Ogni anno mezzo milione di donne muore durante la gravidanza o il parto.
Molte vite potrebbero essere salvate, semplicemente dando la possibilità a tutte le mamme di partorire in un centro sanitario dove sia possibile intervenire sulle eventuali complicanze del parto. O anche solo di essere assistite durante la gravidanza e il parto da un medico o da un’ostetrica. E invece mezzo milione di donne ogni anno muore perché non ha potuto ricevere le cure necessarie: una ogni minuto. Molti milioni di donne portano con loro per tutta la vita le conseguenze di gravidanze e parti seguiti poco o non seguiti del tutto: disturbi, malattie, invalidità con cui fare i conti negli anni a venire.
Il 5° Obiettivo di sviluppo del millennio si è posto il traguardo di ridurre di tre quarti la mortalità matea entro il 2015 (a partire dai dati del 1990).
Squilibrio poveri-ricchi
Ancora una volta, tutte le donne che muoiono dando la vita appartengono praticamente ai paesi in via di sviluppo: il 99%.
Una donna che vive nell’Africa subsahariana, nel corso della sua vita ha una probabilità su 16 di morire quando aspetta un figlio o lo dà alla luce: nei paesi sviluppati una su 2.800; in Sierra Leone o in Afghanistan una donna ogni 6 muore per complicazioni collegate a gravidanza o parto; in India 136 mila ogni anno. Malawi, Angola, Niger, Tanzania, Rwanda, Mali, Somalia sono tutti paesi dove la mortalità matea è alta. Ma il quadro potrebbe essere anche peggiore di quanto registrato, perché non sono disponibili i dati relativi a 62 nazioni, che da sole coprono il 27% delle nascite mondiali.
Inoltre, lo squilibrio non è solo fra uno stato e l’altro, bensì anche all’interno dello stesso paese, fra popolazione agiata e in miseria: in Etiopia, una futura mamma ricca ha una probabilità 28 volte maggiore di una povera di essere seguita da personale qualificato durante il parto.
Questi numeri evidenziano un enorme squilibrio, ma sottolineano anche la possibilità di cambiare le cose, dando a tutti la disponibilità di personale qualificato, strumenti e farmaci. Si intrecciano dunque i diversi obiettivi del millennio, si riafferma la concatenazione per la quale il raggiungimento di uno porta con sé il miglioramento di un altro: dalla povertà all’istruzione, dalle pari opportunità alla mortalità infantile e alle malattie infettive come l’Aids, il quinto obiettivo porta con sé tutti i precedenti.
AVERE UN MEDICO ACCANTO
Per la mortalità matea, i dati disponibili nel 2005 indicano che finora i miglioramenti si sono avuti solo nei paesi dove vi era già un basso livello di mortalità. In quelli invece in cui i numeri erano più alti la situazione non è migliorata o è addirittura peggiorata. Negli stati più poveri solo 28 partorienti su 100 vengono ancora seguite da personale qualificato nel momento che dovrebbe essere fra i più belli della loro vita e che troppo spesso diventa quello della loro morte.
Punti fondamentali per cambiare i dati di mortalità sono proprio l’assistenza professionale e sanitaria adeguata durante la gravidanza e durante il parto, quell’assistenza che viene data per scontata nei paesi industrializzati e che non lo è affatto in quelli in via di sviluppo.
La prevenzione della mortalità matea passa attraverso un rapido accesso alle cure ostetriche di emergenza, alla possibilità di un trattamento adeguato di emorragie, infezioni, ipertensione e travaglio complicato.
In Burkina Faso, alcuni ricercatori hanno segnalato sulla rivista medica British Medical Joual (Bmj) che, su 34 donne decedute durante il parto, 10 erano morte per emorragia, 7 per sepsi (infezione diffusa) e 4 per travaglio prolungato: morti evitabili, con un’assistenza adeguata.
In Mozambico e in Zimbabwe, questioni burocratiche e organizzative non rendono disponibili per le gravide farmaci utili e a basso costo, come il magnesio solfato, efficace nel trattamento e nella prevenzione dell’eclampsia (convulsioni legate a un marcato aumento della pressione), per la quale muoiono ogni anno nel mondo oltre 60 mila donne, il 99% delle quali nei paesi a medio e basso reddito.
Per l’Organizzazione mondiale della sanità ci sono stati miglioramenti nell’assistenza medica od ostetrica; ma la disponibilità di interventi che possono salvare la vita, come antibiotici, chirurgia, trasporto in centri medici attrezzati, manca ancora a molte donne, soprattutto nelle zone rurali, lontano dalle città.
In Myanmar (ex Birmania), le donne della minoranza karen verso la fine della gravidanza cercano di arrivare in Thailandia e, in prossimità della data del parto, si dedicano addirittura alla microcriminalità: tutto questo per essere arrestate ed entrare in travaglio nelle carceri thailandesi, dove sanno che ci saranno infermiere al loro fianco e che verranno portate in ospedale al momento del parto. Scelgono quindi la prigione per essere seguite e per nutrire per qualche mese i loro figli: nel loro paese non avrebbero questa possibilità, in quanto minoranza senza cittadinanza birmana.
