PRETI D’AMERICA Alla scoperta di idee ed esistenze (1)

Venezuela

IN PRIMA LINEA (E SENZA GRADI)

Il Venezuela è oggi il paese latinoamericano
di cui più si parla. Inviso agli Stati Uniti, è guidato
da Hugo Chávez Frias, presidente controverso ma carismatico e vulcanico. I vertici della chiesa cattolica venezuelana non hanno mai guardato a lui con simpatia, fino ad appoggiare il fallito golpe
di stato dell’aprile 2002.
Di questo e di altro abbiamo parlato con Bruno Renaud, sacerdote belga da 40 anni a Caracas.

Caracas. Pulizia, modeità ed efficienza sono caratteristiche del metro della capitale venezuelana e per questo i suoi abitanti ne vanno orgogliosi. Nei sotterranei della metropolitana di Caracas, le differenze sociali sembrano scomparire. Soltanto guardando con attenzione la gente che sale e scende è possibile intuire quello che ci aspetterà in superficie.
Mentre le stazioni si susseguono, sfogliamo il materiale che abbiamo tra le mani. Come la pagina delle opinioni di Ultimas Noticias (1), il più diffuso quotidiano del paese: «La chiesa cattolica è giustamente sensibile a quello che si chiama “cesaropapismo”. Essa dice all’autorità politica: “Fate attenzione a non intromettervi nei nostri ambiti. Attenzione a non pestarci i piedi. Alla chiesa non mancano motivi, anche storici. Tuttavia, i vertici cattolici non sono altrettanto sensibili davanti al pericolo contrario…».
Altamira, Parque del Este, Los Dos Caminos, Los Contijos, La Califoia, Petare: siamo arrivati.
Uscire dalla stazione del metro alle strade di Petare, è come passare dalle sale di un museo d’arte modea ad uno stadio pieno di tifosi: è una bolgia di gente e di buhoneros, i venditori ambulanti che l’opposizione prende a simbolo del disordine in cui, a suo dire, sarebbe caduto il Venezuela di Hugo Chávez Frias.
Petare dista pochi minuti di metro dalla Caracas bianca ed anti-chavista, eppure sembra di piombare in un altro mondo. Perché Petare è un quartiere (parroquia) popolare, dove il bianco (nel senso di persona dalla pelle bianca) è un’eccezione e i supermercati a prezzi ribassati (i mercal) sono certamente più diffusi dei centri commerciali in stile gringo, propri dei quartieri da cui proveniamo.
Che aspetto avrà il nostro uomo? Al telefono non abbiamo perso tempo in descrizioni precise. Ci mettiamo in attesa nel punto convenuto, mentre un uomo accanto a noi chiama a gran voce compratori per i suoi biglietti della lotteria.
Vediamo un uomo, blu-jeans e camicia azzurrina, che sembra cercare qualcuno. Padre Bruno Renaud? «Sì, sono io». Ci siamo trovati finalmente.
Ha capelli corti e chiari, occhi azzurri su un viso affilato. «Seguitemi», ci dice. È una parola. Filiforme, padre Bruno si muove tra bancarelle e venditori con l’agilità di una gazzella. Facciamo fatica a stargli dietro. Dopo qualche minuto, passato il caos del mercato, si ferma di scatto su una stradina secondaria. «Ecco, qui una volta mi hanno assalito. Erano due giovani con la pistola in pugno. “Dacci la moto”, mi hanno intimato. “No, a me questa moto serve”, ho risposto. Alla fine, ho dovuto dargliela e ho ricominciato a muovermi a piedi».
Giungiamo alla sua abitazione: una piccola casa ad un piano nel cuore della Petare coloniale (la fondazione del barrio è fatta risalire al 17 febbraio 1621). Aperta una porta in ferro, si arriva davanti ad una scala estea. «Facciamo piano», ci dice il padre, indicando una persona che sta dormendo nel sottoscala. Saliamo al piano ed entriamo in una stanza che funge da studio: libri, fax, computer, raccoglitori, una scrivania.
È qui che padre Bruno Renaud scrive editoriali come quelli letti nel metro. La sua biografia racconta di un sacerdote di origine belga da 40 anni in Venezuela e per la precisione a Petare. Nel 1972 fu sospeso a divinis e fu reintegrato nella chiesa soltanto 12 anni dopo, nel 1984.
Già a nostro agio, gli chiediamo se veste ancora i panni del sacerdote disobbediente. «No – risponde con un sorriso -, sono totalmente obbediente, anche se non nego di avere idee poco conformi e scarsamente tollerate».
Padre Bruno deve aver trovato un modus vivendi considerato che, oltre a fare il sacerdote di frontiera (perché il barrio di Petare è una frontiera), scrive molto ed insegna teologia.
Teologia che, in America Latina, ha spesso significato «teologia della liberazione», anche se il tema è quasi scomparso dal dibattito ufficiale…
«Negli anni ’80 e ’90 la teologia della liberazione sembrava il drappo rosso da agitare davanti alle coa del toro. Dove il toro era la chiesa che si inferociva. Attualmente quella teologia appare molto spenta. Anche per questo preferisco non utilizzare la parola liberazione, perché sono convinto che ci ha portato sfortuna e che può alimentare conflitti interni alla chiesa.
Quello che è certo è che le comunità cattoliche, sviluppatesi qui a Caracas o nel paese, hanno lo stesso stile, cioè un cristianesimo innanzitutto sociale e non individuale. Quando ho l’occasione di stare in questi circoli dove si commenta la parola di Dio, lascio che siano gli altri a parlare: la gente è abituata al fatto che non sia il sacerdote quello che prende la parola. Si sentono liberi di commentare, perché non è un commento scientifico, ma parte dall’esperienza di tutti i giorni, dalla vita quotidiana.
Dal punto di vista pratico, si cerca la liberazione con l’azione. Per esempio, nei confronti delle donne sole o incinte o che hanno molti bambini. Ecco, direi che al termine “liberazione” noi diamo il significato di “mutua solidarietà”».

