Non è un ricovero, né un ospizio, né un ospedale camuffato. Non ha nomi fasulli. Non chiede «rette», né contributi pubblici. A Genova, abbiamo visitato la casa per anziani delle «Piccole sorelle dei poveri». E…
A Genova, in via Corridoni 6, abbiamo trovato una perla: un luogo di accoglienza per anziani che non è un ricovero, né un ospizio, né un ospedale camuffato e non ha nomi fasulli. Non è nulla di tutto ciò che siamo abituati a vedere quando si parla di ricoveri per anziani… È semplicemente una casa che gli stessi anziani chiamano «casa mia», perché non sono ospiti paganti o posteggiati in attesa della morte, ma persone che vivono godendo ogni giorno di tutte le opportunità che la vita offre, anche nella lentezza del tempo e del camminare propri della vecchiaia. Abbiamo incontrato persone anziane giorniose e allegre nella loro vecchiaia.
Siamo stati liberi di visitare tutti i locali, d’incontrare gli anziani, di chiedere quello che volevamo, senza alcuna limitazione. Abbiamo conversato con Esperia, Rosa, Amelia. E con Giacomo di 100 anni e 4 mesi, ancora sulla breccia a coltivare il giardino e a potare rose. Tutti ci hanno detto, con il sorriso nel cuore e sul volto, che non si sentono in «ricovero», ma a «casa mia».
Siamo rimasti impressionati dalla vitalità e dalla gaiezza di questi «vecchietti» affatto in riposo, perché ognuno di loro partecipa alla gestione della casa con un ruolo personale, secondo le capacità anche fisiche.
L’edificio, costruito all’inizio del secolo scorso, si innalza su tre piani e ad ogni piano vi sono camerette singole o doppie, sale d’incontro e una sala da pranzo per piano. Non esiste un refettorio unico, dove radunare tutta la «truppa», ma si mangia a gruppi, per piano, come in una famiglia allargata. I tavoli sono a 4 posti e sono i normali tavoli che si trovano nelle sale delle nostre famiglie. Nulla richiama un collegio o un ospizio. Le sale sono preparate dagli stessi anziani e la cura anche nei minimi particolari dimostra la sensibilità e l’attenzione che tutti hanno.
Suor Maria Rosa, come si chiama la casa in cui ci troviamo?
«Istituto “Piccole sorelle dei poveri”. In alcune case è stata aggiunta anche la dizione “Casa mia”, perché non vogliamo che sia un ospizio, ma ogni anziano deve poter dire: qui è “casa mia”. Questa aggiunta non è un vezzo, ma esprime una realtà perché veramente gli anziani che vivono con noi sentono la casa come “casa loro”. È un’esperienza che viviamo quando gli anziani per qualsiasi motivo vanno fuori, presso parenti e spesso dicono: “No, no, portatemi a casa mia”».
Qual è il motivo del nome «Piccole sorelle dei poveri»?
«È il nome originario, voluto fin dall’inizio dell’opera (1839) dalla nostra fondatrice, Jeanne Jugan, che ha pensato a noi come “Sorelle degli anziani poveri”».
Ci sta dicendo che siete nate per servire come sorelle i poveri, specialmente gli anziani?
«Sì, esattamente. Siamo nate per accogliere gli anziani soli e poveri. La nostra congregazione formata oggi da oltre 3 mila sorelle e sparsa in tutti i 5 continenti, ha un’opera unica: assistere gli anziani e in particolare gli anziani poveri, di cui vogliamo essere ”sorelle”, come in una famiglia».
Voi per accettare qualcuno ponete una condizione: deve essere veramente povero. Cosa vuol dire «povero»?
«Non avere troppi soldi. In poche parole, essere veramente povero» (il tono della voce di suor Maria sottolinea il «veramente povero»).
Facciamo un esempio: se una persona anziana possiede uno o due appartamenti frutto del risparmio di una vita per assicurarsi una buona vecchiaia voi non lo accettate?
«Di regola, no».
Cosa gli consigliate?
«Di cercarsi un’altra soluzione dove può impegnare i suoi averi e goderseli».
Se una persona anziana vi dicesse: io vi dò i miei appartamenti o i miei averi in cambio della vostra assistenza fino alla morte, voi cosa fate?
