Negativo anche il buon Gesù?

Eccoli ancora «in vetrina» nel castello di Gleneagles (Scozia). I G8, ossia, i capi dei paesi più industrializzati del mondo, Italia compresa, dal 5 all’8 luglio 2005 si sono ritrovati nella cittadina scozzese per discutere di petrolio, crescita economica, clima, nonché degli affanni dell’Africa. Come in altre occasioni, non sono mancati i contestatori, fra cui i black block con i loro vandalismi. Di fronte all’incivile spettacolo qualcuno ha commentato: «Speriamo che non ci scappi il morto come al G8 di Genova nel 2001».
Speranza vana. Le vittime sono quasi 60. Ma, rispetto a Genova, la strage è differente: è avveunta a Londra il 7 luglio, sui convogli della metropolitana, edè stata rivendicata dalla famigerata Al Qaeda.
Al cospetto delle vittime (innocenti) di ieri e oggi, la «simpatia» è profonda e la condanna totale per gli attentatori. I sentimenti si tramutano soprattutto in preghiera. E non scordiamo l’Africa, che svettava come priorità nell’agenda dei G8. Poi, con l’incalzare della tragedia londinese, l’attenzione è quasi svanita: destino perverso, ricorrente per il continente nero.

N el loro documento finale i G8 hanno proposto un piano di aiuti all’Africa: prevede anche l’azzeramento del debito estero di 14 paesi poveri. Il problema era stato sollevato qualche giorno prima, a Londra, dai ministri finanziari dei G8 (Russia esclusa), groriandosi di «una scelta epocale». Esagerati! La cancellazione di debiti multilaterali è un’iniziativa già in atto da tempo per opera della società civile e religiosa, chiesa cattolica in testa. Pertanto è fuori luogo ascrivere ai G8 una scelta epocale.
E poi, la scelta è largamente insufficiente: sono circa 70 le nazioni gravate dal debito estero. Spesso si va per le lunghe. Ma, se vi sono interessi occidentali in gioco, i debiti si azzerano in fretta. Nel 2004 l’Iraq beneficiò di un condono di 30 miliardi di dollari.
Insufficienti sono pure i 50 miliardi di dollari destinati dai G8, entro il 2010, allo sviluppo dell’Africa. Secondo l’Onu, tale somma dovrebbe essere stanziata ogni anno per realizzare nel 2015 gli obiettivi proclamati nel 2000. Intanto le nazioni ricche sono lontanissime dal devolvere allo sviluppo del Sud del mondo lo 0,7% del loro prodotto interno lordo, promesso da decenni, riaffermato solennemente dai G8 a Genova e sempre disatteso. Oggi l’impegno dello 0,7% viene posposto al 2015, allorché almeno i paesi dell’Unione europea dovrebbero assolverlo.
Nel 2001 i G8 avevano pure deciso di combattere l’Aids in Africa: un’altra promessa da marinaio, rilanciata a Gleneagles. La verità è che, spesso, i G8 non possono né vogliono decidere, né tanto meno agire, ma solo «raccomandare», specialmente quando sono coinvolte istituzioni inteazionali.
I meeting dei G8 sono discutibili anche per il loro regolamento e per numero e identità dei partecipanti. A Gleneagles, dove si intendeva portare alla ribalta l’Africa, i suoi veri portavoce erano pochissimi. Dal G8 si dovrebbe passare al «G-tutti»: parola di Dionigi Tettamanzi nel 2001, arcivescovo di Genova.

A llibiti dalla strage di Londra, i G8 non hanno potuto ignorare il terrorismo internazionale. Tony Blair ha dichiarato che bisogna eliminare le sue cause profonde: la repressione non basta. Il premier britannico lo ha detto anche perché, nelle ultime votazioni, ha rischiato di perdere la poltrona, dato il coinvolgimento armato della Gran Bretagna in Iraq.
La risposta militare ad azioni terroristiche annienta vite in Iraq e Afghanistan, con una instabilità che potrà durare anni. È necessaria una riflessione critica sugli atti di violenza e ingiustizia che alienano milioni di uomini e donne in tutto il mondo. «La pace si costruisce giorno per giorno nel perseguimento di un ordine voluto da Dio, che comporta una giustizia più perfetta tra gli uomini» Populorum progressio 76).
Noi abbiamo sempre creduto nella trattativa politica e nel dialogo. Però il dialogo non è praticabile con chi parla solo seminando morte e terrore. Ma questo non deve scoraggiare; invece deve intensificare lo sforzo per interloquire con chi, specie nel mondo arabo e islamico, persegue cammini di convivenza, di equa ripartizione delle risorse (patrimonio dell’intera umanità), di solidarietà. Una sfida gigantesca.
Pare che persino Gesù non fosse sempre solidale con gli stranieri. A una madre, sirofenicia, che gli chiese di soccorrere la figlia indemoniata, replicò con arroganza: «Non è giusto buttare ai cani il pane dei figli». «È vero, Signore – replicò la donna -. Ma i cani, sotto la tavola, non possono mangiare le briciole dei padroni?». E Gesù fu sconfitto da «un’extracomunitaria infedele» (cfr. Mt 15, 21-28).
Francesco Beardi

Francesco Beardi

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