UCRAINA – Il travaglio dell’«ex granaio d’Europa»

I CETRIOLI DI NATASCIA

Genova e Venezia, repubbliche marinare, hanno qui alcune vestigia,
come l’esercito del Piemonte che, nel 1855, vince la battaglia sul fiume Ceaia.
Piccoli dettagli di un affresco vasto, complesso, affascinante…
«Ucraina» deriva da kraj, frontiera, forse a indicare le steppe sconfinate.
Dal 9° al 12° secolo il paese si identifica con la «Rus di Kiev».
Il popolo ucraino si consolida nel 15° secolo.
La sua sorte è legata a quella dei polacchi e, soprattutto, dei russi.
Il 1° dicembre 1991 l’Ucraina riconquista l’indipendenza, perduta nel 1654 quando diventa parte dell’impero zarista e, nel 1922, allorché abbraccia quello sovietico. Oggi gli ucraini camminano con le loro gambe. Che fatica, però!

«Comprate, comprate, signori miei! Il prezzo è piccolo, ma l’affare è grande!». È il ritornello, strillato a iosa, che ci accompagna mentre esploriamo le bancarelle di un rumoroso mercatino delle pulci. Udiamo altre parole davvero curiose, quali: Juve, Inter, Milan. Improvvisamente, da un pittore di quadri naif, scatta la domanda: «Perché voi, italiani, coprite d’oro il calciatore Andrei Shevchenko, ma lasciate che le nostre ragazze finiscano come prostitute sulle strade delle vostre città?».
Il quesito, furioso come una schioppettata, ci investe a Kiev, capitale dell’Ucraina.

DOPO CHERNOBYL
Ucraina: quasi 50 milioni di abitanti, su una superficie due volte l’Italia. Dopo la separazione-indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991, la nazione sta camminando con le proprie gambe. Ma che fatica!
Le risorse economiche non mancano. Nel campo minerario il paese possiede carbone, ferro, petrolio, gas naturale. Molti impianti, però, sono obsoleti, a scapito della sicurezza. Il 19 luglio 2004, in una miniera di carbone di Donetsk, 25 operai morirono per un’esplosione di gas.
Non manca l’uranio. Ma all’erta con l’uranio! Il settore energetico si avvale (si dice) di 6 centrali nucleari «rinnovate», perché quelle vecchie sono pericolose. Gli ucraini (e non solo loro) lo sanno. Anzi, non scorderanno facilmente il 26 aprile 1986, allorché esplose un reattore della centrale nucleare di Cheobyl, a 120 chilometri da Kiev.
Complice la disinformazione voluta, all’inizio sembrò un incidente persino banale. Ma subito «bagliori mai visti» seminarono morte a ritmi incalzanti. Alla fine le vittime delle micidiali radiazioni saranno 160 mila e 3 milioni i contaminati, che sopravvivono in qualche modo. Senza contare i bambini nati deformi.
Oggi quella «zona maledetta» conta 300 individui: dopo l’evacuazione del 1986, sono ritornati a casa loro, nonostante che il territorio soffra ancora le conseguenze dell’inquinamento radioattivo. La «peste» durerà almeno 100 anni!
Invece più sicuri sarebbero i prodotti agricoli, a prescindere dagli organismi geneticamente modificati. Però, in Ucraina, soprattutto l’agricoltura è in crisi. Si importa persino frumento. Che ne è del paese «granaio d’Europa»? E dove sono finiti i potenti trattori che, sino a pochi anni fa, aravano vastissime steppe? «Sono scomparsi misteriosamente» risponde un piccolo agricoltore, con un linguaggio che ricorda quello in voga nell’Unione Sovietica.
In ogni caso la terra è proprietà dello stato. I contadini attendono con ansia dal governo ucraino la riforma agraria, per ottenere qualche ettaro in più e produrre una maggiore quantità di pannocchie o barbabietole. «Terreno comunque da acquistare» dichiara un modestissimo bracciante.
Ma con quali denari, se il salvadanaio dei risparmi si svuota continuamente?
Così l’80% degli ucraini vive sotto la soglia della povertà e 5 milioni sfidano la fortuna emigrando anche in Italia. Fra le donne, ecco le ricercate badanti per gli anziani. Però altre ucraine, adescate da raggiri mafiosi, devono adattarsi a battere i marciapiedi di Torino, insieme a qualche nigeriana.

