativa per rendere partecipi della sua pateità generante. «Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi”» (Gen 1,28), dove il nesso tra «benedire» ed «essere fecondi», cioè generare, è evidente.

Quando l’uomo benedice, trasmette tutta la sua energia di vita a colui che è benedetto. Ora si capiscono meglio le parole di Dio a Caino dopo il fratricidio (Gen 4,10). Dice il testo ebraico: «La voce dei sangui (demê, sic! plurale) di tuo fratello urlano vendetta a me dal suolo». I sangui, cioè tutte le generazioni future contenute nel grembo di Abele e stroncate da Caino urlano a Dio, perché futuro e presente sono legati in vita e in morte.

In Genesi 27 si narra la storia di Giacobbe che carpisce con inganno la benedizione al fratello Esaù, il quale implora per sé la benedizione; ma il padre Isacco non può riprendersi tutta la sua capacità generativa che ha trasmesso al fratello, il quale resterà benedetto per sempre (v. 33).

Esaù supplica il padre piangendo: «Non hai conservato per me una benedizione?» (v. 36); «hai dunque una sola benedizione?» (v. 38). Isacco non può più benedire Esaù, perché ha trasmesso tutto il suo seme promessa/premessa del futuro che cova nella sua potenza generativa a Giacobbe.

La benedizione/fecondità patriarcale conduce la storia della salvezza verso il futuro e viaggia attraverso il figlio minore e non il maggiore. Giacobbe deve scappare dall’ira del fratello; il padre lo accompagna con queste parole: «Ti benedica Dio onnipotente, ti renda fecondo e ti moltiplichi» (28,3), che sono l’eco di Dio creatore in Gen 1,28: «Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi”».

c) La benedizione, come atto che trasmette la vita e la capacità di generarla in ogni relazione umana, comprende un gesto, l’imposizione della mano o delle mani, e una parola, che accompagna e spiega il testo. Il gesto senza la parola è solo mimica; la parola senza il gesto è solo suono evanescente. È la stessa dinamica della creazione: «Dio disse… e così fu».

Parola e fatto. Dabar/Lògos. La Parola è il senso dell’avvenimento, che è incarnazione della Parola. Non a caso gli avvenimenti della storia personale, di coppia, di famiglia, di comunità, di popolo, di popoli sono «le parole» con cui Dio parla agli uomini e alle donne di tutti i tempi, mentre la scrittura ne è il codice cifrato per comprenderne senso e portata, in forza del principio che Dio parla agendo e agisce parlando: parola/fatto, cioè dabar.

In sintesi, benedire vuol dire essere in comunione di vita con colui/coloro che ricevono la benedizione; in senso spirituale significa generare colui/coloro che si benedice. Altrimenti: chi benedice è responsabile della vita di colui/coloro che benedice. 

 

Il nostro tempo è segnato da una sciagura: le parole sono separate dagli avvenimenti e, spesso, le parole si rincorrono a vuoto, approdando a nulla. Si rischia di perdere la parte migliore della vita, se non si riscopre il nesso amoroso e generante tra «parola» ed «evento» della vita: è il senso della benedizione dell’esistenza, quell’evento di vita e di amore che ci genera gli uni agli altri per renderci fecondi gli uni per gli altri.

La frattura diventa cataclisma, quando sono le guide (genitori, insegnanti, formatori, presidenti del consiglio, deputati, superiori, parroci, vescovi…) a smarrire il raccordo tra parola ed evento, generando incertezza ai loro governati: i sangui degli eventi taciuti urlano a Dio.

Lo stesso vale per la vita di fede: rito e vita stanno insieme, altrimenti i sacramenti sono solo «rituali» amorfi e senza sapore. Inutili. Vuoti. Nel marasma politico che attanaglia il mondo intero e il nostro popolo, in questo momento grave della nostra Repubblica assistiamo a un genocidio delle parole, utilizzate come corpi morti, senza anima e senza vita, perché usate come strumenti per ingannare e camuffare la realtà, piegandola ai propri piccoli e meschini interessi. Oggi in Italia domina la logica dell’utile, non la dinamica feconda della benedizione generante.

Incaati nella storia, i cristiani hanno il dovere e l’onore di rendere testimonianza alla Parola con le loro parole accompagnate da gesti di verità e coerenza, affinché la loro vita e presenza nella storia siano una «benedizione di fecondità», capace di generare quanti incontrano sul loro sentirnero di carne, per ritrovare in ciascuno e in tutti il volto velato di Dio, il quale, benedicendo, ci rende fecondi di vita e artefici di Storia: profeti dell’amore, per amore e con amore.

