Stati Uniti versus Venezuela: il predicatore Pat Robertson
Da tempo abbiamo imparato a non stupirci più di nulla. Eppure, sentire un
incitamento al delitto in diretta televisiva è un fatto che non può (o
non dovrebbe) lasciare indifferenti. È avvenuto lo scorso 23 agosto ed
ha avuto come protagonista il predicatore televisivo Pat Robertson,
fondatore del gruppo evangelico d’ultradestra «Coalizione cristiana»,
nonché ex candidato presidenziale, molto vicino a George Bush. Dalle
frequenze del canale televisivo statunitense Christian Broadcasting
Network (Cbn), nel corso del suo spettacolo «The 700 Club», il
reverendo si è così espresso: «Chávez ha distrutto l’economia
venezuelana. Ed è diventato una testa di ponte per l’infiltrazione
comunista e dell’estremismo islamico in tutto il continente. (…) Noi
abbiamo la capacità per eliminarlo e credo che sia giunto il momento
per esercitarla. Non abbiamo bisogno di intraprendere un’altra guerra
da 200 milioni di dollari per sbarazzarsi di questo pericoloso
dittatore. È molto più facile che qualche agente segreto faccia il
lavoro e la faccia finita con lui».
Dopo queste incredibili parole (pronunciate – vale la pena di ricordarlo –
nel corso di un
programma televisivo), la Casa Bianca ha preso le distanze, ma non ha
espresso un’esplicita condanna nei confronti del reverendo Robertson.
Sull’argomento è intervenuto, qualche settimana dopo, lo stesso Hugo
Chávez.
Durante l’assemblea plenaria per il sessantesimo
anniversario delle Nazioni Unite, lo scorso 15 settembre, il presidente
venezuelano ha chiuso così il suo (applauditissimo) intervento:
«L’unico paese dove una persona si può permettere il lusso di chiedere
l’assassinio di un capo di stato sono gli Stati Uniti. Come è avvenuto
da poco con un reverendo di nome Pat Robertson, molto amico della Casa
Bianca. Costui ha domandato pubblicamente, davanti al mondo, il mio
assassinio. E se ne va libero. Delitto internazionale, terrorismo
internazionale». Possiamo dargli torto?
Paolo Moiola