Viaggio tra gli esclusi dal boom economico

Aiutare È glorioso!

Deng Xiao Ping è il padre della celebre frase: «arricchirsi è glorioso!»,
da molti interpretata come il via libera al capitalismo cinese attuale.
A Derge, nel Sichuan, qualcuno crede che la vera gloria consiste nell’aiutare
i più sfortunati.

Bisogna salire sugli altipiani del Sichuan, quasi al confine con il Tibet, per conoscere la Cina che non cresce del 9,5% all’anno, non utilizza elettrodomestici e non chatta su internet. Salire fin quassù è utile anche per capire il «sistema socialista con caratteristiche cinesi», come amano ripetere i vertici del Partito comunista cinese.

UNA REGIONE «NORMALE»
La città di Derge si trova nella regione del Kham, la parte centrale della provincia tibetana, ed è abitata dalla fiera popolazione dei khampa, che tanti problemi in passato ha dato sia all’etnia han, i cinesi, sia al governo centrale di Pechino, smanioso di avere la zona del Tibet tranquilla e senza rivolte.
I khampa sono uomini fieri dallo sguardo torvo, vestiti con giacche di simil pelle (anche qui la plastica globalizzante imperversa), dalle lunghissime maniche che vengono utilizzate come scialle da avvolgere intorno al busto. Girano armati con un lungo coltello ben in vista; il loro sorriso è caratterizzato dallo scintillio di due denti d’oro, di solito i canini.
Nei primi anni di occupazione del Tibet (i cinesi parlano di liberazione), i khampa diedero vita a dure rivolte armate che però vennero facilmente stroncate dall’esercito cinese, accorso a riportare la calma. Sono quindi diversi anni che le ribellioni hanno cessato di prorompere, con evidenti vantaggi un po’ per tutti.
L’esplosione di benessere, almeno per il 10% della popolazione cinese, ha alimentato un volano economico che ha raggiunto anche questa zona. Al posto dei carri armati dell’esercito popolare ora arrivano i turisti, sia occidentali che cinesi. Quello che viene descritto sulle guide turistiche vecchie al massimo di un paio d’anni come un piccolo villaggio è in realtà una città che nel giro di pochi mesi ha visto la crescita di palazzi, centri sportivi, luoghi d’interesse storico inventati, strade, centrali elettriche… Tutto grazie all’arrivo di visitatori da tutto il mondo.
In quest’ottica, il Tibet e la regione confinante del Sichuan stanno trovando una fortissima valorizzazione economica da parte delle autorità cinesi, che da buoni affaristi, hanno capito che lo sfruttamento commerciale di queste zone rappresenta una miniera d’oro inesplorata.
La cultura tradizionale tibetana risulta in questo contesto spacciata. Ad esempio, l’architettura tipica in legno è ormai completamente travolta dalle imperversanti mattonelle bianche dei palazzoni cinesi di nuova costruzione, e anche la lingua locale versa in condizioni critiche: sono ormai pochi i bambini capaci di utilizzare il tibetano, essendo il cinese ormai imperante. Le caratteristiche culturali tibetane resistono se portatrici di soldi.
In questo caso il governo centrale tende addirittura a enfatizzare tali risorse, rendendole a volte grottesche, perché palesemente pensate in ottica turistica. Non sono pochi i monasteri che hanno perso il loro clima di mistero per essere trasformati in pure attrazioni turistiche.
Mentre la cultura tradizionale sta scomparendo, in compenso sono in arrivo moltissimi soldi, e con essi un numero sempre maggiore di coloni dell’etnia han, i cinesi. Ma è difficile capire fino a che punto i khampa traggano vantaggi materiali da questo grande fermento economico-turistico. Moltissimi non abbandonano la vita nomade; altri si accontentano di aprire un negozietto di souvenir made in China. La passione per gli affari non appartiene ai khampa e questo spiega anche la ragione del massiccio afflusso di cinesi dalle pianure.