È la benedizione della tenerezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, che scende feconda e ri-generante su tutti i nostri lettori e le loro famiglie. Amen!

Paolo Farinella

Paolo Farinella




L’APOCALISSE ASIATICA Riflessioni sulla tragedia

PERCHÉ IL DOLORE E LA MORTE?

Perché il male e la sofferenza? Perché? Perché?
Quando dubbi ed interrogativi opprimono le nostre menti.

Una montagna di fuoco fu scagliata nel mare. Un terzo del mare divenne sangue e morì un terzo delle creature che erano nel mare (Ap 8,8).
Le scene che, per settimane, sono giunte dal Sud-Est asiatico hanno lo sfondo e i confini di un’apocalisse cosmica, che ha coinvolto l’intero pianeta, se il cataclisma ha avuto la potenza di spostare anche l’asse di rotazione terrestre e un’intera isola di parecchi metri. Le parole sono totalmente afone non solo di fronte alla gravità inimmaginabile del maremoto, ma anche di fronte ad una tragedia nella tragedia: la catastrofe si abbatte su una porzione del Terzo Mondo che già paga il salatissimo prezzo della miseria e della povertà. Ancora una volta, come ricorda il detto popolare, «piove sul bagnato».
«Se Dio esiste, perché permette che succeda tutto questo macello cosmico e sempre a danno dei poveri che non possono neanche cadere dal letto visto che sono sdraiati per terra?». È l’eterno problema del «perché il male e la sofferenza?» e del «perché il dolore e la morte tragica degli innocenti?». Sono alcune domande che si sentono immediate e spontanee in bocca alla gente che non sa darsi una spiegazione logica. Quando gli uomini non sanno dove appigliarsi, quando sono incapaci di una qualsiasi risposta logica, di fronte alla maestosità sovrana della natura e terrorizzati dalla loro piccolezza, scaricano sempre (senza malizia beninteso!) una sfilza di «perché?» su quel Dio che il teologo evangelico, Dietrich Bonhoeffer, chiamava il «Dio tappabuchi». Di questo «dio» non sappiamo cosa farcene e crediamo che nemmeno Lui sappia cosa farsene.
Noi non abbiamo risposte preconfezionate, non abbiamo ricette con una risposta per ogni domanda. Anche noi siamo atterriti e sgomenti, pieni di «perché?» senza risposte e la nostra fede, seppure solida, è densa di dubbi e interrogativi che il nostro cuore, come Giacobbe, «medita in silenzio» (Gen 37,11) o come Maria che conserva gli eventi incidibili nel suo intimo, meditandoli davanti al mistero (Lc 2,19). Noi siamo poveri testimoni di un Dio «incarnato» nella storia di carne degli uomini e delle donne, specialmente degli ultimi e degli esclusi. Noi sappiamo che Dio non vuole né permette alcuna disgrazia perché egli è Padre-Madre di ciascuno dei suoi figli e un padre non si diverte a torturare i suoi figli, scaraventando su di loro un maremoto paragonabile per potenza a mille bombe atomiche. Se un «dio» così fosse solo ipotizzabile bisognerebbe ucciderlo in tempo, prima che distrugga ogni cosa. No, non è questo il Dio di Gesù Cristo! Egli non è un orologiaio che aggiusta i meccanismi secondo il capriccio degli uomini, come voleva Cartesio o come vorrebbero i fans di un Dio juke-box, pronto a rispondere a comando di monetina. Questo «dio» è un dio a immagine e somiglianza della malvagità degli uomini che non possono ipotizzare un dio diverso dal loro modo di agire e di pensare. Questo «dio» carnefice, vendicativo, insensibile è stato sconfitto da Gesù Cristo sulla croce che resta la lucerna accesa sul moggio (Mt 5,15) per rischiarare tutte le croci e tutti i crocifissi che la Storia e la Natura portano con sé. Dio non gioca a bowling con le persone. Dio è persona seria!
Noi sappiamo, al contrario, che nel momento in cui il male accade e il dolore avvince l’uomo e la sofferenza stritola il giusto, l’innocente e il malvagio, Dio è già là che aspetta perché nessuno in quei tragici momenti si senta solo. Dio, come ci insegnano i vangeli nel racconto del battesimo, è sempre l’ultimo della fila, perché chiunque, colpito in qualsiasi modo, possa guardarsi indietro e non sentirsi ultimo, ma solo penultimo. Dio è sempre l’ultimo: è il povero, è l’emarginato, è il terremotato, maremotato, è il disperso, è il morto, è l’orfano, l’innocente crocifisso senza colpa e senza distinzione di razza, tribù e lingua, è veramente tutto in tutti (1Cor 15,28). A mi chiede: Dov’è Dio? Mi è facile rispondere: «Guardati attorno e volgi lo sguardo: viene dall’Oriente e dall’Occidente, dal Settentrione e da Mezzogiorno… una marea di volontari sale dal cuore dell’umanità e la maggior parte in silenzio, senza fragore, condividendo ciò che hanno e ciò che sono senza che la destra sappia quello che fa la sinistra» (Mt 6,3): uomini e donne, bambini e anziani, un mare di umanità, un maremoto di solidarietà sta riportando l’asse terrestre al suo posto e dai quattro angoli del mondo, il meglio degli uomini e delle donne è carne e osso del Sud-Est asiatico. Ecco dov’è il Dio di Gesù Cristo e il suo Spirito soffia dove vuole e irrompe in azione (Gv 3,8).

