Ogni giorno nel mondo muoiono trentamila bambini: nella maggior parte dei casi la loro vita può essere salvata.
Ogni anno quasi 11 milioni di bambini muoiono prima di compiere 5 anni: 30 mila al giorno. La maggior parte di queste morti avviene per cause evitabili: disidratazione, malnutrizione, malattie che si potrebbero prevenire o curare, per lo meno nei paesi più ricchi.
Infatti, se nelle nazioni più povere muore 1 bambino ogni 10 prima dei 5 anni, in quelli con reddito maggiore la percentuale crolla a 1 bimbo ogni 143. Inoltre, i numeri riportati sono solo stime, valutazioni approssimative. Nei paesi più poveri, dove è più difficile l’accesso alle cure, non è nemmeno prevista una registrazione delle nascite e delle morti. Infatti quasi nessuna delle regioni che coprono il 98% delle morti infantili possiede un sistema adeguato e completo di annotazione dei morti e delle cause.
Le vittime potrebbero quindi essere molte di più di quello che si pensa e la mancanza di informazioni precise sulla situazione di salute e malattia in questi paesi rappresenta un ostacolo alla pianificazione di programmi efficaci per migliorare lo stato delle cose.
La strage degli innocenti
Il 4° Obiettivo di sviluppo del millennio si concentra proprio sulla strage infantile e sugli interventi necessari per ridurre di due terzi il numero di morti entro il 2015 (rispetto ai dati del 1990).
Fra il 1960 e il 1990 vi era stato un notevole miglioramento delle condizioni di salute dell’infanzia, che aveva portato a dimezzare la mortalità. Ma negli anni successivi i progressi sono rallentati e la mortalità è scesa solo del 15%. In qualche paese sono addirittura stati fatti passi indietro.
Se le cose continuano di questo passo, saranno poche le zone del mondo in cui fra dieci anni verrà raggiunta la meta prefissata: solo America Latina, Caraibi, Europa e Asia centrale sono sulla buona strada. Altrove le cose non vanno bene; i progressi sono particolarmente lenti nell’Africa sub-sahariana, dove i conflitti e l’epidemia di Hiv/Aids hanno addirittura fatto innalzare il numero delle giovani vittime rispetto al 1990: muoiono prima dei cinque anni quasi 2 bimbi ogni 10.
Cause prevenibili
Secondo l’ultimo Rapporto sulla salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 90% di tutte queste morti è causato da sei condizioni: patologie neonatali acute (soprattutto complicanze da nascita prima del termine, crisi respiratorie con asfissia), infezioni respiratorie (in particolare polmonite), diarrea, malaria, morbillo e, da ultimo, anche se è una delle malattie di cui si parla di più, solo nel 3% dei casi, Hiv.
Questo significa che moltissimi di quei neonati e quei bambini, assistiti in modo appropriato, non sarebbero morti. Nascendo in un paese più ricco avrebbero avuto a loro disposizione l’assistenza neonatale adeguata se prematuri, la cura di complicanze infettive e respiratorie in neonatologia, gli antibiotici mirati in caso di polmonite, le soluzioni reidratanti e le condizioni igieniche corrette per prevenire o curare la diarrea, le misure di prevenzione e i farmaci appropriati per la malaria, le vaccinazioni contro il morbillo, i farmaci per proteggerli dal rischio di trasmissione dell’Aids da parte della mamma. E si sarebbero salvati, per lo meno una buona parte di loro.
Un’analisi pubblicata dalla rivista medica The Lancet diversi mesi fa aveva sottolineato che non erano necessari grossi progetti e finanziamenti impegnativi: pochi interventi semplici e di basso costo (promozione dell’allattamento al seno, disponibilità di zanzariere trattate con insetticidi, vaccinazioni contro il morbillo e terapie reidratanti) avrebbero già abbassato drasticamente il numero di morti.
Nemmeno un mese
Considerando poi solo il sottogruppo dei neonati, cioè i piccoli con meno di un mese di vita, i morti contati ogni anno sono 4 milioni, circa il 38% del totale. Di questi, tre quarti non arrivano nemmeno a compiere una settimana, muoiono prima, muoiono subito.
