DOSSIER CINEMA AFRICANO Film

Cinquant’anni di cinema a sud del Sahara

All’inizio furono film di propaganda coloniale. Poi, negli anni che preparano le indipendenze, nascono le prime pellicole autenticamente africane. Che mostrano l’identità culturale e le profonde aspirazioni dei pionieri. Con un unico obiettivo: la decolonizzazione degli schermi.

La storia del cinema d’Africa nera è allo stesso tempo antica e recente. Molto antica se ci si riferisce ai film d’ispirazione africana, ovvero girati in Africa e aventi il continente come tema. A 10 anni dalla nascita della cinematografia (1895), inizia il cinema coloniale (1905) e in seguito quello «etnografico».
Attraverso questi tipi di cinema gli occidentali hanno impostato il loro sguardo sulla rappresentazione dell’Africa a partire dagli africani. Per il colonizzatore gli africani hanno iniziato a fare cinema nel 1929 con il film Samba, qualificato dalla stampa dell’epoca come il primo film francese fatto da neri.

Le origini
Il secondo periodo, più recente, inizia negli anni ’50 con la crisi coloniale e il movimento per l’indipendenza. Il 1955 è un momento fondamentale per la storia dei rapporti tra i popoli colonizzati di Africa e Asia. La conferenza di Bandoeng (Indonesia) permette ai popoli di rivendicare i propri diritti all’emancipazione e valorizzazione della loro immagine.
Gli intellettuali africani, in particolare gli scrittori, non sono rimasti al margine di questa rivendicazione e hanno fatto sentire la loro voce. Un gruppo di studenti dell’Africa subsahariana, amanti del cinema, fondò nel ’52 il «Gruppo africano del cinema». Ne facevano parte Paulin Soumanou Vieyra (1925-1987), Jaques Mélo Kane, Robert Cristan e Mamadou Sarr (1926- 1990). Per loro «non c’era dubbio che solo la sovranità nazionale dei paesi africani avrebbe permesso l’espressione cinematografica della realtà autenticamente africana».
In questo spirito e contesto fu realizzato da Paulin Soumanou Vieyra e i suoi amici il primo film dell’Africa nera: Afrique sur Seine (Africa sulla Senna), interamente girato e montato da africani su una realtà africana: la vita dei neri a Parigi. Tale data è legittimamente considerata l’inizio di una vera appropriazione della propria immagine da parte degli africani.
Alcune fonti considerano il 1937 come anno del primo film africano, con il documentario La morte di Rasalama del malgascio Raberono; altri citano il 1953 con la realizzazione di Mouramani del guineano Mamdi Touré, come anno di nascita del cinema africano. Queste opere sono oggi introvabili e non si sa se le équipes di realizzazione erano interamente africane.
Ciononostante, gli storici del cinema ammettono che il 1955 segna veramente l’inizio della storia del cinema africano. «Il cinema dell’Africa nera non ha cominciato la sua vera crescita che sotto il sole delle indipendenze» e si è particolarmente sviluppato nel corso degli anni ’70. Mentre negli anni ’80, una tendenza al rinnovo delle forme estetiche e narrative si manifesta e contribuisce al riconoscimento internazionale verso questo cinema.

Il grande vecchio
I due primi decenni sono segnati dai film girati in Senegal e il realizzatore Sembène Ousmane impone il suo stile. Sviluppa temi come le difficoltà della gente del popolo in Borrom sarret (1963), considerato come il primo cortometraggio autenticamente africano; denuncia il neocolonialismo in La noire (1966), considerato come il primo lungometraggio di fiction, denuncia la nuova borghesia africana in Xala (1974).
Il contrasto tra tradizione e modeità è trattato in Kodou di Ababacar Samb Makharam (1971) e in Muna moto (1975) di Dikongué Pipa del Camerun, mentre in Concerto per un esilio di Désiré Ecaré della Costa d’Avorio (1968) descrive gli strascichi della decolonizzazione.
Dalla fine degli anni ’60 fino all’inizio degli ’80, i cineasti liberano la loro immaginazione per proporre al pubblico altri generi e altre forme narrative: parodia weste in Le retour d’un aventurier (1966) di Oumarou Ganda del Niger; commedia in Boubou cravate (1973) e Pousse-pousse di Daniel Kamwa, Camerun; melodramma in Love brewed in the african pot di Kwah Ansah del Ghana (1980); film d’azione con Cameroun connection di Alphonse Béni (Camerun, 1985); film musicali come Naitou di Moussa Kiémoko Diakité della Guinea (1982) e Adjan ogun di Ola Balogun della Nigeria (1975). Solo per citae alcuni.

Nuove tendenze
La rottura con una forma narrativa classica per una ricerca formale arriva con Touki Bouki di Djibril Diop Mambéty nel 1974. Questa tendenza alla quale sembra identificarsi la nuova generazione di cineasti dell’Africa nera, che emerge poi dagli anni ’90, non rimette in causa la caratteristica fondamentale di un cinema in presa diretta con le realtà quotidiane degli africani.
I cineasti di tutte le generazioni che continuano a raccontare l’Africa nonostante le crescenti difficoltà di finanziamento, restano animati da un’ambizione vecchia di 50 anni: decolonizzare la cultura dell’immagine. •

*Clément Tapsoba, burkinabé, è giornalista e critico cinematografico al Fespaco e presidente della Federazione africana dei critici di cinema (Facc). (Articolo liberamente tradotto da M. Bello).

Marco Bello