«Abitualmente non accettiamo, perché se accettassimo, piano piano diventeremmo le “Piccole sorelle dei ricchi”. Ospitiamo circa 80 persone e, se tutti avessero uno o due appartamenti o risparmi per centinaia di migliaia di euro…, noi ci troveremmo a gestire un patrimonio enorme e verremmo meno all’ideale della fondatrice che ci volle espressamente “Sorelle dei poveri”. Non dobbiamo, non possiamo aiutare chi ha sufficienti mezzi di vita. Noi esistiamo per aiutare coloro che non hanno mezzi per sostenersi: i poveri, senza appartamenti, senza rendite e a volte anche senza pensione».
Vi rendete conto che siete una mosca bianca in mezzo ad un sistema di interesse economico che ruota attorno alla vita degli anziani, dal momento che le case per anziani sorgono dovunque e a costi enormi?
«Sì, lo sappiamo, ma sappiamo anche che nessuno ci crede… (le due sorelle sorridono come chi ne ha sentite tante). Nessuno crede che la nostra vita è vivere di carità perché oggi la gente crede che tutto si fa per i soldi. Si è smarrito il senso della gratuità. Le persone che vengono qui (forse pensano di dovere discutere sulla “retta” e tirare allo sconto), si meravigliano che non facciamo questione di soldi, perché non esiste “retta” o mensile, ma poniamo l’unica condizione essenziale per noi: che la persona richiedente sia veramente povera».
A questo punto abbiamo smarrito tutte le domande che avevamo preparato e restiamo in silenzio davanti a queste due donne, apparentemente fragili, ma solide nella loro chiarezza e ispirazione. Ci viene voglia di alzarci e andarcene in silenzio perché abbiamo la consapevolezza che ogni parola in più sia inutile e superflua. Ci sentiamo catapultati in un altro mondo e ci vengono in mente le parole di Gesù a Pilato in Gv 18,36: «Il mio Regno non è di questo mondo».
In mezzo ad una città che vive una vita frenetica all’inseguimento del denaro; con mezza città che cerca di vendere (non importa cosa) all’altra mezza che deve comprare e tutto ruota attorno ai soldi, senza i quali la vita non si capisce, queste due donne che non sanno di economia, non sono esperte di macrosistemi, non conoscono le leggi del mercato, con la loro scelta di vita non solo contestano, ma stravolgono il sistema economico che ci vuole adoratori del moloch denaro e servi delle leggi di mercato dentro il perverso sistema capitalistico che avvantaggia i ricchi e schiaccia i poveri.
Qui, davanti a queste due «sorelle dei poveri», Maria Rosa e Antonina, si capisce l’importanza e la forza della nudità delle parole di Gesù: «Non potete servire a due padroni… non potete servire Dio e Mammona» (Lc 16,13).
Le sorelle devono capire il nostro disagio perché ci vengono in soccorso e suor Maria Rosa, la superiora, aggiunge:
«Per statuto non possiamo avere convenzioni con gli enti pubblici e non possiamo accettare contributi statali per il nostro servizio, non abbiamo rette, ma da 165 anni serviamo gli anziani poveri come ha cominciato la nostra fondatrice, quando nell’inverno del 1839 prese con sé una vecchia abbandonata e mezza morta di freddo e le diede la sua stanza e il suo letto; e poi una seconda vecchia e poi un’altra… senza fine. Per mantenere queste persone e garantire loro una dignità elevata, prestò servizio presso alcune famiglie, ma il suo lavoro non bastava e allora… si fece questuante e cominciò a chiedere l’elemosina, in base al principio che se Dio manda i poveri, Dio stesso se ne prenderà cura attraverso la disponibilità di anime buone e generose. Chiedere l’elemosina significa non avere sicurezze di alcun genere e dipendere totalmente da Dio attraverso la carità del prossimo».
Ci state dicendo che vi mantenete con la questua che chiedete ogni giorno?
«Gli anziani che vivono con noi contribuiscono al loro mantenimento come a casa loro: danno la loro pensione (quasi sempre la minima) tranne il 10% che resta a ciascuno per le piccole spese personali, ma la pensione non basta per la gestione di una casa grande con tante persone per cui quello che manca è integrato dalla questua che due sorelle ogni giorno vanno a chiedere per la città. Abbiamo avuto una persona che ha vissuto qui per oltre un anno senza pensione perché non ne aveva l’età: era ed è un vero povero e aveva diritto di stare con noi».