SOPRAVVIVA… CHI PUO’
Lo sviluppo economico promosso dal governo in questa regione non si traduce in miglioramento dello stato sociale. Gli altipiani del Sichuan rispecchiano quanto accade nel resto del paese. Mentre le riforme economiche ultraliberiste hanno portato al 9,5% annuo la crescita economica della Cina, lo stato sociale è praticamente assente.
È convinzione comune tra gli stessi cinesi che 1 miliardo e 300 milioni di abitanti siano troppi da accudire con un welfare state efficiente. Da qui la scelta per una drastica selezione naturale: chi può sopravvive, gli altri affondano.
Tale prospettiva è vista con sdegno dalle autorità cinesi che amano ricordare la teoria marxista dell’accumulo: «Un’economia di mercato necessita di un periodo di forti disuguaglianze sociali, nel quale si accumula il capitale da investire negli anni successivi per la crescita economica; cosa che tutti i paesi capitalisti occidentali hanno fatto, anche il tuo» mi dice un combattivo signore di Shanghai.
È veramente difficile sfiorare i dolenti tasti economico-sociali con i cinesi che hanno raggiunto un minimo di benessere e che campano, forse, sulle disparità insite nella società.

NON SOLO TURISTI
La strada verso Derge sale tra mille tornanti. Il bus, stracarico di persone e bagagli, sembra debba rompersi da un momento all’altro. Il motore urla, si ferma, riparte. In discesa l’autista si lancia in folli sorpassi, che lo costringono poi ad attaccarsi ai freni per non finire nei burroni che costeggiano la pista. L’odore di acciaio in fusione che proviene dai tamburi del bus mi fa tornare in mente vecchie lezioni di fisica sulla deformabilità dei corpi soggetti a calore…
Meglio non pensarci e guardare fuori dal finestrino il panorama, segnato anche dai resti di alcuni camion usciti di strada, che hanno seguito le leggi fisiche della dinamica… A 4 mila metri, in mezzo ad altipiani mozzafiato, uomini e donne mietono il grano a mano. La loro piccolezza e magrezza contrastano con l’immensità dei campi: un mare dorato, dove quei piccoli esseri umani sembrano naufraghi alla deriva.
In questa zona opera la Ong italiana «Asia onlus», impegnata in progetti di sviluppo e cooperazione in campo sanitario e scolastico.
Il compito delle Ong occidentali in Cina è particolarmente difficile. Viste con sospetto dal governo comunista, devono innanzitutto dimostrare di lavorare senza alcun fine politico e nell’esclusivo interesse della popolazione locale. È facile ipotizzare che in questa zona «calda» della Cina tali condizioni siano richieste più che altrove.
Asia onlus opera da molti anni in collaborazione sia con le autorità comuniste, sia con la popolazione locale che beneficia dei suoi progetti. «La politica non ci interessa; ciò che importa è aiutare, per quanto possiamo, la gente bisognosa, soprattutto i più piccoli» spiega Wolfgang, un volontario tedesco che, insieme alla fidanzata Gina, utilizza le ferie per controllare i progetti in svolgimento nella zona del Sichuan.
Derge, descritto sulla Lonely planet come «villaggio tradizionale», è una vera città con palazzoni e traffico congestionato.
In posizione dominante sorge un grande monastero buddista, sede anche della più antica stamperia tibetana. È un patrimonio culturale preziosissimo quello che viene custodito nelle silenziose stanze del monastero: migliaia di matrici incise a mano su assi di legno, alcune risalenti al 1500.
I turisti non mancano: occidentali con zaino in spalla e comitive di cinesi; questi ultimi sono la punta di diamante del benessere nazionale, simili in tutto al classico turista europeo o statunitense, che ovunque vada cerca i comforts lasciati a casa sua.