E il 99% di queste morti neonatali avviene ancora una volta nei paesi più poveri, soprattutto nelle zone dell’Asia sudcentrale (con l’eccezione del Bangladesh e Sri Lanka, dove la situazione è migliore) e dell’Africa subsahariana. Due terzi di queste morti sono concentrate in 10 paesi e la metà avviene in casa, senza assistenza. Muoiono perché nati troppo presto, prima del termine, per difficoltà respiratorie, per infezioni, come il tetano, che è facilmente prevenibile, malattia di altri tempi per i paesi ricchi.
Ancora una volta la rivista medica The Lancet ha dedicato una serie di articoli proprio alle morti neonatali, dei primi giorni di vita, sottolineando come la loro prevenzione non sia un punto centrale nei programmi sulla sopravvivenza infantile e la salute matea: il risultato sono 450 neonati che muoiono ogni ora, 10 mila ogni giorno, ancora una volta per cause, nella maggior parte dei casi, evitabili.
Ma non se ne parla, fa parte delle emergenze dimenticate. E in fondo basterebbero pochi semplici interventi per migliorare di molto il desolante quadro: per esempio vaccinazioni contro il tetano per le donne in gravidanza, parti in condizioni igieniche e pulizia adeguate, allattamento al seno immediato ed esclusivo, assistenza per i nati di basso peso e antibiotici per le infezioni neonatali.
Cercare le soluzioni
Le ultime previsioni delle Nazioni Unite, sulla base dell’andamento finora registrato, mostrano un quadro pessimistico per il raggiungimento del quarto obiettivo: se si fallisce, fra oggi e il 2015 moriranno 29 milioni di bambini prima di arrivare a 5 anni di vita. Dieci nazioni africane hanno oggi una mortalità peggiore di quella del 2000, anno in cui sono stati stabiliti gli obiettivi; altre 29 potrebbero invece arrivare al risultato, ma con 35 anni di ritardo.
Eppure, a volte basta davvero poco per ottenere grandi risultati, come attuare gli interventi rapidi ed economici prima ricordati. È importante riuscire a calarsi nelle realtà che si hanno di fronte, pianificare sulla base del tessuto sociale in cui si agisce e delle risposte che si possono ottenere; capire quali siano i reali bisogni primari, capire come arrivare alle famiglie, come integrare l’intervento perché diventi un progetto comune e abbia possibilità di riuscita.
Certo vi sono, in diversi stati, campagne inteazionali di diffusione delle vaccinazioni e di prevenzione delle malattie. Quella promossa in Togo alla fine dello scorso anno è un esempio fra tanti, in cui sono stati uniti gli sforzi contro morbillo, poliomielite, vermi intestinali e malaria. Lo scopo era raggiungere e proteggere circa un milione di bambini fra i nove mesi e i cinque anni.
Ma a volte la soluzione è nascosta anche in interventi apparentemente banali e di basso costo, che aggirano l’ostacolo della povertà, dell’impossibilità di avere attrezzature sanitarie adeguate. Interventi che, per esempio, permettono di salvare la vita a molti bambini disidratati dalla diarrea anche se non ci sono i soldi per ricoverarli o dar loro liquidi in vena. Il Bangladesh ha fatto da apripista in questa ricerca di risposte semplici e immediate ed è stato tra i primi a utilizzare per questi bambini una semplice bevanda, composta da acqua, sale e zucchero.
Perché, se è importante non trascurare la ricerca sul Dna e su nuovi vaccini, a cosa serve se i bambini muoiono di una banale diarrea prima di potee beneficiare? La somministrazione della bevanda in sostituzione della più complicata, e spesso impossibile da realizzare, terapia endovenosa si valuta abbia salvato nel corso degli anni 40 milioni di persone. E dagli anni settanta a oggi la mortalità infantile in Bangladesh è pressoché dimezzata, ridotta a un terzo in alcune zone.
2. Istruzione: garantire a tutti un livello di istruzione primaria.
3. Parità dei sessi: promuovere l’uguaglianza tra maschi e femmine; dare maggiore autonomia e poteri alle donne.
4. Bambini: ridurre di due terzi rispetto al 1990 la mortalità infantile.
5. Mamme: migliorare la salute matea, inclusa la riduzione di tre quarti rispetto al 1990 della mortalità in gravidanza e da parto.
6. Malattie: prevenire la diffusione di HIV/AIDS, malaria e altre malattie.
7. Ambiente: assicurare uno sviluppo sostenibile.
8. Scienza, tecnologia, progresso: sviluppare una collaborazione globale per lo sviluppo.
Ogni anno quasi 11 milioni di bambini muoiono prima di compiere 5 anni: 30 mila al giorno. La maggior parte di queste morti avviene per cause evitabili: disidratazione, malnutrizione, malattie che si potrebbero prevenire o curare, per lo meno nei paesi più ricchi.