Avete dei benefattori?
«Sì, abbiamo famiglie amiche che ci aiutano con un impegno mensile. Altri benefattori ci aiutano in tanti altri modi: per esempio, al mercato generale di frutta e verdura con i generi alimentari, offerte tramite CCP o, a volte, con qualche lascito… La fantasia della carità è inesauribile e noi lo sappiamo da 165 anni. Se siamo arrivati fin qui, vuol dire che “il trucco” funziona. Per questo dobbiamo essere “Sorelle povere”, perché il giorno in cui diventassimo “ricche”, questo flusso di grazia e di generosità si seccherebbe. Il senso della nostra opera e della nostra vita poggia tutto sulla Provvidenza, nella quale crediamo e della quale vogliamo vivere noi e gli anziani che il Signore manda a noi».
Qual è il segreto, oltre il carisma della fondatrice, per mantenere una realtà complessa come la vostra così a lungo?
«La fiducia, la fiducia che la nostra madre ha avuto nella Provvidenza e che ha trasmesso a noi e che noi cerchiamo di custodire con scrupolo. Le due sorelle che ancora oggi vanno fuori a chiedere l’elemosina sono anche l’espressione di questa continuità con la nostra madre perché come lo fu per lei, anche per noi la questua è un atto di fede in Dio e nel prossimo».
Dovete vedee di tutti i colori, immaginiamo!
«A volte, ma non importa. (suor Maria Rosa s’illumina e aggiunge:) Un giorno la nostra fondatrice uscì a chiedere l’elemosina e un signore le diede uno schiaffo, ma lei senza scomporsi rispose: “Signore, questo schiaffo è per me. Ora, la prego, mi dia qualcosa per i poveri”. Ecco, questo deve essere lo stile, se vogliamo vivere il vangelo».
E riuscite a fare fronte a tutte le spese necessarie per adeguarvi alle severe normative di legge?
«Abbiamo sempre difficoltà che è quasi la regola con cui il Signore ci mette ogni giorno alla prova, se veramente vogliamo dipendere totalmente da lui. Siamo state obbligate a fare lavori straordinari di adeguamento alle normative imposte dallo stato e i costi sono stati elevatissimi. A Milano, per esempio, non potendo sostenere simili spese, siamo state obbligate a chiudere la casa. Ogni tanto riceviamo una spinta, quasi un colpo d’ala che ci permette di fare qualcosa di più: un benefattore che morendo ci lascia un appartamento o qualcosa che noi vendiamo subito per impegnare il ricavato in quello che serve. Cose di questo tipo».
Possiamo dire che il fulcro del vostro sistema economico resta la questua (e la sua implicita provvisorietà) per le strade o tra le famiglie amiche?
«Per capire questo bisogna sapere che della nostra fondatrice non possediamo né scritti né opere né carte di alcun genere. Abbiamo solo una firma col nome di religiosa, suor Maria della Croce, posto in un atto del capitolo generale del 19 giugno 1865, quando fu chiamata a dirimere la questione che angustiava la congregazione: accettare rendite perpetue o rifiutarle. La fondatrice senza esitazione indica la rotta da seguire e il consiglio invia una circolare a tutte le case: “La congregazione non potrà possedere nessuna rendita, nessun introito fisso”. Questa decisione significava rinunciare immediatamente ad un lascito perpetuo di 4.000 franchi dell’epoca».
Quali sono i criteri dell’accoglienza?
«Come già detto, la nostra opera è unica e quindi possiamo accogliere solo anziani, singoli o in coppia, purché siano poveri. Soltanto per i poveri abbiamo il diritto di chiedere l’elemosina, e i 5 euro (o anche meno) che riceviamo in elemosina dobbiamo sempre spenderli per loro».
Chi è l’anziano «tipo» che chiede di vivere con voi?
«Inizialmente entrano anziani autosufficienti, che naturalmente restano qui fino alla morte, per cui se diventano non autosufficienti li assistiamo secondo le necessità. L’autosufficienza iniziale è importante perché aiuta l’anziano ad inserirsi in un ambiente che per quanto gradevole e sereno è sempre una novità da scoprire e accettare».
Il personale che assiste gli anziani come è composto?