Se le cose stanno così, come spiegare questa apocalisse e tutte le altre tragedie che assediano e asfissiano l’umanità intera, come guerre, epidemie, transumanze, stragi di popoli interi, fame endemica, schiavitù di intere masse di poveri, sacrificati sull’altare del moloch del superfluo dei paesi industrializzati, ricchi, sazi e in cura dimagrante per combattere il colesterolo o per mantenere il «peso-forma»?
Leggiamo in Gen 2,15 che «Il Signore-Dio prese l’Adam e lo collocò nel giardino di Eden perché gli ubbidisse e lo custodisse» come si deve ubbidire e custodire la Torah o l’Alleanza. L’uomo che ha scacciato Dio dal suo orizzonte si è rivolto verso la terra e l’ha considerata sua schiava, l’ha asservita ai suoi soprusi, l’ha stuprata e continua a stuprarla nonostante i medici dicano che sta morendo. L’uomo nei confronti della terra ha un rapporto necrofilo: vuole possederla anche da morta. La terra però non riconosce nell’uomo il suo «signore» e da violata diventa violenta e quando si scatena non fa sconti. Tutti gli scienziati dicono che bisogna mutare stile di vita, il protocollo di Kyoto ne ha imposto l’urgenza nell’agenda del mondo, eppure l’America non vuole firmarlo, ma forse comprerà dai paesi poveri porzioni d’inquinamento per mantenere il suo «tenore di vita». Gli altri paesi occidentali firmano, ma non ottemperano e dilazionano, dilazionano o, come l’Italia, aumentano i parametri minimali per stare sempre dentro. Non c’impressiona la natura che fa il suo corso e la storia ne è fedele testimone. Interi popoli e civiltà, forse superiori alla nostra, sono scomparsi come i popoli e le culture precolombiane. Noi già sappiamo che, tra qualche manciata di milioni di anni, anche la terrà scomparirà e il sole si fredderà e scoppierà e sorgerà un nuovo sole e una nuova terra. È così da milioni di anni e così sarà ancora per milioni di anni. Sappiamo anche che dobbiamo convivere con queste tragedie e cataclismi che diventeranno sempre più frequenti e sempre più devastanti perché la terra è diventata più fragile e poggia su un sistema dall’equilibrio precario, la cui responsabilità ricade solo ed esclusivamente sull’uomo dei «paesi industrializzati» che vanta una civiltà radicata niente di meno che sulle radici cristiane. Ciò che ci scandalizza e ci indigna sono altri maremoti che riguardano l’atteggiamento degli uomini e delle donne, una sparuta minoranza, ma che monopolizzano l’opinione pubblica perché i mass media se ne fanno esclusivi portavoce.
Thailandia, Sri Lanka, Indonesia, Birmania, Maldive, Malaysia, Andamane, India… Nomi conosciuti anche da chi non li ha mai visitati. Nomi che la tv ammannisce, almeno tre volte all’anno: a Pasqua, in estate e a Natale, quando diventano mete per le vacanze esotiche.
In certe occasioni dire «Maldive» significa affermare uno status symbol, perché, in certi ambienti, chi non è stato in quella porzione di «paradiso» (naturale e fiscale) non dovrebbe meritare di stare al mondo. I vacanzieri dell’occidente civilizzato che affondano la loro identità nelle «radici cristiane», non si sono mai accorti, nemmeno per sbaglio, della povertà, della miseria e della fragilità di quelle popolazioni, schiave del lusso degli altri, asservite alle vacanze esotiche a basso costo, specialmente in periodi di super-dollaro o, come oggi, di super-euro che permettono di comprare due pagando uno.
Certo, chi va in quei paesi porta un po’ di ricchezza in valuta pregiata, ma ci ricorda la parabola di Luca 16,21 dove il povero Lazzaro è «bramoso di sfamarsi delle briciole che cadevano dalla mensa del ricco» tanto da impietosire i cani di guardia.
Ad inizio gennaio, pochi giorni dopo l’ecatombe naturale, si parlava già di una contabilità da brividi: i morti superavano la cifra di 140.000 persone, cifra destinata a crescere ancora e forse di molto. Si parla di 5 milioni di profughi.