LA MESSA ALLA TELEVISIONE (PUBBLICA)
Ogni domenica la televisione pubblica Venezolana de television (nota come Canale 8) trasmette in diretta la messa. Lo stesso presidente Chávez non perde occasione per citare le scritture e per ricordare le radici cattoliche del popolo venezuelano. Insomma, in Venezuela la fede religiosa gioca un ruolo importante. Eppure, la chiesa cattolica di questo paese è stata, fin dall’inizio, contro Hugo Chávez Frias e la cosiddetta rivoluzione bolivariana. A tal punto che, durante l’effimero golpe dell’aprile 2002, il cardinale José Ignacio Velazco, arcivescovo di Caracas (oggi scomparso), fu in prima fila accanto a Pedro Carmona, primo ministro dell’estemporaneo governo golpista.
Pochissimi vescovi venezuelani appoggiano Chávez, mentre diversa è la situazione tra i sacerdoti. Padre Bruno è uno di essi.
«Mi oppongo – spiega senza tanti giri di parole – al fatto che l’episcopato venezuelano, in forma cosciente, molto cosciente, continui ad offrire la sua solidarietà sociale, politica ed economica a quei potenti che il governo di Chávez ha messo sulla difensiva. Mi oppongo inoltre al fatto che la chiesa, che dovrebbe portare la parola di Dio, metta davanti la sua presunta libertà di attore politico o il suo protagonismo sociale per difendere questa gente e criticare un governo legittimo.
Per tutto questo alcuni sacerdoti come me hanno manifestato posizioni diverse alla televisione e sui giornali. E ciò non per una banale voglia di apparire, ma per la convinzione che, di fronte al silenzio di una parte della chiesa, è necessario far sentire un’altra voce e far conoscere un’altra opzione».
In Aló Presidente, la sua trasmissione della domenica, il presidente Chávez si presenta spesso con il crocefisso sulla scrivania. E bacchetta a suo modo i vertici della chiesa venezuelana che, a suo dire, hanno dimenticato «l’opzione preferenziale per i poveri».
Spiega padre Bruno: «Non ci si deve stupire. Da tempo, la gerarchia episcopale confonde il suo sano e legittimo diritto di critica profetica con una difesa ipocrita e meschina dei privilegi sociali tradizionali. Chávez non fa solo discorsi populisti, perché è convinto di quello che dice. Quando il presidente dichiara di essere il vero rappresentante del vangelo, fa una cosa ben comica e strana, appena comprensibile per un europeo, eppure non assurda in una situazione tanto ambigua come quella della chiesa venezuelana».
Il sacerdote di Petare reclama posizioni chiare, in primis verso quelle classi umili a cui appartiene la grande maggioranza dei venezuelani. «Non si può – spiega – non riconoscere che il 70% della popolazione venezuelana, dopo 6 anni, continua ad appoggiare Chávez. È la fascia bassa della popolazione, è la gente umile che ha fatto questa scelta. La chiesa non può dimenticarlo».
«Personalmente – continua padre Bruno -, non ho mai fatto crociate pro-Chávez. Anzi, ci sono alcune cose che non condivido proprio. In primo luogo, non sono a favore dei militari al potere. I militari devono stare nelle caserme. In verità, non so quale sia l’utilità dei militari (ammesso che ne abbiano una), ma sicuramente non è quella di governare. In secondo luogo, uno dei motivi per i quali Chávez è stato votato è la lotta alla corruzione. Ebbene, si deve riconoscere che in questa battaglia il paese non è avanzato per nulla. In questo momento c’è abbondanza di petrodollari, cioè di dollari derivanti dalla rendita petrolifera, ma ci sono anche enormi fughe di denaro che vanno anche nelle tasche di uomini vicini a Chávez.
Nessuno fino ad ora ha potuto accusare il presidente ed anzi io credo che lui ne sia estraneo. Tuttavia, ha collaboratori che sono profondamente implicati nella corruzione e che io spero vengano presto allontanati ed incriminati».

