DOSSIER ANZIANI “Nonanona!” (Il grido delle badanti rumene)

«Il vecchietto dove lo metto» cantava Domenico Modugno. Quel vecchio ritornello dolce-amaro nasconde un problema che oggi è serio e sempre più diffuso. Attualmente la soluzione più in voga pare quella dell’affidamento a donne extracomunitarie, soprattutto dell’Est europeo (Romania, Ucraina, Moldavia) e del Sudamerica (Perù, Ecuador). Sono le «badanti» di cui sono piene le nostre città. E senza le quali ci sarebbero grossi problemi.

Nelle case italiane, soprattutto delle regioni settentrionali, il ritornello «nonanona!» è diventato una consuetudine. È il modo in cui le assistenti familiari, più popolarmente indicate come badanti, chiamano le nonne, o i nonni, che assistono. Pronunciato in modo gentile ma deciso è una specie di richiamo all’ordine.
L’allungamento dell’età biologica rapportato ad una scarsa considerazione sociale dell’anziano (negata, ma effettiva) ha creato una zona d’ombra nella quale i vecchi sono chiamati a vivere non già un meritato riposo, ma una sorta di calvario finale caratterizzato da solitudine, abbandono, tristezza ed un frustrato desiderio di morte, vista come una liberazione.

LA CONOSCENZA, RICCHEZZA DEGLI ANZIANI
La funzione degli anziani è stata storicamente quella di produrre conoscenza. Chi poteva farlo meglio di loro? Chi meglio di un vecchio deportato può spiegare cosa sia stato il nazismo? Una conoscenza legata ai sentimenti ed al ricordo, lontana dalla cultura nozionistica.
Nel mondo del progresso-sviluppo-crescita tale ricchezza immateriale è superflua. Il nonno, un tempo capotavola, ha inesorabilmente preso la via del soprammobile ingombrante. Tutte quelle storie sui partigiani e i fascisti, la povertà, la frutta rubata dagli alberi, il dialetto, che un tempo inchiodavano nipoti più o meno grandi perché realmente avventurose sono diventate noiose, inutili, improduttive.
La famiglia di per sé in via di disintegrazione a causa delle continue e corpose dosi di individualismo somministrate dal modello «culturale» imperante, non riesce o non vuole dedicare il molto tempo che gli anziani chiedono. Il lavoro, la carriera, gli amici, il sesso, i divertimenti, l’affitto, le mille preoccupazioni che infarciscono la vita del cittadino moderno non danno molta possibilità di scelta… «Non ho tempo!». Stesso discorso da parte dello Stato che, teoricamente, dovrebbe garantire a tutti i cittadini dignitose opportunità di vita. Ma tutti i governi hanno sempre trattato gli anziani come parassiti che chiedono pensioni troppo esose, si ammalano troppo e non producono.
Gli olandesi, nel loro sconcertante pragmatismo, hanno risolto il problema. Gli uomini e le donne intorno a 70-75 anni sono consapevoli di essere un peso per la società e autonomamente si ritirano in centri per anziani, di solito ultra confortevoli. Dicono di essere felici di tale scelta e viverla come una conquista.
In Italia, il retaggio della famiglia patriarcale resiste creando lo scontro tra drastiche risoluzioni pratiche e crisi di coscienza.