DIFFICILE INTERVENTO NEL RISPETTO DELLA VITA
Gli interventi sulla mortalità matea, rispetto ad altri Obiettivi del millennio, sollevano anche polemiche e questioni etiche sull’aspetto della «prevenzione» delle gravidanze, dell’offerta di una consulenza appropriata e rispettosa di idee, culture, visioni della famiglia nei paesi in via di sviluppo.
Per ridurre la mortalità matea e salvaguardare la salute della donna, si parla infatti anche di misure preventive. Ad esempio: l’aumento dell’età dei matrimoni e della prima gravidanza, adeguati intervalli di tempo fra un figlio e l’altro, prevenzione delle gravidanze non volute ed eliminazione degli aborti in condizioni non sicure. Azioni che, si legge sui documenti del Dipartimento per lo sviluppo internazionale (Dfid) britannico, potrebbero evitare un terzo delle morti matee ed essere importanti per 1 miliardo e 300 mila giovani che si affacciano all’età riproduttiva.
Sempre sul Dfid si legge che la mateità rappresenta la causa principale di morte fra i 15 e i 19 anni nei paesi in via di sviluppo, che ogni minuto 190 donne si trovano di fronte a una gravidanza non voluta o non pianificata e ogni anno circa 70 mila muoiono per complicanze di un aborto non sicuro.
Ma sono temi che aprono il capitolo sulla difficoltà di integrare con correttezza interventi medici di salute in una cultura, in un modo di vivere, e anche di intendere la vita, differente. Sono interventi che sollevano polemiche sulla concentrazione degli sforzi nella prevenzione delle gravidanze più che nella cura delle stesse.
L’argomento è stato per esempio affrontato dalla giornalista Eugenia Roccella, nel contesto più globale dell’azione dell’Onu e dell’Unione europea nei confronti della donna, salute riproduttiva e controllo delle nascite nei paesi in via di sviluppo. Roccella riporta che, secondo la Società di ostetricia e ginecologia del Canada, in base ai dati di rapporti inteazionali, gli obiettivi di riduzione del numero di morti conseguenti al parto non vengono raggiunti per la mancanza non di conoscenze e strumenti, bensì dell’investimento di risorse per permettere l’accesso alle cure ostetriche per le complicanze.
«Il problema consisterebbe quindi nella scarsa volontà internazionale di affrontare questo aspetto della salute riproduttiva, nonostante sia il più drammatico e urgente, sia per il numero dei decessi femminili che per le conseguenze sui bambini» scrive Roccella. E ancora: «I dati confermano come i cosiddetti servizi alla salute riproduttiva siano rivolti moltissimo alla prevenzione delle gravidanze indesiderate, ma pochissimo alle cure delle gravidanze desiderate. Il modo principale con cui si intende ridurre la mortalità da parto è riducendo, semplicemente, il numero di parti, e aumentando quello di aborti».
Ciò che va bene in un paese può non inserirsi positivamente in un altro e ogni intervento richiede la conoscenza della realtà cui è rivolto. Scrive sempre sul Bmj Zulfiqar A. Bhutta, del Dipartimento di pediatria e salute infantile dell’Agha Khan University (Karachi, Pakistan): «La mancata comprensione di importanti aspetti socioculturali nell’affrontare la salute e la malattia può ostacolare programmi sanitari, soprattutto in quelle società dove la salute e i diritti di donne e bambini sono strettamente interconnessi».
Mete da raggiungere
1. Povertà e fame: dimezzare rispetto al 1990 la povertà estrema e la fame.
2. Istruzione: garantire a tutti un livello di istruzione primaria.
3. Parità dei sessi: promuovere l’uguaglianza tra maschi e femmine; dare maggiore autonomia e poteri alle donne.
4. Bambini: ridurre di due terzi rispetto al 1990 la mortalità infantile.
5. Mamme: migliorare la salute matea, inclusa la riduzione di tre quarti rispetto al 1990 della mortalità in gravidanza e da parto.
6. Malattie: prevenire la diffusione di HIV/AIDS, malaria e altre malattie.
7. Ambiente: assicurare uno sviluppo sostenibile.
8. Scienza, tecnologia, progresso: sviluppare una collaborazione globale per lo sviluppo.
OBIETTIVO N°5
Migliorare la salute matea
e ridurre la mortalità in gravidanza e da parto.
In tutto il mondo oltre 50 milioni di donne soffrono di disturbi, anche gravi, correlati alla gravidanza o al parto: mezzo milione muore nel dare la vita. La maggior parte di questi decessi si verifica in Asia, ma sono le donne africane ad avere il rischio più alto di morire durante la gravidanza o il parto: nell’Africa Sub Sahariana il rischio di morire di parto nel corso della propria vita è di uno a 16, in Europa uno a 2.000, nel Nord America uno a 3.500. Il 5° Obiettivo del millennio si propone di ridurre di tre quarti, fra il 1990 e il 2015, i numeri della mortalità matea.
Valeria Confalonieri