«È difficile – fa dire ad Adriano la scrittrice Marguerite Yourcenar (1) – rimanere imperatore in presenza di un medico; difficile anche conservare la propria essenza umana: l’occhio del medico non vede in me che un aggregato di umori, povero amalgama di linfa e di sangue, e per la prima volta, stamane, m’è venuto in mente che il mio corpo, compagno fedele, amico sicuro e a me noto più dell’anima, è solo un mostro subdolo che finirà per divorare il padrone. Basta… Il mio corpo mi è caro; mi ha servito bene, e in tutti i modi, e non starò a lesinargli le cure necessarie. (…) Avrò in sorte di essere il più curato dei malati. Ma nessuno può oltrepassare i limiti prescritti dalla natura».
Già, i limiti prescritti dalla natura. Ma quali sono questi limiti, oggi? Si sono spostati molto in avanti per merito della scienza e del progresso tecnico-scientifico, che hanno ridotto la mortalità infantile (dal 200 al 10 per mille rispetto al 1900) e le malattie infettive; hanno trovato cure efficaci per molte patologie; hanno migliorato le condizioni igieniche e sanitarie.
Nel dossier sui giovani (MC, gennaio 2005) avevamo sottolineato la differenza tra i ragazzi del Nord e quelli del Sud del mondo. Anche per gli anziani vale la stessa osservazione. Per dirla in termini più appropriati: si parla di una transizione demografica caratterizzata da alti tassi di natalità e di mortalità a bassi tassi dell’una e dell’altra. Questo passaggio è però diverso o molto diverso a seconda del paese considerato.
In particolare, il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione riguarda i paesi (cosiddetti) sviluppati. Nella maggioranza dei paesi del Sud anziani non si diventa semplicemente perché si muore prima. È sufficiente leggere le statistiche sull’aspettativa di vita, per concludere che la durata della vita dipende molto dalla ricchezza (materiale) del paese dove si vive. Il Giappone è il paese con l’attesa di vita maggiore: 85,23 anni per le donne e 78,32 per gli uomini. Un’età che addirittura si dimezza in molti paesi africani: in Sierra Leone, ad esempio, arriva a 34 anni.
Non è di poco conto anche la differenza in anni (circa 7) tra maschi e femmine rispetto all’attesa di vita alla nascita. Tuttavia, anche qui Nord e Sud del mondo sono divisi. In molti paesi (in Africa, ma anche in India, Bangladesh e in altri) le donne vivono meno degli uomini perché le morti da parto sono ancora molto diffuse. D’altra parte, sulle statistiche mondiali influiscono anche altri fattori (come le guerre, la diffusione dell’Hiv, eccetera). Insomma, oltrepassare i limiti prescritti dalla natura spesso si può, ma non ovunque. E, dove si può, possono subentrare altri «limiti», teoricamente meno problematici perché imposti dalla società, ma non per questo meno importanti dato che influiscono enormemente sulla «qualità» della vecchiaia (2).
Nelle società occidentali si sta assistendo ad un progressivo smantellamento dello «stato sociale», quello che anche in Italia (forse per confondere le idee) viene definito «welfare». In quest’ambito, rientrano le pensioni e l’assistenza medica pubblica.
Lo stato (questo stato) vuole dare sempre meno risorse allo stato sociale. E cerca di giustificare ciò con una serie di ragionamenti. Primo: le spese pubbliche debbono ridursi per consentire una riduzione delle tasse e, di conseguenza, una maggiore disponibilità di reddito personale. Secondo: è dovere dello stato responsabilizzare gli individui, che debbono essere incentivati a stipulare assicurazioni personali (cioè private) sia per garantirsi una pensione per la vecchiaia sia per un’assistenza sanitaria (3). Altra parola molto gettonata in quest’epoca di neoliberismo e pensiero unico è quella di «sussidiarietà»: l’obiettivo è di ridurre quanto più possibile l’intervento dello stato, per esaltare l’individuo e le sue capacità. Detta così sembrerebbe una filosofia ragionevole, ma in realtà essa nasconde la liberazione degli istinti egoistici, con il risultato di aumentare le disparità e l’emarginazione di larghe fasce sociali. E lo stato da attore diventa comparsa, in scena soltanto per fare beneficenza.
Martellante è poi la propaganda contro il sistema pensionistico: «insostenibile», ci ripetono fino all’ossessione (più che sospetta). Sulle pensioni si arrovellano i governi di tutto il mondo, ma soprattutto di quello occidentale (cioè dove le pensioni esistono effettivamente). Nessuno nega che, cambiando la struttura demografica della società (più anziani, meno giovani), non cambi anche il rapporto pensioni/contributi. Tuttavia, sembra che, attraverso la revisione del sistema pensionistico, politici ed economisti perseguano anche altri scopi, soprattutto in Italia, dove il sistema è già stato sostanzialmente riformato negli anni Novanta (4).
Perentoria la definizione che dà il settimanale The Economist (5): «Le pensioni statali furono istituite quando la vecchiaia coincideva con la povertà per la maggior parte delle persone, cui esse offrivano soluzioni patealistiche e collettive». Il giornale inglese, i politici e gli economisti dovrebbero chiedere un parere spassionato ai milioni di anziani italiani che hanno una pensione inferiore a 500 euro al mese (tabella di pagina 24).
Altri ricevono di più, un po’ di più… «Guardi – ci ha detto una signora, mostrandoci il cedolino della propria pensione -, dopo 35 anni di lavoro mi danno 567,19 euro. Capite perché, alla mia età, sono costretta a lavorare ancora?». Certo che capiamo…
«Il welfare – si legge nell’ultimo rapporto di Sbilanciamoci (6) – è una conquista storica che ha permesso maggiore benessere, sicurezza, opportunità. È uno strumento che realizza i diritti sociali ed il principio di eguaglianza (…). Di fronte all’imposizione delle politiche neoliberiste, del dominio del mercato e dell’ideologia del privato e delle privatizzazioni, il welfare rappresenta un’alternativa di civiltà».
