DOSSIER VIETNAM Una foglia di fico (introduzione)
Nell’immaginario collettivo il Vietnam resta legato alla lunga e sanguinosa guerra cosiddetta «americana», che infiammò e divise il mondo per 15 anni (1960-1975). In qualcuno rimangono anche le tragiche immagini dei boat people, che affrontarono l’oceano su fragili imbarcazioni per fuggire al regime comunista (1975-1979) e alla miseria (1988-1990).
Oggi il Vietnam occupa il 101° posto nell’Indice dello sviluppo umanitario. Negli ultimi anni è passato dall’isolazionismo internazionale all’apertura alla comunità mondiale, dall’economia pianificata del socialismo a un sistema economico più aperto, simile alla Cina. Ma ben poco è cambiato nel campo della libertà e diritti umani, che continuano a essere negati e calpestati.
Grande come l’Italia, ma con oltre 80 milioni di abitanti, il Vietnam si estende lungo la parte orientale della penisola indocinese. Geograficamente è costituito da tre regioni: a nord il Tonchino, quasi un’appendice geografica della Cina; al centro la lunga e stretta fascia dell’Annam; al sud la regione della Cocincina.
Per quasi un millennio, a partire dal secolo 3° a.C., il Tonchino fu vassallo dell’impero cinese, che vi impose le proprie istituzioni politiche e culturali, compresi gli ideogrammi per la lingua vietnamita, il pensiero di Confucio, gusti artistici e musicali.
Una serie di sollevamenti a intermittenza cercarono invano di scrollarsi di dosso il dominio cinese, finché nel 939 le forze vietnamite di Ngo Quyen riuscirono a sconfiggere le truppe di occupazione e a instaurare uno stato monarchico indipendente. Seguirono varie dinastie che rintuzzarono le mire di vecchi e nuovi invasori: nei secoli xi e xii resistettero ai cham e ai mongoli di Gengis Khan; nel xv e xvi secolo respinsero i cinesi delle dinastie Ming e Ching, nel xviii i khmer, finché estesero il loro territorio verso il sud, fino a comprendere la foce del Mekong dando origine al Dai Viet (Grande Viet).
Intoo al 1620, per le rivalità tra clan di corte Trinh e Nguyen, la monarchia cominciò a perdere potere e il Dai Viet fu diviso in due zone di influenza: il nord dominato dai Trinh, con capitale Hanoi; il sud dagli Nguyen, con capitale Hué. I contrasti tra nord e sud si inasprirono con l’arrivo degli europei, giunti nel sud-est asiatico per motivi commerciali e per diffondervi il cristianesimo.
Dalla fine del 1600, per oltre un secolo, le alleanze dei vari feudatari con gli europei si alternarono a violente proteste contro gli stranieri, sfociando nella persecuzione contro i cristiani, finché il territorio fu riunificato sotto un unico regno (1789), per opera dei fratelli Tay Son. Poco tempo dopo, Nguyen Anh, unico sopravvissuto degli Nguyen del sud, con l’aiuto dei francesi riprese il sopravvento e nel 1802 si autoproclamò imperatore e ribattezzò il paese con il nome attuale: Vietnam (1804).
La dinastia Nguyen, temendo intromissioni della Francia nei suoi affari, riprese la persecuzione contro i missionari e i vietnamiti convertiti, fino all’esecuzione di alcuni cristiani. Quando vennero lesi anche gli interessi commerciali e militari francesi, Napoleone iii inviò varie spedizioni punitive, finché il Vietnam fu costretto a cedere la Cocincina alla Francia (1860) e poi accettare il protettorato sulle altre due regioni, Annam e Tonchino, che diventarono parte dell’Unione Indocinese, insieme al Laos e la Cambogia.
Nonostante i tentativi di modeizzazione introdotti dal sistema coloniale, i vietnamiti furono ben presto delusi: l’imperatore fu posto sotto tutela, la maggioranza della popolazione fu esclusa dall’amministrazione e privata della libertà politica, di associazione e di espressione. Ad arricchirsi erano solo i colonizzatori e una ristretta élite di vietnamiti e cinesi. Il malcontento causò l’apparire di movimenti nazionalisti e rivoluzionari. Nel 1927 venne costituito il Partito nazionalista vietnamita; nel 1930 Ho Chi Minh fondò a Hong Kong il Partito comunista di Cambogia, Laos e Vietnam, che ben presto si divise in tre sezioni nazionali.
Durante la seconda guerra mondiale il Vietnam fu occupato dai giapponesi. I comunisti diedero vita al Viet Minh (Lega per l’indipendenza) e organizzarono la resistenza, cornoperando con gli alleati, senza nascondere l’intenzione di sbarazzarsi anche del regime coloniale. Di fatto, dopo la capitolazione del Giappone, Ho Chi Minh lanciò l’appello all’insurrezione nazionale: il partito comunista si insediò ad Hanoi e proclamò l’indipendenza della Repubblica democratica del Vietnam (1945).
Nei negoziati del marzo 1946, la Francia, che controllava ancora la Cocincina, riconobbe l’indipendenza del Vietnam nell’ambito della Unione francese, aspettando l’occasione per restaurare il dominio coloniale: in giugno dello stesso anno, i francesi formarono un governo guidato dall’imperatore Bao Dai, ultimo regnante della dinastia Nguyen.