CLANDESTINE, MA INDISPENSABILI
«Il vecchietto dove lo metto, dove lo metto non si sa, non c’è posto, non c’è posto per carità!», cantava Domenico Modugno. Un ritornello dolce amaro che apparentemente ha trovato una soluzione equa per nuove e vecchie esigenze. Quale? Angela, Elena, Maria, Sandra e molte altre sono ragazze giunte dai paesi dell’Est, soprattutto da Romania e Ucraina e loro sono «la soluzione» al «problema» (esiste una definizione più politicamente corretta?) del nonno. Sono le badanti, o collaboratrici familiari. Un esercito (solo in provincia di Torino sono 35.000) di lavoratrici che si prende cura delle persone anziane.
Il 90% è extracomunitaria, il 91% sono donne. Il 77% di loro ha la licenza media, il 15% la licenza elementare. Ragazze sì, ma anche donne adulte. Il 58% ha un’età compresa tra i 30 ed i 50 anni.
Applicando tali statistiche alla realtà torinese risulta che una famiglia su dieci ricorre al loro aiuto per assistere i nonni.
Molti analisti sostengono che sia l’ennesimo passo verso la totale privatizzazione del sistema sociale.
La badante vive in casa dell’anziano non più autosufficiente o con grosse difficoltà. Cucina i pasti, provvede a lavarlo, somministra medicine, vigila che non combini pasticci e ascolta in maniera professionale le storie del passato raccontate a oltranza. Fungono anche da difesa definitiva contro il pericolo delle truffe cui sono sottoposti molti anziani che vivono da soli.
Il boom di richieste di tale figura professionale sta portando ad un flusso continuo di ragazze che, lasciata la famiglia nei paesi di origine, giungono come clandestine ma già con un lavoro sicuro.

E LO STIPENDIO VA A CASA
Lo stipendio varia. Da un minimo 750 euro ad un massimo di 1.200, dipende dall’impegno che necessita la persona da assistere, se sono regolarizzate o meno, se devono lavorare anche il fine settimana. La tredicesima e la liquidazione finale vengono quasi sempre riconosciute. Il vitto e l’alloggio sono ovviamente offerti dalla famiglia.
Non tutte sono interessate alla regolarizzazione in quanto consapevoli di non essere considerate come un pericolo. «La polizia italiana non cerca noi che siamo sempre chiuse in casa e non rappresentiamo alcun pericolo per gli italiani. Economicamente poi non guadagneremmo nulla perché i versamenti fatti li perderemmo, in quanto un po’ tutte desideriamo solamente fare un buon gruzzolo e tornare a casa» dice Elena, badante-compagna di vita di Caterina anziana signora torinese.
La buona retribuzione ricevuta unita ad una semi mancanza di spese ha portato la categoria badanti ad essere un cliente ambitissimo dai trasportatori di soldi. Gli stipendi vengono di solito pagati in contanti, ed il gruzzolo che si forma viene nascosto in casa. La propensione al risparmio è elevatissima. Sono soprattutto le clandestine che ricorrono ai corrieri informali per spedire i soldi a casa con i quali riescono a mantenere tutta la famiglia. I bidoni esistono ma meno di quanto si possa immaginare.

LA STRANA COPPIA
Le dinamiche che si creano all’interno della strana coppia badante-nonno possono risultare bizzarre. Non sempre rose e fiori, talvolta un amore-odio reso vivibile dalle abili mosse diplomatiche dei parenti coinvolti, interessati che la convivenza sia pacifica quindi fruttuosa per tutti. Il rapporto di lavoro si conclude con la morte dell’assistito, e la famiglia del caro estinto solitamente non esita ad aiutare la badante con la quale ha creato un rapporto quasi familiare.
Racconta sempre Angela delle sue esperienze lavorative vicine ai nonni: «La vita da badante è faticosa. Il nostro impegno è continuo e, il peggioramento delle condizioni dell’anziano può talvolta risultare pesantissimo per tutti. Io temo molto di più il degrado psicologico che quello fisico perché difficilmente gestibile. Mi è capitato infatti che il nonno che assistevo non mi riconoscesse più e avesse crisi di panico. Oppure in altre occasioni che facesse resistenza passiva. È sicuramente un lavoro molto duro».
Eccolo dunque il popolo invisibile delle badanti. Talvolta capiscono male l’italiano, ma apprendono con impegno. Alcune imparano anche il dialetto.
La «soluzione badante» può essere un buon punto d’equilibrio tra la casa di riposo, non amata dagli italiani, e la vita in famiglia del nonno che comporterebbe sacrifici difficilmente sopportabili nell’epoca modea.

Maurizio Pagliassotti

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