IL VESTITO NON FA IL MONACO
Wolfgang e Gina mi accompagnano in visita al monastero. Il silenzio dei vicoli è rotto dal canto urlato e ritmato di decine di bambini, ammassati sotto una tettornia che li ripara dal sole, seduti su panche di fronte a un monaco che fa loro da maestro. Hanno davanti a loro dei quadei rettangolari scritti in caratteri tibetani. Ripetono a memoria la lezione e il maestro-monaco detta il tempo.
Sono piccoli, con i capelli rasati quasi a zero, vestiti con abiti da monaci anche se non lo sono. Molti di essi sono orfani e le condizioni economiche non permettono loro di avere vestiti differenti.
Wolfgang mi spiega che gli alunni sono 101 e il ciclo di studi previsto per loro è di sei anni. Mi mostra un libro in cui sono riportate le schede personali dei bambini. Lo schema si ripete tragico per tutti. Famiglie poverissime e numerose, madre o padre malati o indebitati: condizioni di vita che non permetterebbero ai bimbi nessun tipo di istruzione.
La mia guida mi spiega il dramma di molte famiglie: i debiti contratti sono dovuti a motivi di salute. «Il sistema sanitario cinese è completamente privato. In caso di malattia, appena giunti in ospedale bisogna pagare una tassa che molti non possono permettersi. Per questo i più poveri ricorrono ai prestiti» conclude Wolfgang, che è medico e da molti anni viaggia in queste zone per conto di Asia onlus.
Anche il sistema scolastico è privato. Consapevoli che le forti ingiustizie sociali alimentano rivolte in tutto il paese, le autorità cinesi stanno tentando di porre rimedio. Da poco è entrata in vigore la nuova legge riguardante il sistema scolastico, universale, ma ci vorrà molto tempo prima che diventi operativa. Sono necessarie molte risorse economiche per migliorare una drammatica situazione precaria.
Il progetto scolastico di Asia onlus nel monastero di Derge è portato avanti grazie alle adozioni a distanza. Con 300 euro annuali per bambino, l’organizzazione italiana provvede, in collaborazione con i monaci del tempio, la formazione scolastica tradizionale di base, due pasti giornalieri e un tetto dove ripararsi.
Ma la situazione non è rosea. In un incontro tra Wolfgang e il lama del monastero, quest’ultimo ha esposto la situazione con dura sincerità: i finanziamenti scarseggiano e la scuola rischia di chiudere, con conseguenze prevedibili per i bambini. Il medico tedesco assicura il monaco che la sua associazione è solida e che, nel 2006, il progetto potrà essere ampliato ulteriormente.

COPIANDO L’OCCIDENTE
Un aspetto interessante del lavoro di Asia onlus in Cina è l’affidamento dei progetti a personale locale capace e responsabile. Ne è un esempio Sonam, una bella ragazza tibetana, 30 anni, inglese fluente, che cornordina i progetti nella zona del Kham.
La sua è una storia di organizzazione dal basso e di altruismo. Consapevole di avere raggiunto la tranquillità economica e di possedere un forte strumento di emancipazione, la conoscenza della lingua inglese, un bel giorno ha deciso di inventarsi una scuola gratuita.
Ha affittato una stanzetta in un palazzone di nuova costruzione, ha comprato libri, quadei, sedie e banchi. I bambini sono accorsi numerosi e la scuola gratuita d’inglese è un successo. Fin troppo forse, perché Sonam insegna tutti i giorni due ore. Chi può paga una retta minima, gli altri, la maggioranza, non spendono nulla. I genitori dei piccoli sono molto riconoscenti a Sonam e quando la incontrano per strada sembra non la vogliano più lasciare andare via.
La conoscenza dell’inglese in Cina può rivelarsi uno strumento fondamentale per uscire dalla miseria. Economia informale, altruismo, cooperazione tra le autorità comuniste cinesi, comunità locali e Ong inteazionali appaiono come un’alternativa auspicabile all’attuale turbo-capitalismo cinese.
Se è vero che il nuovo «sistema socialista con caratteristiche cinesi» ha strappato dalla fame 200 milioni di cinesi in 20 anni, è parimenti credibile che stia scaraventando un numero imprecisato di esseri umani in condizioni di vita disastrose.
Passeggiare per le strade di Shanghai, per esempio, può dare un’idea dell’immensa forbice sociale che si sta aprendo nel paese: disperati che dormono nudi per strada, affamati che strisciano per avere una moneta in elemosina. E tutto in un clima di opulenza sfacciata, di luccicanti Ferrari e botti di champagne. Si dice che la Cina copi e ingigantisca tutto quello che proviene dall’Occidente. È un vero peccato che copi anche le cose peggiori.
(fine prima puntata – continua)

Giacomo Mucini

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