CARACAS NON È BOGOTÀ
Tra Venezuela e Stati Uniti da tempo non corre buon sangue. I rapporti sono peggiorati soprattutto da quando Washington ha sostenuto il golpe di stato dell’aprile 2002 (fallito in 48 ore).
Nulla di nuovo sotto il sole. «Nel 1973 – ricorda padre Bruno -, il presidente cileno Salvador Allende fu scacciato dagli statunitensi e da Kissinger (2). Il mondo lo sa, loro lo ammettono e dicono che non potevano fare altrimenti. Se questo è il ragionamento, senza appoggiare Fidel Castro e il suo regime (per il quale non ho alcuna simpatia), bisogna riconoscere che, se non si metteva sulla difensiva, da varie decadi gli americani lo avrebbero cacciato.
Per gli Stati Uniti il nostro Chávez è più pericoloso di Fidel Castro non solamente perché è ben più giovane, ma perché rappresenta un umanesimo che il leader cubano non ha.
Personalmente ammiro lo sforzo pedagogico di Chávez per tentare di costruire un mondo protagonista, attivo e reattivo al di fuori degli schemi finora conosciuti e di invitare il popolo in un meccanismo partecipativo».
Di fronte ai fallimenti della globalizzazione capitalista, Chávez sta proponendo una nuova ricetta che ha però un vecchio nome che suscita sospetti e paure.
Sorride, il sacerdote, e spiega: «Il presidente parla di “socialismo del secolo XXI”. Nessuno sa cosa significhi e finora non ha alcun rappresentante, però è molto facile squalificarlo in nome del socialismo catastrofico del XX° secolo, che è imploso per la sua violenza e la sua mancanza di libertà».
In patria, tutti i mezzi di comunicazione privati (con le televisioni in prima fila) sono contro Chávez (3). Ed anche all’estero egli non gode del favore dei media…
«Oggi – chiosa padre Bruno -, tutti sanno che le guerre importanti iniziano con la mobilitazione mediatica. Attualmente è impossibile giustificare un conflitto senza l’appoggio dell’opinione pubblica mondiale. Dunque, è comprensibile che le grandi agenzie di stampa non possano che diffondere notizie poco favorevoli a Chávez. Così gli Stati Uniti e i loro alleati hanno iniziato le guerre attuali».
Il Venezuela si oppone all’ulteriore espansione delle politiche neoliberiste propugnate da Washington e punta a creare un fronte comune d’opposizione in America Latina e nel mondo intero. Oltre a ciò, è un grande produttore ed esportatore di petrolio, risorsa sempre più scarsa e costosa. Per tutto ciò il Venezuela e Chávez danno molto fastidio. Da tempo, nel paese si parla apertamente di «magnicidio», l’assassinio del presidente (leggere riquadro).
Padre Bruno ha idee chiare al riguardo: «In queste situazioni gli Stati Uniti non si fermano di fronte a nulla. L’assassinio politico è un’opzione reale come accadde con Gaitán (4) nel 1948. Il politico colombiano sembrava una specie di Chávez, anche se io non l’ho conosciuto e il contesto era diverso. Il suo assassino scatenò la rivolta a Bogotà e segnò l’inizio di un conflitto che dura da 50 anni.
Sono personalmente convinto che gli Usa non permetteranno a questo governo di continuare. Hanno già fatto di tutto per farlo cadere, anche se finora gli è andata male. Ma, nonostante tanti elementi contrari, non credo che rinunceranno».
È una persona che non ha mai smesso di pensare con la propria testa, padre Bruno, anche pagando di persona – come abbiamo ricordato – per la sua chiarezza. Ma chi si crederà d’essere?, pensano i suoi detrattori. Lui si qualifica così: «Continuo ad essere un piccolo pastore da prima linea e senza nessun grado in questo esercito che è la chiesa».