Per quasi otto anni (1946-1954), le forze del Viet Minh, guidate dal generale Giap, combatterono una sanguinosa guerriglia, culminata nella battaglia di Dien Bien Phu, in cui i francesi furono definitivamente sconfitti. La conferenza di Ginevra (20 giugno 1954) sancì la fine della colonia francese e divise provvisoriamente il Vietnam in due stati indipendenti, con l’impegno di tenere votazioni generali nel 1956, per riunire il paese sotto un unico governo.
A nord del 17° parallelo si formò la Repubblica democratica del Vietnam, capeggiata da Ho Chi Minh e appoggiata da Urss e Cina; a sud la Repubblica del Vietnam, guidata dal filo-occidentale Ngo Dinh Diem, sotto l’ombrello francese, poi degli Stati Uniti.
Gli sviluppi politici non consentirono lo svolgimento delle elezioni previste dagli accordi di Ginevra. A Saigon, capitale del sud, Diem rovesciò Bao Dai e instaurò un regime autoritario e repressivo, alienandosi l’appoggio di buona parte della popolazione. Gli oppositori del regime (democratici, socialisti, nazionalisti e marxisti) si unirono nel Fronte di liberazione nazionale (Fln), detti «vietcong», per riprendere la guerriglia, con l’appoggio del governo di Hanoi.
Iniziava così la «seconda resistenza» contro i governi militari che si succedettero a Saigon e soprattutto contro gli Stati Uniti, i quali all’inizio foirono armi e consiglieri militari allo stato del sud, poi entrarono direttamente nel confitto (1965), fino a contare 580 mila soldati effettivi. Sul Vietnam furono scaricate più bombe di quelle lanciate in tutta la seconda guerra mondiale e furono sperimentate armi chimiche e batteriologiche.
La lunga e sanguinosa guerra si concluse soltanto nel 1975, col ritiro statunitense e l’occupazione del sud da parte dei vietcong e dell’esercito nordvietnamita: nord e sud furono riuniti nella nuova Repubblica socialista del Vietnam; Saigon, mutò il nome in Ho Chi Minh.
La drammatica situazione ereditata dalla lunga guerra, le crescenti tensioni intee, le politiche attuate dal nuovo regime provocarono esodi di massa: 1 milione e 300 mila persone lasciarono il paese con imbarcazioni di fortuna (i cosiddetti boat people), altri si rifugiarono nei paesi confinanti. Problemi di frontiera con Laos e Cambogia, riaccesero le mire espansionistiche dei comunisti vietnamiti verso i due paesi. Alla fine del 1978 occuparono la Cambogia e vi insediarono un governo filovietnamita.
Le proteste inteazionali provocarono l’isolamento del paese e l’embargo dei paesi occidentali. La lentezza della ricostruzione, la collettivizzazione dell’agricoltura e nazionalizzazione delle imprese aggravarono i problemi sociali ed economici: nel 1986 l’inflazione arrivò al 700%. E riprese l’esodo di circa 800 mila boat people.
Con la salita al potere di dirigenti riformisti e, soprattutto, cessati gli aiuti sovietici in seguito al collasso dell’Urss, il Vietnam ritirò le sue truppe dalla Cambogia (1989) e imboccò la strada delle riforme economiche. Per attirare gli investimenti stranieri, la nuova Costituzione, adottata nel 1992, rinunciava al marxismo-leninismo e riconosceva la proprietà privata.
Tutto ciò ha consentito al paese di uscire dall’isolamento internazionale e ristabilire rapporti diplomatici con molti paesi europei e asiatici, attirando così investimenti stranieri. Dall’inizio del 1994 anche gli Stati Uniti hanno revocato l’embargo economico e ristabilito legami diplomatici, permettendo al Vietnam di accedere ai crediti del Fondo monetario internazionale e della Banca mondiale per ricostruire e sviluppare il paese.
Negli ultimi anni, sull’esempio della Cina, il Vietnam ha aperto i battenti al libero mercato e firmato un importante accordo commerciale anche con gli Stati Uniti, favorendo una forte accelerazione della crescita economica. Tuttavia resta ancora profondo il fossato tra il sud, più sviluppato, e il nord, dove molti milioni di persone vivono con un’agricoltura di sussistenza e il cui sviluppo è ancora condizionato, oltre che da gravi inondazioni, dai drammatici effetti delle armi chimiche usate dagli Stati Uniti durante la guerra.
Nelle città e nelle aree dove è in corso il processo di modeizzazione il regime è costretto a mostrare agli stranieri una faccia più rispettabile, rispetto al passato; ma nelle zone rurali e lontane da occhi indiscreti continua la politica di oppressione.
La Costituzione del Vietnam ribadisce il ruolo unico di guida del Partito comunista, il quale mantiene saldamente il controllo su tutti gli aspetti della società vietnamita. Senza contare che anche l’ordinamento giudiziario, pur essendo basato sul sistema francese, continua a ispirarsi alla dottrina giuridica marxista.
Ma da quando il governo ha adottato il sistema capitalista, nessun comunista crede più all’ideologia comunista, ma solo al potere e al denaro, molto denaro (ma guai a dirlo apertamente!). Tale ideologia, ormai, è diventata la «foglia di fico» per opprimere e seminare terrore, sfruttare il popolo e, soprattutto, per coprire la piaga di una corruzione dilagante, mai vista in tutta la storia del Vietnam.
B.B.
Benedetto Bellesi