MEGLIO IERI O OGGI?
Soggioando (anche poche settimane) nell’ex Unione Sovietica, gli interrogativi che pungolano continuamente la mente del visitatore sono sempre gli stessi. E cioè: è preferibile il regime marxista o quello capitalista, lo stile di vita di ieri o quello di oggi? Sono stati socialmente più validi «i piani quinquennali» di Nikita Kruscev o il libero mercato di Vladimir Putin? In Russia gli anziani non nutrono dubbi al riguardo: la grande maggioranza rimpiange il comunismo, in città come in campagna.
In Ucraina la musica non cambia. Dalla metropoli di Kiev al porto di Odessa i settantenni stentano, oggigiorno, a sbarcare il lunario. Le loro pensioni, per esempio, sono da «terzo mondo»: appena 24 euro mensili, al cospetto di generi alimentari, capi di abbigliamento e farmaci costosissimi.
Fino al fatidico 1989 (l’anno della caduta del muro di Berlino) l’istruzione era gratuita e garantita a tutti. Gratuita era pure l’assistenza sanitaria, anche se nelle repubbliche dell’Unione Sovietica (già prima della «glasnost-trasparenza» e della «perestrojka-ristrutturazione» di Michail Gorbacev) qualcuno mormorava con sarcasmo: «Se la salute non ti interessa, va’ a curarti in un ospedale pubblico!».
Tuttavia l’Unione offriva a tanti la possibilità di spostarsi per le ferie da un capo all’altro dell’Urss: dall’inospitale e gelida Siberia alla dolce e florida Crimea sul Mare Nero.
Però i giovani non rimpiangono il passato. «Io ho due figlie, di 20 e 30 anni – dichiara Natascia -. La ventenne non sa nulla del regime comunista, mentre la trentenne ricorda poco. Però preferisce il sistema attuale, perché offre maggiore libertà. Ma occorre fronteggiare la minaccia del terrorismo…».
Natascia, colta guida turistica di Kiev sulla cinquantina, afferma: «Oltre al russo e all’ucraino, parlo italiano, francese e inglese. Anni fa sono stata a Roma, Parigi e Londra. Ai tempi dell’impero sovietico non mi era consentito uscire dall’Urss. Confrontando lo standard di vita dell’Europa occidentale con il nostro, sono giunta alla seguente conclusione: le persone come me, che godevano di una buona cultura e di una discreta posizione statale, erano abbastanza fortunate rispetto a tante altre. Però ero chiusa in gabbia, e non me ne rendevo conto».
Conversiamo con Natascia in un piccolo ristorante, attorno a un piatto di cetrioli. Già, cetrioli! Sempre cetrioli: a colazione, pranzo e cena. Anche la guida li osserva con un pizzico di commiserazione, girandoli e rigirandoli con la forchetta. E soggiunge: «Se l’Ucraina vuole attirare i turisti europei e americani, deve rivedere la propria cucina, soprattutto se a tavola siedono italiani».