LA BIBBIA DI BUSH
A piedi, facciamo ritorno al metro di Petare. Abbiamo in mano Soy ateo!, l’articolo (5) che padre Bruno ha dedicato al presidente Bush: «Dicono che il signor Bush legga la bibbia tutti i giorni. Dicono che fu eletto e rieletto alla presidenza del suo paese grazie, in gran parte, al voto di numerosi cristiani, che lo considerano come un buon fedele. Io credo che la mia bibbia non è quella del signor Bush. Definitivamente, non stiamo leggendo la stessa bibbia, né pregando lo stesso Dio. Di fronte alle violenze di parte di coloro che si dicono credenti, io faccio come i martiri cristiani del II secolo: mi dichiaro “ateo”!».
Sì, padre Bruno Renaud, sacerdote belga da 40 anni a Caracas, è obbediente. Ma non troppo.

(fine 1.a puntata – continua)


Note:

(1) Su Ultimas Noticias del 21 maggio 2005. Titolo dell’articolo: «Nuncio apostólico».
(2) Henry Kissinger era segretario di stato Usa ai tempi del golpe del generale Pinochet. Era l’11 settembre 1973.
(3) Al riguardo, si legga Fronte dei media (MC, giugno 2003) e Essere giornalisti in Venezuela (MC, settembre 2003).
(4) Jorge Eliécer Gaitán, politico e dirigente liberale, fu assassinato il 9 aprile del 1948.
(5) Su Ultimas Noticias del 12 marzo 2005. Titolo dell’articolo: «Soy ateo!».

Le prossime puntate di «Preti d’America»:

Questa serie, che abbiamo titolato «Preti d’America», vuole raccontare le esistenze e le idee (libere, diverse, condivisibili o non) di sacerdoti che, negli ultimi anni, abbiamo incontrato in vari paesi dell’America Latina.
Pertanto, a questo primo articolo seguiranno, nel corso del 2006, altri incontri-interviste, tra cui quelli con: padre Jesus Silva del Venezuela, padre Antonio Bonanomi, missionario della Consolata nel Cauca (Colombia), padre Giacinto Franzoi, missionario della Consolata in Caquetà (Colombia), padre Clemente Peneleu Navichoc (Guatemala), padre Gonzalo Guitian Galano (Cuba) ed altri ancora.

Pa.Mo.

Paolo Moiola

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