«Siamo più di 3.000 sorelle sparse in tutto il mondo, tranne dove c’impediscono di fare le questuanti. In questa casa, a Genova, siamo 13 sorelle di cui alcune anziane e 32 dipendenti laici estei stipendiati che si occupano della lavanderia, della cucina, delle pulizie e dell’assistenza a 80 anziani, 45 donne e 35 uomini più tre coppie di sposi che vivono insieme e anche due anziani sacerdoti, un lombardo e un sanremese. Attualmente in Europa la chiesa attraversa una crisi di vocazioni, e così anche la nostra congregazione, mentre abbiamo vocazioni in India, Colombia, Cile, Filippine, America, Africa, ecc.».
Il rapporto tra personale e anziani è 1 a 2. Nemmeno negli alberghi di lusso si ha un rapporto così ottimale.
«Noi garantiamo un’assistenza 24 ore su 24 e per noi l’anziano è sempre al primo posto, al posto d’onore. Teniamo molto all’igiene personale e alla pulizia dell’ambiente, di ogni ambiente e questo esige presenza e attenzione. Tra il personale vi sono anche infermieri, perché gli anziani hanno sempre qualche problema di salute».
Vivono in stanze singole o multiple?
«Abbiamo 48 camere singole e 16 doppie molto grandi. Quasi tutti gli anziani autosufficienti vivono nelle singole. Gli ammalati e quelli che necessitano di assistenza particolare sono nelle doppie. Ognuno ha personalizzato la camera con i propri mobili, compreso il letto e l’arreda secondo il proprio gusto».
Qual è la giornata tipo dell’anziano in questa «casa mia»?
«Riguardo alla giornata, al mattino ognuno si alza quando vuole: chi si alza alle 6,00, chi alle 7,00 o alle 8,00. Non c’è un orario comune. La colazione si consuma tra le 8,00 e le 9,00. Mano a mano che gli anziani si alzano le sorelle aiutano coloro che ne hanno bisogno o quelli che non possono muoversi a fare colazione. C’è chi sistema le sale da pranzo, chi va’ fuori per commissioni come andare in farmacia, alla posta, ecc.; chi va’ nel laboratorio di cucito dove si sistema la biancheria personale; chi accudisce il giardino o altre piccole cose».
Avete anche l’orto, oltre al giardino?
«No! L’orto è impegnativo e necessiterebbe di più persone per una sana gestione. Per i nostri anziani sarebbe troppo pesante, quindi abbiamo ripiegato sul giardino che richiede altri ritmi e impegni, senza ansia. Del giardino si occupa oggi Giacomo di 100 anni e 4 mesi insieme ad altri due che possono farlo. Poi cerchiamo di valorizzare ciò che facevano nella vita, per cui se un anziano ha fatto il falegname o il calzolaio o l’imbianchino, o altro… qui esercita la sua professionalità misurata sulle sue forze e sempre in modo libero, organizzandosi il tempo secondo le proprie esigenze. Stiamo attente, perché vi sia un equilibrio tra i vari momenti della giornata».
Per voi tutto ciò è anche un valore aggiunto economico…
«Non è questo il fine. Lo scopo principale consiste nel fatto che gli anziani abbiano un’occupazione per sentirsi ed essere utili e non rinchiudersi in se stessi e magari passare tanto tempo davanti alla televisione. Per un’anziana che non poteva fare nulla, per esempio, una suora ha inventato un lavoro: farle tagliare la lana con cui riempire i cuscini che vengono venduti per aiutare le missioni indiane».
Qual è il rapporto con il territorio del quartiere?
«Gli anziani autosufficienti escono, entrano, vanno e vengono come vogliono, senza alcuna limitazione. Vanno a comprarsi il giornale; vanno in centro anche solo a passeggio; sbrigano commissioni. Se questa è una casa lo deve essere a tutti gli effetti. Da fuori, oltre i parenti viene qualcuno, non troppi. Vi è qualche gruppo che ci frequenta che è diventato amico con il quale si è instaurato un rapporto di amicizia. Per esempio, a carnevale è venuto un gruppo che ha animato tutto il pomeriggio riunendo insieme bambini, giovani e anziani».
Come vivono gli anziani che sono qui il legame con la famiglia di origine?
«Dipende. Normalmente è buono perché i parenti mantengono i rapporti e vengono a trovarli. Vi sono anche persone che non hanno più nessuno, ma hanno amici che di tanto in tanto vengono a fare una visita. Inoltre, si è creata una rete di amicizia qui dentro per cui non c’è nessuno veramente solo».