Si poteva evitare o quanto meno contenere se non la furia irragionevole e violenta della natura, almeno il numero dei morti? Giappone e America sembra che sapessero per tempo quanto stava succedendo e pare anche che non abbiano informato i governi dei paesi coinvolti perché non facevano parte del protocollo preventivo, sottoscritto solo da alcuni paesi. Alcuni governi che sapevano, non hanno potuto informare i propri cittadini perché la maggior parte della popolazione non può essere raggiunta da tv, radio o altro. In un tempo in cui attraverso i satelliti si riesce ad individuare una formica nera su una pietra nera in una notte senza luna, nell’esotico Sud-Est asiatico, frequentato da turisti armati di cellulari, esistono ancora villaggi isolati, senza tv, senza radio, senza telefoni. In una parola: senza comunicazione. Questo è il vero inferno perché un popolo senza comunicazione è un popolo seppellito vivo, specialmente in regioni dove la prevenzione dovrebbe essere la regola e mai l’eccezione.
Abbiamo visto alberghi e bungalow, riservati agli stranieri (gli unici che si possono permettere certi prezzi) costruiti quasi a ridosso della battigia perché è esotico-esotico buttarsi in mare dalla finestra della propria camera. Govei, costruttori e tour operator hanno fatto scempio di quei paesi che hanno sottratto alla legittima proprietà degli abitanti e ne hanno fatto un sistema di soldi (per pochi occidentali) a servizio dei tanti occidentali che vengono in questi «paradisi» a svernare, quando in occidente fa freddo e a rinfrescarsi quando in occidente fa caldo. La tv italiana, ormai omogeneizzata al potere, ha quasi circoscritto la tragedia alla sorte dei nostri connazionali, mettendo in rilievo il durissimo colpo inferto al settore turistico, cioè ad una parte dell’economia occidentale che su quel settore prospera e specula.
Le prime notizie che gli italiani hanno appreso riguardava la sorte dei «vip». Non abbiamo sentito una parola sulle condizioni di quei popoli, sul loro sistema economico, sulle loro strutture sociali. Non un commento sul loro asservimento ad un sistema capitalistico che sfrutta il clima di una natura ordinariamente benigna, squassando l’equilibrio dell’ecosistema locale, lasciando quasi inalterate le condizioni miserevoli dei popoli nativi.
La Thailandia è famosa per il mercato delle minorenni, pagate pochi dollari per prestazioni sessuali «esotiche». Un tour operator italiano si è sentito dire da un turista italiano che nonostante l’apocalisse voleva partire lo stesso, avendo acquistato i biglietti: «Io voglio partire, ma mi dovete garantire che non vedrò nulla di sgradevole né sconveniente».
In questi «paradisi» depredati si passa accanto alla miseria e alla povertà e non si vede nulla di sgradevole e di sconveniente. Si viene, si lascia l’immondizia e si ritorna a casa, narrando ad amici e conoscenti mirabilia sulle proprie conquiste, sullo splendore della natura o sulle strabilianti avventure erotiche. No! Non apparteniamo né vogliamo appartenere a questo mondo che non sa svegliarsi nemmeno di fronte ad un maremoto di proporzioni abissali. Questo mondo è condannato all’autodistruzione ed è causa della distruzione della terra e dell’umanità. Dopo il primo sgomento, il criterio di misura, ormai quasi unico, è la sorte dei nostri connazionali che in un batter d’occhio passano da tredici a settecento (provvisori), senza rendersi conto che i nostri connazionali, morti o dispersi o salvati sono parte integrante di quei popoli morti, dispersi e parzialmente salvati.
Avremmo voluto sentire lo spirito della globalizzazione, tanto strombazzato in questi ultimi anni e identificarci senza distinzione di Sud-Est o Nord-Ovest con una umanità ferita e ancora una volta depredata non solo della sua dignità e libertà, ma anche della sua terra. Solo un giullare (lo diciamo con tutto il rispetto possibile per i poeti della satira), ElleKappa, ha saputo cogliere in una battuta la dimensione nascosta della catastrofe. Dice l’omino che legge il giornale: «Lo Tsunami si poteva prevedere». Gli risponde la spalla: «È stata la miseria che ha colpito il mondo di sorpresa».
In anni di vacanze nel Sud-Est asiatico, quasi nessuno si è accorto della «signora Miseria» che pagava il conto dei fruitori dei «paradisi» esotici. C’è sempre qualcuno che paga per tutti, ma di solito i «tutti» fanno finta di non vedere il «qualcuno» e se lo vedono lo rimproverano anche di non farsi vedere a disturbare le tanto agognate vacanze.