Infatti, se nelle nazioni più povere muore 1 bambino ogni 10 prima dei 5 anni, in quelli con reddito maggiore la percentuale crolla a 1 bimbo ogni 143. Inoltre, i numeri riportati sono solo stime, valutazioni approssimative. Nei paesi più poveri, dove è più difficile l’accesso alle cure, non è nemmeno prevista una registrazione delle nascite e delle morti. Infatti quasi nessuna delle regioni che coprono il 98% delle morti infantili possiede un sistema adeguato e completo di annotazione dei morti e delle cause.
Le vittime potrebbero quindi essere molte di più di quello che si pensa e la mancanza di informazioni precise sulla situazione di salute e malattia in questi paesi rappresenta un ostacolo alla pianificazione di programmi efficaci per migliorare lo stato delle cose.
La strage degli innocenti
Il 4° Obiettivo di sviluppo del millennio si concentra proprio sulla strage infantile e sugli interventi necessari per ridurre di due terzi il numero di morti entro il 2015 (rispetto ai dati del 1990).
Fra il 1960 e il 1990 vi era stato un notevole miglioramento delle condizioni di salute dell’infanzia, che aveva portato a dimezzare la mortalità. Ma negli anni successivi i progressi sono rallentati e la mortalità è scesa solo del 15%. In qualche paese sono addirittura stati fatti passi indietro.
Se le cose continuano di questo passo, saranno poche le zone del mondo in cui fra dieci anni verrà raggiunta la meta prefissata: solo America Latina, Caraibi, Europa e Asia centrale sono sulla buona strada. Altrove le cose non vanno bene; i progressi sono particolarmente lenti nell’Africa sub-sahariana, dove i conflitti e l’epidemia di Hiv/Aids hanno addirittura fatto innalzare il numero delle giovani vittime rispetto al 1990: muoiono prima dei cinque anni quasi 2 bimbi ogni 10.
Cause prevenibili
Secondo l’ultimo Rapporto sulla salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, il 90% di tutte queste morti è causato da sei condizioni: patologie neonatali acute (soprattutto complicanze da nascita prima del termine, crisi respiratorie con asfissia), infezioni respiratorie (in particolare polmonite), diarrea, malaria, morbillo e, da ultimo, anche se è una delle malattie di cui si parla di più, solo nel 3% dei casi, Hiv.
Questo significa che moltissimi di quei neonati e quei bambini, assistiti in modo appropriato, non sarebbero morti. Nascendo in un paese più ricco avrebbero avuto a loro disposizione l’assistenza neonatale adeguata se prematuri, la cura di complicanze infettive e respiratorie in neonatologia, gli antibiotici mirati in caso di polmonite, le soluzioni reidratanti e le condizioni igieniche corrette per prevenire o curare la diarrea, le misure di prevenzione e i farmaci appropriati per la malaria, le vaccinazioni contro il morbillo, i farmaci per proteggerli dal rischio di trasmissione dell’Aids da parte della mamma. E si sarebbero salvati, per lo meno una buona parte di loro.
Un’analisi pubblicata dalla rivista medica The Lancet diversi mesi fa aveva sottolineato che non erano necessari grossi progetti e finanziamenti impegnativi: pochi interventi semplici e di basso costo (promozione dell’allattamento al seno, disponibilità di zanzariere trattate con insetticidi, vaccinazioni contro il morbillo e terapie reidratanti) avrebbero già abbassato drasticamente il numero di morti.
Nemmeno un mese
Considerando poi solo il sottogruppo dei neonati, cioè i piccoli con meno di un mese di vita, i morti contati ogni anno sono 4 milioni, circa il 38% del totale. Di questi, tre quarti non arrivano nemmeno a compiere una settimana, muoiono prima, muoiono subito.
E il 99% di queste morti neonatali avviene ancora una volta nei paesi più poveri, soprattutto nelle zone dell’Asia sudcentrale (con l’eccezione del Bangladesh e Sri Lanka, dove la situazione è migliore) e dell’Africa subsahariana. Due terzi di queste morti sono concentrate in 10 paesi e la metà avviene in casa, senza assistenza. Muoiono perché nati troppo presto, prima del termine, per difficoltà respiratorie, per infezioni, come il tetano, che è facilmente prevenibile, malattia di altri tempi per i paesi ricchi.