… e il distacco dalla famiglia?
«Cerchiamo sempre che sia l’anziano o anziana a volere venire qui. A questo scopo chiediamo a tutti di fare un periodo di esperienza: se si trovano bene, possono decidere di restare, diversamente se ne tornano a casa. Nessuno finora se n’è tornato da dove proveniva. Vi sono anche anziani che si rendono conto di non potere più badare a se stessi e allora decidono di venire da noi e questi hanno una motivazione personale già in partenza».
Ospitate anche persone per un tempo determinato?
«Se possiamo sì, ma di regola non possiamo, perché la camera di ciascuno è personalizzata. Per cui, se un anziano va in famiglia per un mese, non possiamo ospitare un altro e metterlo nella sua camera: non ci sembra giusto. È una questione di dignità e di rispetto».
Qual è l’atteggiamento degli anziani di fronte alla sofferenza e alla morte?
«Varia da persona a persona e in base alla nostra esperienza dipende molto dall’educazione con cui un anziano o anziana è cresciuta. C’è di tutto: c’è attenzione ammirevole, c’è motivazione religiosa, c’è anche rassegnazione. Gli anziani sono persone con le stesse contraddizioni di tutti gli altri».
BOX 1
Con Esperia , Rosa e Giacomo
Incontriamo alcuni anziani con i quali scambiamo qualche parola. «Io sono Paolo e lei è Cristina. Siamo venuti a conoscere questo luogo e a vedere come ci si sta». Le due anziane che ci stanno davanti ridono. Chiediamo il loro nome: «Io sono Esperia Roccatagliata di Genova, genovese al 100% fin dal 1300. Il cognome stesso lo dice». «Io sono Rosa Virdis e sono della Sardegna, ma vivo a Genova da oltre 50 anni».
Il nome “Esperia” è un programma: in spagnolo significa “speranza”, mentre “Rosa” richiama le rose del vostro giardino. È da molto che abitate qui?
Esperia: «Da 4 anni, ma frequentavo questa casa da 12 anni, specialmente per venire a trovare amici, oggi invece sono io ad abitare qui e altri vengono a trovare me».
Rosa: «Io da 5 anni al 3 di febbraio e qui sto bene».
Siete contente di stare qui?
Esperia: «D’incanto direi. Guardi che posto! Sembra di essere in una villa patronale… da bambina abitavo qui vicino e passavo davanti al cancello. Ma credevo che fosse una scuola senza sapere che un giorno sarebbe diventata casa mia. Sono contenta di essere qui».
Rosa: «Oh, sì, sto proprio bene!».
Di cosa vi occupate?
Esperia: «Sono specializzata in cucito e sono addetta al rammendo perché tutti devono essere lavati, puliti, stirati. Ordinati, insomma».
Rosa: «Preparo due volte al giorno la tavola e poi vado in laboratorio a piegare la biancheria».
Avete parenti?
Esperia: «Ho un figlio e due nipoti, ma vivono a Milano».
Rosa: «Io ho 5 figli (3 femmine e 2 maschi). Mi vogliono bene, però io ho voluto venire qua».
Incontriamo Giacomo di 100 anni e 4 mesi su un triciclo elettrico, arzillo e dritto come un cipresso. Ci dice che è emiliano e che si occupa del giardino. Alcuni giorni addietro ha potato le rose, che sono il suo orgoglio e la sua passione.
Andando ancora avanti, incontriamo altri anziani e anziane: chi in camera, chi a conversare, chi si sta già preparando per andare a letto. È sera ed ormai è tardi. Un’altra cosa che ci ha impressionato: per la casa abbiamo visto solo tre persone davanti alla tv, ma stavano chiacchierando tra loro.
Credevamo di entrare in un posto di «vecchi», abbiamo visitato una casa piena di vitalità, dove si respira un clima umano straordinariamente pacifico. Non abbiamo visto un anziano o un’anziana triste, ma sempre persone contente e giocose. Toiamo a casa con il sole nel cuore e la gratitudine per avere avuto il dono di incontrare anziani felici e persone come le «Piccole Sorelle dei Poveri» che riconciliano con il mondo e con Dio.
Pa.F. e M.C.P.
Paolo Farinella e Cristina Pantone