DOSSIER ZAMBIAPaese di contrasti
Un ricco passato grazie alle miniere di rame, un povero presente a seguito di scelte politiche sbagliate, un futuro reso incerto dall’incidenza dell’Hiv: questo è lo Zambia, la cui capitale, Lusaka, è tutto e il contrario di tutto. Ville circondate da alte mura vivono accanto alle casupole dal tetto di lamiera. A separarle, le strade sterrate e piene di solchi dei compound, le bidonvilles africane, che i pulmini affrontano con sussulti e rigurgiti. Di là le belle case, con portico e giardino e norme igieniche adeguate. Di qua, una realtà fatta di privazioni: niente acqua potabile, niente luce elettrica, niente scuole, niente presidi sanitari. I bambini giocano con i piedi nelle fogne.
Non siamo nella periferia, siamo nel centro della città. La povertà dei quartieri di Matero, Lilanda, Kalingalinga… convive con la ricchezza di via dell’Indipendenza. Un’indipendenza doppia, perché questa parte si è affrancata prima dalla colonizzazione poi dalla miseria.
Ai lati delle strade la maggior parte della gente va a piedi, portando in testa un fagotto con l’essenziale. Povera umanità che percorre chilometri per andare al mercato; chilometri la mattina presto per andare a messa.
Uomini, donne e bambini sfilano silenziosi davanti alle vetrine delle concessionarie, che tengono in bella mostra gli ultimi modelli della Mercedes. Ma nessuno potrà mai permettersi un’automobile con l’economia informale: pochi frutti della terra venduti dietro a banchetti improvvisati o seduti sui marciapiedi. Il governo chiude un occhio sulle norme igieniche non rispettate, sulle licenze inesistenti. Le tasse nell’erario dello stato entrano grazie ai due enormi centri commerciali situati poco più in là. Vendono proprio di tutto. Uno shampoo costa sugli 8 euro; una famiglia del compound vive con meno di un euro al giorno.
Lo Zambia è un paese dove esiste la corruzione, ma esiste anche la denuncia. È un paese dove il gran numero di nascite non riesce a compensare la mortalità infantile; dove i bisogni minimi non sono assicurati. L’educazione pubblica si affianca a quella delle scuole parrocchiali; gli 8 euro all’anno a testa stanziati dal Ministero della salute sono un’inezia. Per fortuna ci sono i missionari e le organizzazioni inteazionali che cercano di garantire un minimo di assistenza sanitaria a tutti. I volontari suppliscono alla carenza di personale medico.
Prevenire l’Hiv è la parola d’ordine dei manifesti lungo le strade, ma non tutta la gente è in grado di leggere. Lo sanno bene i pubblicitari di professione; così, accanto, i cartelli che promuovono coca-cola e telefonini, utilizzano le immagini: donne fascinose dagli abiti eleganti. Anche questo stride.
Nei locali di ritrovo i ballerini coinvolgono il pubblico con i loro movimenti sensuali. Gli zambiani la musica ce l’hanno dentro. E la portano anche nelle chiese dove, con chitarre e maracas animano le messe. Al ritmo degli spiritual, esprimono la loro interiorità. Ecco che il profano ha lasciato il posto al sacro.
È calda l’estate zambiana, la terra inaridisce, la vegetazione appassisce. Fino a che sopravvengono le piogge torrenziali. Acqua, benedetta o maledetta. Quell’acqua, elemento primordiale che da sempre porta la vita, qui porta la morte, porta il colera.
Non c’è molto turismo in questo paese, ma non si può dire che non ci sia scelta. Chi va in ostello e chi all’Hotel Continental, solo 400 stanze e un ingresso fiabesco. E per chi ancora non si accontenta, basta scendere a Livingston: 600 chilometri ben vengano per dormire all’Hotel Royal, 600 euro a notte, naturalmente sempre a un passo dal compound. Nell’hotel i bianchi, nel compound i neri.
Lo Zambia è un paese complesso. Secondo un missionario servono almeno tre anni per raccapezzarsi: il primo si impara a respirare; il secondo a capire; il terzo si può cominciare a fare qualcosa.
Romina Gobbo