TURISTI BENVENUTI
In Ucraina il patrimonio storico, culturale e paesaggistico è favoloso. Per esempio: la penisola di Crimea, al di là delle attrazioni climatiche, offre uno spaccato di storia tormentata. Terra antichissima, abitata già nel paleolitico dal popolo iranico degli sciti e successivamente, nell’arco di secoli, dai tauri, dai tartari, ecc. Nel 13° secolo vi approdarono anche colonie di genovesi in lotta contro i veneziani.
In Crimea i turisti italiani osserveranno con interesse il fiume Ceaia, sulle cui sponde nel 1855 l’esercito del Piemonte, alleato dei francesi e degli inglesi, vinse una sanguinosa battaglia contro i russi.
Nel 1941-43 la penisola fu preda delle truppe tedesche naziste, che sterminarono gli ebrei locali. Al ritorno dei russi-sovietici, i tartari furono deportati in Siberia: 200 mila perirono di stenti.
In Crimea non si può mancare Jalta, splendida località marina e ambita sede vacanziera di tanti «vip» comunisti dell’Unione Sovietica. Inoltre a Jalta, il 4-11 febbraio 1945, Iosif Stalin, Winston Churchill e Franklin D. Roosevelt si spartirono una cospicua fetta del potere mondiale, dichiarandosi «guerra fredda».
Dal 1992 la Crimea è parte dell’Ucraina, ma con una larga autonomia.
Notevole è pure il richiamo turistico esercitato da Leopoli, città di 900 mila abitanti: un po’ austro-ungarica (fece parte dell’impero asburgico dal 1772 al 1917), un po’ polacca (la Polonia l’ha rivendicata per molto tempo), un po’ russa (si contano circa 140 mila russi), ma soprattutto ucraina. Da Leopoli (meglio L’viv), sotto il profilo culturale, si guarda più all’Europa occidentale che alla Russia.
A 40 chilometri dalla città, su una fonte ritenuta miracolosa sorge il monastero studita di Univ. È uno dei massimi centri della religione greco-cattolica, che risale al 1300, importante anche per capire la storia della nazione…
Ma il cuore dell’Ucraina è, certamente, Kiev: e non solo perché è la capitale. La metropoli è addirittura considerata «la madre delle città russe». Secondo le cronache antiche, il popolo di Kiev, con il principe Vladimir in testa, scese nelle acque del fiume Dneper, dove l’intera comunità sarebbe stata battezzata con il nome di Rus. Correva l’anno del Signore 988, che segna l’inizio del cristianesimo in Ucraina e nelle regioni limitrofe, Russia compresa.
Nel 13° secolo l’invasione delle orde tartare segnò per sempre il destino di Kiev, distruggendo inestimabili opere artistiche. Più a nord sorsero nuovi principati e centri politici: San Pietroburgo, Mosca…
Nel 2001 anche Giovanni Paolo ii visitò Kiev e dintorni, soffermandosi in preghiera presso due «colossei modei» o luoghi di martirio. Il primo è Babij Jar, alla periferia della città. Qui, nel 1941-43, i nazisti consumarono terribili massacri: scomparvero circa 100 mila persone, in gran parte ebrei, ma anche zingari, oppositori e prigionieri di guerra sovietici. Dal 1976 un monumento di bronzo ricorda quegli eccidi.
Il secondo «colosseo» si chiama Bykivnja, a 30 chilometri da Kiev. In una zona boschiva, nel 1937-41 Stalin seppellì in fosse comuni circa 50 mila presunti oppositori del regime (di cui 15 mila identificati), vittime delle «purghe» del dittatore. Oggi su una pietra si legge: «La cosa più cara è stata la libertà. Noi l’abbiamo pagata con la vita».