Ancora una volta la rivista medica The Lancet ha dedicato una serie di articoli proprio alle morti neonatali, dei primi giorni di vita, sottolineando come la loro prevenzione non sia un punto centrale nei programmi sulla sopravvivenza infantile e la salute matea: il risultato sono 450 neonati che muoiono ogni ora, 10 mila ogni giorno, ancora una volta per cause, nella maggior parte dei casi, evitabili.
Ma non se ne parla, fa parte delle emergenze dimenticate. E in fondo basterebbero pochi semplici interventi per migliorare di molto il desolante quadro: per esempio vaccinazioni contro il tetano per le donne in gravidanza, parti in condizioni igieniche e pulizia adeguate, allattamento al seno immediato ed esclusivo, assistenza per i nati di basso peso e antibiotici per le infezioni neonatali.
Cercare le soluzioni
Le ultime previsioni delle Nazioni Unite, sulla base dell’andamento finora registrato, mostrano un quadro pessimistico per il raggiungimento del quarto obiettivo: se si fallisce, fra oggi e il 2015 moriranno 29 milioni di bambini prima di arrivare a 5 anni di vita. Dieci nazioni africane hanno oggi una mortalità peggiore di quella del 2000, anno in cui sono stati stabiliti gli obiettivi; altre 29 potrebbero invece arrivare al risultato, ma con 35 anni di ritardo.
Eppure, a volte basta davvero poco per ottenere grandi risultati, come attuare gli interventi rapidi ed economici prima ricordati. È importante riuscire a calarsi nelle realtà che si hanno di fronte, pianificare sulla base del tessuto sociale in cui si agisce e delle risposte che si possono ottenere; capire quali siano i reali bisogni primari, capire come arrivare alle famiglie, come integrare l’intervento perché diventi un progetto comune e abbia possibilità di riuscita.
Certo vi sono, in diversi stati, campagne inteazionali di diffusione delle vaccinazioni e di prevenzione delle malattie. Quella promossa in Togo alla fine dello scorso anno è un esempio fra tanti, in cui sono stati uniti gli sforzi contro morbillo, poliomielite, vermi intestinali e malaria. Lo scopo era raggiungere e proteggere circa un milione di bambini fra i nove mesi e i cinque anni.
Ma a volte la soluzione è nascosta anche in interventi apparentemente banali e di basso costo, che aggirano l’ostacolo della povertà, dell’impossibilità di avere attrezzature sanitarie adeguate. Interventi che, per esempio, permettono di salvare la vita a molti bambini disidratati dalla diarrea anche se non ci sono i soldi per ricoverarli o dar loro liquidi in vena. Il Bangladesh ha fatto da apripista in questa ricerca di risposte semplici e immediate ed è stato tra i primi a utilizzare per questi bambini una semplice bevanda, composta da acqua, sale e zucchero.
Perché, se è importante non trascurare la ricerca sul Dna e su nuovi vaccini, a cosa serve se i bambini muoiono di una banale diarrea prima di potee beneficiare? La somministrazione della bevanda in sostituzione della più complicata, e spesso impossibile da realizzare, terapia endovenosa si valuta abbia salvato nel corso degli anni 40 milioni di persone. E dagli anni settanta a oggi la mortalità infantile in Bangladesh è pressoché dimezzata, ridotta a un terzo in alcune zone.
Mete da raggiungere
1. Povertà e fame: dimezzare rispetto al 1990 la povertà estrema e la fame.2. Istruzione: garantire a tutti un livello di istruzione primaria.
3. Parità dei sessi: promuovere l’uguaglianza tra maschi e femmine; dare maggiore autonomia e poteri alle donne.
4. Bambini: ridurre di due terzi rispetto al 1990 la mortalità infantile.
5. Mamme: migliorare la salute matea, inclusa la riduzione di tre quarti rispetto al 1990 della mortalità in gravidanza e da parto.
6. Malattie: prevenire la diffusione di HIV/AIDS, malaria e altre malattie.
7. Ambiente: assicurare uno sviluppo sostenibile.
8. Scienza, tecnologia, progresso: sviluppare una collaborazione globale per lo sviluppo.
OBIETTIVO N°4
Ridurre di due terzi
rispetto al 1990
la mortalità infantile
Valeria Confalonieri