Nonostante i mutamenti politici raggiunti per via violenta, nei paesi dell’America Centrale la situazione rimane intollerante. Unica via d’uscita per generare un cambiamento sociale e politico è senza dubbio la resistenza popolare, legata alla disobbedienza civile non violenta.
In El Salvador, dopo 30 anni di violenza e centinaia di migliaia di morti sono stati firmati gli accordi di pace nel 1992. A 13 anni da quella data, il paese si trova di fronte all’imposizione di una serie di megaprogetti, dannosi per la maggioranza delle popolazioni. A opporsi o limitare i danni di questi megaprogetti ci sono varie organizzazioni come il Cripdes (Comunità rurali per lo sviluppo di El Salvador) e Compa (Convergenza di movimenti dei popoli delle Americhe).
Marta Lorena Araujo Martines è una delle responsabili della Compa, cornordinamento di 75 organizzazioni della società civile di tutta l’America Centrale. Inoltre essa è cornordinatrice del Cripdes, che raggruppa 42 organizzazioni sociali e contadine di El Salvador.
«Il cornordinamento della Compa – spiega Marta Araujo – ci permette di essere in contatto con tutte le organizzazioni affiliate in America Latina e molte altre associazioni che condividono i nostri stessi obiettivi: organizzazione, mobilitazione, lotta e ricerca di alternative ai grandi problemi che vivono i nostri paesi. Inoltre rappresento il Cripdes, che è un’organizzazione salvadoregna, nata nel 1984 per far fronte all’emergenza dei profughi causata dal conflitto armato. In quel frangente ci impegnammo soprattutto per far sì che la popolazione civile fosse considerata come popolazione non combattente e non come obiettivo militare da parte dell’esercito e della polizia militare. Abbiamo lavorato con le comunità contadine perché venissero rispettati i diritti umani, economici, sociali e culturali. Fu un periodo molto duro e difficile per il paese.
Attualmente continuiamo a cercare alternative alla situazione attuale; per questo facciamo parte della Compa, cioè dei vari movimenti sociali dell’America Latina, che vogliono crescere dal basso e diventare forti per affrontare le politiche nefaste dei trattati liberisti che irrompono nella vita dei nostri popoli».
Le politiche che investono i paesi centroamericani si chiamano: Piano Puebla Panama (Ppp) e Area di libero commercio delle americhe (Alcala). I due organismi sono strettamente legati. Affinché l’Alcala, il trattato di libero commercio, possa funzionare con efficienza, il Ppp deve provvedere le infrastrutture necessarie: fare strade, ristrutturare porti, costruire zone franche o maquilas lungo tutta l’America Centrale.
Nella realizzazione di tali strutture, però, occorre il «capitale umano». Per questo il Ppp è impegnato a «spostare» migliaia di persone dalle zone rurali verso i grandi centri urbani, senza nessun rispetto per le popolazioni indigene e contadine, costrette ad abbandonare la propria terra e le tradizioni millenarie, per diventare operai di maquilas, mano d’opera «addomesticata dalla povertà».
E tutto avviene con il consenso dei governi neoliberali che, più che rispondere alle aspettative della propria gente, obbediscono alle politiche degli Stati Uniti, il cui governo sta forzando in tutti i modi il trattato del libero commercio.
«Le infrastrutture e megaprogetti del Ppp rendono sempre più vulnerabile la situazione della popolazione delle aree rurali – continua ancora Marta Araujo -. Non è assolutamente vero che tali infrastrutture porteranno sviluppo, come viene detto dalle pubblicità che ci fanno vedere e ascoltare.
Nel caso di El Salvador, oltre alla ristrutturazione di porto Cutucu e a nuove strade, il Ppp costruirà due dighe. Entrambe sono progettate con una precisa strategia che prevede l’espulsione dalle aree rurali di oltre 55 mila famiglie indigene e contadine, spingendole a emigrare verso le aree urbane perché diventino operai nelle zone franche o maquilas.
In questo modo verrà distrutta ogni organizzazione e unità comunitaria; saranno consegnati titoli di proprietà individuali, smembrando così l’economia collettiva; saranno introdotti i semi geneticamente modificati (Ogm), con effetti devastanti sull’agricoltura locale e sicurezza alimentare: essi fanno sparire il seme “autoctono”, pazientemente “addomesticato” dai nostri antenati per millenni.
I progetti del Ppp non riguardano solo El Salvador, ma anche Guatemala e Messico. Nella regione nicaraguense di El Petén e nel sud del Messico, si vogliono costruire 30 dighe, che spingeranno 10 milioni di indigeni a diventare operai nelle maquilas, oltre a porre fine in questo modo alla resistenza indigena del Chiapas.
Il processo di attuazione non tiene in nessuna considerazione la cultura ancestrale dei popoli indigeni che vivono in quelle zone del Messico da più di 5 mila anni. Il Ppp è una minaccia per tutti e non può che generare più povertà, più instabilità sociale e più disperazione nei popoli centroamericani».
Di fronte alla pressione Usa per implementare l’Alca, cresce la resistenza non solo da parte dei movimenti della società civile latinoamericana, ma anche da parte di vari governi, come Costa Rica, Brasile, Argentina e Venezuela.
«L’Alca avrebbe potuto funzionare se ci fosse stato un processo democratico di consultazione tra tutti i settori sociali dell’America Latina – afferma Marta Araujo -, ma così non è stato. Al contrario, si è trattato di un processo favorito dai politicanti di una ristretta élite al potere in alcuni paesi. È chiaro che quanti hanno intenzione di imporre l’Alca vogliono garantire soltanto il proprio benessere, a scapito della stragrande maggioranza della popolazione, condannata all’estrema povertà.
Ma a fae le spese sono soprattutto i popoli dell’America Centrale, che sono i più vulnerabili. Per questo ci opponiamo energicamente ai trattati liberisti come quello dell’Alca e del Ppp, perché siamo convinti che questi progetti ostacoleranno lo sviluppo umano di tutte le popolazioni dell’America Centrale».
Josè Carlos Bonino