LETTERE – Cari presidi, cari professori

Non dubito che la realtà adolescenziale e giovanile in Italia sia quella illustrata nell’ottimo dossier di gennaio 2005; vorrei ricordare che, quantunque in minoranza, esistono dei ragazzi e delle ragazze che il vortice dell’individualismo e del consumismo non è ancora riuscito a risucchiare.
A questa minoranza il mondo dei genitori, insegnanti, medici, sacerdoti, catechisti non può limitarsi a dare benevole pacche sulle spalle e a sussurrare frasi tipo «tenete duro», «non abbiate paura», «non fatevi influenzare», «pregate per i nostri compagni più fragili»…
Gli adulti devono dimostrare concretamente e quotidianamente che, per loro, gli ideali coltivati in gioventù sono validi anche oggi e quel patrimonio di conoscenze tecniche, scientifiche, artistiche, religiose ereditato dalle generazioni passate è in larghissima parte degno di essere trasmesso anche alle generazioni future.
Senza entrare in polemica con alcuno, rimango perplesso quando sento che certi presidi, avendo a che fare con abiti succinti, piercing, tatuaggi degli alunni e con comportamenti troppo disinvolti da parte del personale della scuola, si rifugiano dietro lo slogan «la scuola non è la chiesa, i professori non sono missionari».
Questo tipo di ironia sulla chiesa è sempre molto comoda: la probabilità di una replica, anche blanda, è bassissima; invece rimproverare certe ragazze perché si conciano male, o certi professori o bidelli perché fumano, bestemmiano, usano un linguaggio triviale, non fanno nulla per limitare le conversazioni al cellulare a tempi e modi più dignitosi e consoni al normale svolgimento dell’attività didattica… è maledettamente imbarazzante; c’è sempre la possibilità che qualcuno ne abbia a male e si rivalga da par suo.
Forse non ci si rende conto che, quando per timore di brutta figura, si rinuncia a dire che il piercing è nocivo e i tatuaggi non sono così necessari, che scoprire pancia, spalle, schiena, torace può far venire qualche grave malanno, in realtà se ne fa una ancora più brutta…
Come può la scuola «educare al benessere fisico e spirituale, all’accettazione di sé, alla frugalità e a comportamenti che rispettino l’ambiente» (da anni i ministri della P. I. inondano le scrivanie dei presidi con materiale didattico su tali tematiche), se i suoi dirigenti e docenti non hanno il coraggio di spiegare la differenza tra estate e inverno, tra esibizionismo e decoro, tra ciò che fa bene e ciò che fa male al corpo… per paura delle reazioni che potrebbero avere i colleghi «aperti», i ragazzi «problematici», i genitori «sempre col fucile puntato», il personale non docente «facile ai fraintendimenti»?
Come «educare alla legalità, pace, rispetto dei diritti delle minoranze e di tutte le forme di vita», senza chiarire il concetto che tutto questo passa anche (se non soprattutto) attraverso il rifiuto dell’effimero, superfluo, non essenziale e adozione di stili di vita più sobri, più sani, più razionali?
Cari presidi e cari professori, se per «chiesa» intendete quella clericocentrica (giustamente bacchettata anche da Giovanni Paolo ii), materialista, sprecona o, peggio ancora, compromessa con i potenti e violenti, quella che benedice armi, guerre, stragi e genocidi, allora è un grande bene che la scuola non sia come la chiesa; ma, se per «chiesa» intendete (e non potete non intendere) quella cristocentrica, dei missionari, suore, volontari laici, che ogni giorno rischiano la vita per servire Dio e i fratelli, potete solo augurarvi, per il bene vostro e dei vostri alunni, una sempre maggiore collaborazione e unità d’intenti tra scuola e chiesa.
Giovanni De Tigris
Urbino (PU)

Giovanni de Tigris