Tempo fa, sulla facciata della cattedrale di Cueavaca (Messico) fu appeso uno striscione che diceva: «Il mondo è diviso in oppressi e oppressori: tu da che parte stai?». Di fronte alle ingiustizie che colpiscono buona parte dell’umanità, l’interrogativo s’impone anche oggi e, soprattutto, invita a uscire dalle nostre ambiguità, per schierarci sempre più al fianco di chi, oggi come 2000 anni fa, è messo in croce da quanti vogliono mantenere l’ordine e la legge, a cui sta più a cuore la legge del sinedrio e dell’impero.
La scelta di campo non è facile, soprattutto quando tali ambiguità si nascondono sotto l’orpello religioso e la fede viene messa a servizio dell’ideologia del potere. Ne è un esempio quanto è capitato negli anni ’60-’70 del secolo scorso in America Latina: regimi militari, guidati da dittatori «cristiani», hanno massacrato, torturato, perseguitato, ucciso vescovi, preti, suore e migliaia di inermi catechisti e laici impegnati… per difendere la cosiddetta «civiltà cristiana».
È la logica di chi pretende d’impersonare l’impero del bene per opporsi all’impero del male. Una logica trionfante, oggi più che mai, non solo oltre oceano, dove, per indicare l’uso strumentale della religione è stato coniato il neologismo theocon (da theological conservative), cioè coloro che mettono la teologia a servizio di un’ideologia conservatrice.
V ari intellettuali, giornalisti, opinionisti e politici nostrani si sono subito definiti «teocon» (teoconservatori); termine poi tradotto, con un italiano più comprensibile, in «atei devoti» e «cristiani atei». (Oriana Fallaci, per esempio, si professa così: «Io sono un’atea cristiana. Sono cresciuta nella filosofia cristiana. Ma non credo in ciò che indichiamo col termine Dio»). Anche tanti credenti, definiti «cristianisti», nutrono le idee dei teocon.
Pur con i dovuti distinguo, tutti hanno in comune l’uso della religione per fini politici: con spirito da crociati, difendono il cristianesimo e la civiltà cristiana, identificati con l’Occidente, contro l’invasione islamica e rimproverano quei cattolici che si mostrano tiepidi nello «scontro di civiltà».
I teocon più seri parlano di «religione civile». Ne è un esempio il nostro presidente del Senato: egli si rammarica che nella Costituzione europea non sia stato inserito il riferimento alle «radici cristiane»; anzi, lo giudica quasi un suicidio; esalta il cristianesimo, i suoi valori, il messaggio evangelico e combatte il relativismo, nichilismo e scetticismo da sembrare un santo padre; per poi proporre una «religione civile» e auspicare una «religione cristiana non confessionale», in cui possano riconoscersi anche i non credenti. «Oggi, noi liberali non dobbiamo limitarci a dire “non possiamo non dirci cristiani” – spiega il presidente, citando Benedetto Croce -. Adesso “dobbiamo dirci cristiani”. E tutti gli europei dovrebbero dirlo. Soprattutto i laici… Oggi, nell’accezione comune, laico vuol dire non credente o addirittura ateo».
Svuotata di ogni trascendenza, la «religione civile» riduce la fede cristiana a ideologia, col compito di compattare la società civile, salvaguardare la cultura e l’identità nazionale, dare supporto etico allo stato ormai orfano di valori: un «supporto d’anima» che non influisce, però, negli orientamenti e scelte concrete di un mondo regolato dall’idolo del mercato.
È una seduzione insidiosa e pervasiva anche per la comunità cristiana. Non sono pochi a pensare che la fede non possa sostenersi senza l’appoggio dei poteri, senza politiche culturali, senza organicità sociale che la presidi e la difenda; senza cioè diventare civiltà cristiana o religione civile.
Sollecitata dalle attese dei politici, riconosciuta, applaudita e a volte ricompensata da Cesare per la sua utilità sociale, la chiesa è tentata di ricostruire un cristianesimo solido e misurabile, di ritornare a essere forza di pressione, anche se numericamente minoritaria, di recuperare gli spazi lasciati vuoti dal crollo delle ideologie.
Cedere a tale tentazione equivale a ridurre la chiesa a una lobby etico-sociale, incapace di essere profezia, «sentinella della libertà, della giustizia e della pace» (Giovanni Paolo ii). Un rinnovato «ethos mondiale», affermava il card. Ratzinger, ora Benedetto xvi, non può nascere a tavolino… da pur nobili auspici intellettuali; ma può sorgere solo da «minoranze creative»: cioè cristiani convinti, uomini e donne che abbiano fatto l’incontro decisivo con Cristo come Salvatore, che si nutrano dei sacramenti amministrati dalla chiesa, nella quale riconoscano «la forza da cui sgorga la vita spirituale».
Parafrasando lo striscione di Cueavaca, possiamo domandarci: «Il mondo si divide in teocon, atei devoti, cristiani atei, cristianisti e cristiani convinti: io da che parte sto?».
Benedetto Bellesi
Benedetto Bellesi