E LA SITUAZIONE RELIGIOSA?
Natascia, l’esperta guida di Kiev che si trastulla con slavati cetrioli, accenna anche alla complessa situazione religiosa dell’Ucraina. Alla domanda «lei è credente?», risponde: «Vorrei esserlo, come lo sono stati i nonni e un po’ i genitori. Invece sono agnostica. Ma, se fossi credente, non vorrei essere né ortodossa, né cattolica, né protestante, ma semplicemente cristiana».
I cattolici e gli ortodossi d’Ucraina ebbero «un sussulto» nel 2001, con la visita di Giovanni Paolo ii del 23-27 giugno. «Desidero rassicurare gli ortodossi che non sono venuto qui con intenti di proselitismo. Prostrati davanti al comune Signore, riconosciamo le nostre colpe. Assicuriamo il perdono per i torti subiti…». Sono alcune battute, con le quali il papa invitava tutti i cristiani a superare i nefasti pregiudizi del passato.
Gli ortodossi rappresentano il 55% della popolazione e i cattolici l’11%. Vi sono anche piccole minoranze di protestanti, ebrei e musulmani, mentre il 30% si dichiara ateo.
Le contese non dividono solo gli ortodossi dai cattolici, ma anche gli stessi cattolici, distinti in rito greco-cattolico (9%) e rito latino-cattolico (2%). Gli ortodossi hanno disprezzato e disprezzano i greco-cattolici, chiamandoli «uniati» (uniti al pontefice romano).
Nel 2001 papa Wojtila invitò tutti a riconoscere «l’ecumenismo dei testimoni dell’unica fede cristiana», anche se vissuta in denominazioni differenti. Inoltre sottolineò «l’ecumenismo dei martiri»: martiri ortodossi, cattolici e protestanti. Nel ’900 la sola Ucraina vide soccombere, sotto i colpi della guerra, del nazismo e del comunismo, ben 17 milioni di persone, appartenenti a diversi credo.
Le persecuzioni subite dai cattolici sono rievocate, in parte, da Iryna Kolomyec, dell’università cattolica di Leopoli, figlia del prete greco-cattolico Stephan Kolomyec (ndr: i sacerdoti greco-cattolici possono sposarsi).
Padre Stephan fu vittima del comunismo. A partire dal 1935, divenuto parroco in un villaggio, esercitò il ministero (con fatica) sino alla fine della 2a guerra mondiale, allorché venne brutalmente arrestato dalla polizia Kgb e condannato a 10 anni di lavori forzati. Morto Stalin, nel 1954 Stephan ritoò a casa. La moglie Maria non lo riconobbe più, tanto era sfigurato per gli stenti patiti. Riprese a esercitare il ministero pastorale. Ma la Kgb lo ricercava. Il sacerdote, saputolo, fuggì nell’Ucraina orientale, dove lavorò come contadino in un kolkoz. Ma nella pasqua del 1969 la polizia lo scovò e ricacciò ai lavori forzati e, poi, agli arresti domiciliari. Padre Stephan morì nel 1974 a 65 anni…
Leonid è un prete cattolico polacco di rito latino: solleva l’annoso problema della restituzione ai legittimi proprietari degli edifici di culto, requisiti dal regime comunista. Da otto anni è responsabile della comunità cattolica di Sebastopoli (Crimea). Ma la chiesa è un cinema dal 1935, allorché il parroco finì nel famigerato carcere Lubjamka di Mosca e poi fucilato. Malgrado tutto, padre Leonid è contento. Anche i rapporti con gli ortodossi sono cordiali; vi sono pure incontri interconfessionali per esaminare insieme i problemi sociali e religiosi…
Un pomeriggio concelebriamo l’eucaristia in una stanza dell’appartamento del sacerdote, in un condominio, con alcuni fedeli. L’attesa di tutti è che il cinema, all’angolo della strada, ridiventi chiesa.

Odessa. Celeberrima è la scalinata della città, immortalata dal film La corazzata Potemkin di Sergej Ejzenstejn (1925). Il capolavoro racconta la rivolta dell’equipaggio della nave russa Potemkin, che raggiunge Odessa. L’ammutinamento scoppia perché il medico di bordo dichiara commestibile carne marcia. La gente è solidale con l’equipaggio. Ma la polizia dello zar affoga nel sangue la ribellione. Fra le vittime c’è una mamma, con una carrozzina, sulla sommità della scalinata di Odessa. Colpita a morte, la donna abbandona la carrozzina, che precipita lungo la gradinata. Finché si rovescia. La scena del film è apparsa anche un preludio dei tragici «kapitomboli» nei paesi dell’Unione Sovietica.

Francesco Beardi

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