Né autunno, né primavera: perché abbiamo scelto un titolo così? Volevamo essere equidistanti sia rispetto alla mitizzazione della vecchiaia («è la più bella delle età dell’uomo») sia rispetto alla sua visione più triste («è la fine della vita»).
Lo scorso fine marzo, i due principali quotidiani italiani hanno parlato ampiamente di anziani, come presumibilmente faranno sempre di più in futuro, considerato l’invecchiamento della società. Nel primo caso, la Repubblica raccontava la vita in una cittadella per anziani costruita nei pressi di Orlando, in Florida, in puro stile statunitense. Nella «Disneyland degli eterni ragazzi – ha scritto Vittorio Zucconi (7) – non ci sono ambulatori, né cimiteri, è proibito ammalarsi e tanto meno morire, non ci sono anziani malati, degenti, assistenze sanitarie, tonfi e sibili di macchine per la respirazione o patologie visibili che possano inquinare il sogno».
Nel secondo caso, il Corriere della Sera raccontava che a Milano su 1.298.778 abitanti ci sono 214.908 persone oltre i 70 anni e 92.000 di queste vivono da sole. «Ogni anno – proseguiva l’articolo (8) – la città diventa più vecchia e i servizi offerti non stanno al passo delle necessità. Anche quest’inverno una decina di persone sono morte in solitudine, in alcuni casi sono passati giorni prima che qualcuno se ne accorgesse».
Già, la solitudine degli anziani. A dare credito alle pubblicità della televisione o delle riviste non esisterebbe. L’importante sono i prodotti da vendere a questa fascia della popolazione: dentiere inamovibili, assorbenti straordinari, creme taumaturgiche per le rughe, pillole miracolose per sprizzare energia e vitalità. Dicevamo: né autunno, né primavera. Intendendo che tra la Disneyland geriatrica della Florida e la solitudine di Milano, magari si può trovare un modus vivendi più consono alla dignità, se non proprio alla felicità, forse più difficile da raggiungere.
Pensioni, sanità, assistenza, solitudine sono questi, dunque, i limiti che determinano la «qualità» della vita della persona anziana nelle società occidentali. Società quasi a «crescita zero» (anche su questo punto occorrerebbe soffermarsi) per le quali, da almeno un decennio, sono fondamentali i flussi migratori. Affermazione quest’ultima che farà rabbrividire qualcuno, ma che, allo stato delle cose, è difficilmente negabile. Sono infatti gli immigrati che garantiscono (o garantiranno) il ricambio generazionale, l’allargamento della base contributiva e – ne parliamo anche in questo dossier (pagina 40) – l’assistenza domiciliare alla popolazione anziana.
Abbiamo iniziato con la scrittrice francese Marguerite Yourcenar, vogliamo finire ancora con i poeti, che da sempre hanno la capacità di sintetizzare in poche, lucidissime parole l’essenza della vita. Terenzio scrisse che «la vecchiaia è di per se stessa una malattia». Probabilmente era un’esagerazione già a quel tempo (secondo secolo avanti Cristo) e, a maggior ragione, lo è oggi. Forse perché, come scrisse Sofocle, «nessuno ama tanto la vita come l’uomo che sta invecchiando».
Sofocle penserebbe di aver ragione se potesse vedere quanti anziani oggi frequentano i corsi dell’«Università della terza età», una delle poche istituzioni pro-anziani della società modea. Ma, allo stesso tempo, penserebbe di avere torto se potesse vedere quanti anziani frequentano le mense dei poveri, quanti a metà mese non hanno più un euro per campare dignitosamente.
Note:
(1) Marguerite Yourcenar, Memorie di Adriano, Einaudi.
(2) Federazione nazionale pensionati Cisl, Anziani 2003-2004. Realtà ed attese, Edizioni Lavoro, Roma 2004.
(3) Ivan Cavicchi, La privatizzazione silenziosa della sanità, Datanews Editrice, Roma 2003.
(4) Sbilanciamoci, Cambiamo finanziaria 2004, Roma 2003.
(5) Numero del 16 febbraio 2002.
(6) Sbilanciamoci, Cambiamo finanziaria 2005, Roma 2004. MC ne ha parlato sul proprio numero di gennaio.
(7) Su la Repubblica del 27 marzo.
(8) Sul Corriere della sera del 26 marzo.
BOX 1
Speranza di vita alla nascita
(in anni – dati del 2002)
Paesi europei 78
in Africa:
Angola 39
Zimbabwe 37
Lesotho 35
Sierra Leone 34
in Asia:
Afghanistan 43
Cambogia 56
in America Latina:
Haiti 53
Box 2
ITALIA
Popolazione anziana (*)
italiani sopra i 65 anni 11.200.000 19,2%
di cui non auto-sufficienti 1.970.000
vita media per gli uomini 78 anni
vita media per le donne 82 anni
tasso di natalità 9,3 per mille abitanti
nel 2002; era
11,7 per mille abitanti
nel 1980
(*) rilevazione Istat, 2003
Pensioni (importi medi mensili) (*)
pensioni di 137,18 euro 1.847.940
pensioni di 399,66 euro 5.449.145
pensioni di 582,64 euro 3.300.295
(…) (scaglioni intermedi)
pensioni di 3.916,26 euro 45.434
N. totale di pensioni 14.412.240
(*) dati Inps al 1 gennaio 2003 (foiti da Fnp-Cisl)
Paolo Moiola