In questo contesto si colloca anche l’atteggiamento di chi ci governa e che avrebbe dovuto essere all’altezza della situazione, esempio per l’intera nazione. Nella conferenza stampa di fine anno (30 dicembre 2004), il presidente italiano del consiglio dei ministri, dopo dovute parole di prammatica sulla tragedia asiatica, comunica che ha già parlato con i suoi colleghi europei e, come sempre, tutti sono d’accordo con lui, salvo smentite del giorno dopo.
Egli auspica che sia l’Europa (per anni denigrata e contestata) a mettersi alla testa dei paesi europei per cornordinare gli interventi. Una manciata di secondi e… si passa all’ordine del giorno: il possibile acquisto di un piccolo partito dell’opposizione e le mirabolanti realizzazioni del governo, definite «svolta epocale», senza rendersi conto che di «epocale» vi erano solo le immagini di un’apocalisse planetaria.
Il mondo sprofonda nell’inferno dell’apocalisse cosmica e il capo del governo che dovrebbe prendere decisioni immediate d’intervento, coinvolgendo il paese in un afflato umanitario, parla di campagna acquisti e promesse di posti di potere. Se questa è la misura… Se questo è un uomo… direbbe Primo Levi.
Avremmo voluto sentire le seguenti parole semplici e lineari: «Signori della Stampa nazionale ed estera, vi do uno scornop che vi prego di porre in evidenza nell’edizione di domani: considerata la gravità e la portata del disastro asiatico, fedeli alla nostra cultura internazionale e solidali con quelle popolazioni, devastate anche nella loro anima, il governo all’unanimità e con l’appoggio incondizionato dell’opposizione, ha deciso di ritirare immediatamente i soldati dall’Iraq e di inviarli nel Sud-Est asiatico per portare assistenza e sollievo alle popolazioni superstiti. Siamo consapevoli della nostra scelta e ne siamo orgogliosi». Avremmo voluto ascoltare, ma non abbiamo potuto, perché tutto il tempo della conferenza stampa è stato impiegato a dipingere un «paradiso artificiale», che esiste solo nell’immaginazione di Narciso che si specchia nell’acqua di uno stagno.
Peccato, ancora un’occasione perduta.

Noi e, ne siamo certi, i nostri lettori che non siamo mai stati vacanzieri spensierati nel Sud-Est asiatico, ma dove siamo presenti lo siamo come amici, servitori o missionari, ci sentiamo nell’intimo parte vitale della loro tragedia. Noi faremo secondo le nostre possibilità, oltre le nostre possibilità, per alleviare dolore e sofferenza. Non possiamo ridare la vita ai morti, possiamo accompagnare la vita dei superstiti caricandola sulle nostre spalle, come farebbe il «Pastore bello» con le sue pecorelle.
Sull’esempio del Dio-pastore, anche noi gettiamo le reti della solidarietà umana e della carità cristiana, perché la credibilità di Dio passa attraverso la nostra gratuita e libera credibilità di uomini e donne veri, coerenti fino in fondo nel condividere «le giornie e le speranze, le tristezze e le angosce… dei poveri soprattutto e di coloro che soffrono» (Concilio Ecumenico Vaticano II, Gaudium et Spes, 1) nel Sud-Est asiatico e in ogni parte del mondo.

Paolo Farinella

Paolo Farinella