Nel corso dell’ultimo decennio l’Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) ha subito un intenso processo di critica e di destabilizzazione intea. La credibilità e la stessa esistenza dell’Organizzazione sono state messe in seria discussione, soprattutto dal governo degli Stati Uniti. Due fondamentali eventi storici hanno aiutato i detrattori ad esaltae l’inefficienza e l’inutilità: nel 1990 il disgregamento dell’Unione Sovietica, nel marzo 2003 l’occupazione illegale dell’Iraq da parte delle forze americane e della loro opportunistica coalizione. Questi due eventi sono noti al grande pubblico e certamente non richiedono ulteriori approfondimenti. È però importante ricordare che, mentre il primo ruppe quell’accordo (non scritto) sulla divisione del mondo nelle sfere di influenza Usa-Urss che esisteva dal 1945, il secondo ha, forse definitivamente, affossato la legalità ed il ruolo di «mediatore» internazionale svolto dalle Nazioni Unite.
L’Onu vive oggi un momento di grave crisi ed aspetta un progetto di ristrutturazione che non si è ancora concretizzato. A questo proposito, vorrei ricordare che ai primi di dicembre del 2004 è stato rilasciato un documento ufficiale preparato da una «Commissione di 16 saggi», precedentemente nominati dal Segretario generale dell’Onu, Kofi Annan (il documento è consultabile sul sito) (1). Questo documento studia e sintetizza quali sono le principali sfide e minacce a livello mondiale, e contemporaneamente presenta una serie di raccomandazioni per affrontare questi problemi. I principali temi affrontati dalla Commissione di saggi sono: povertà e degrado ambientale, conflitti tra stati e conflitti interni, minacce rappresentate da armi di distruzione di massa, terrorismo e prevenzione, crimine organizzato, peacekeeping e ristrutturazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu (approfondiremo questi temi nelle prossime puntate).
Con riferimento a quest’ultimo tema, l’Onu è giunta ad un bivio storico: continuare ad esistere e rimodearsi oppure estinguersi, come già capitò alla sfortunata «Società delle Nazioni». La ristrutturazione è necessaria per non minae la sopravvivenza e per preservare i principali obiettivi per i quali era stata originariamente fondata durante la conferenza di San Francisco del 1945. Infatti la sua sopravvivenza è stata recentemente e ripetutamente minacciata dal suo più grande contributore (ma sempre moroso nei pagamenti) ovvero gli Stati Uniti d’America.
Non solo. Il disfacimento dell’Unione Sovietica ha rotto quell’equilibrio mondiale che spartiva le sfere geopolitiche di influenza tra Urss e Usa. L’Onu fungeva spesso da mediatore (anche se volentieri di parte) di questo processo di equilibrio. L’equilibrio si è ufficialmente e definitivamente rotto con l’invasione dell’Iraq, e gli Stati Uniti, ora più che mai, hanno dimostrato di poter liberamente spadroneggiare nella loro politica economica di espansione e di dominio (anche militare), infischiandosene delle risoluzioni dell’Onu e delle proteste degli altri stati membri.
Quello che riscontriamo oggigiorno – almeno per chi se ne vuole accorgere o per chi ha l’opportunità di viaggiare e confrontarsi con diversi paesi e culture – è un profondo squilibrio. Il commercio mondiale è indiscutibilmente influenzato dalle «regole» economiche imposte dalle multinazionali americane – prevalentemente dell’industria petrolifera – sulle quali lo stesso governo statunitense ha progressivamente perso controllo istituzionale e regolamentare.
È una grande sfida quella che aspetta l’Onu alle soglie del nuovo millennio e che non si può limitare alla sua sola sopravvivenza e credibilità, ma deve dedicarsi anche all’opera di vigilanza internazionale per la costruzione di un mondo con meno ingiustizie.
Per continuare ad esistere e funzionare efficacemente e credibilmente, l’Onu deve poter contare sull’appoggio democratico di tutti i suoi stati membri. Occorre ristrutturare l’organizzazione ed i suoi principali organi (come, ad esempio, il Consiglio di sicurezza) rifacendosi alla presente realtà geo-politica, che è decisamente differente da quella del secondo dopoguerra.
La rielezione di George W. Bush certamente non faciliterà questo progetto di ristrutturazione, poiché un’importante parte dei repubblicani al governo Usa vuole la chiusura dell’Onu. Non a caso, una martellante campagna di diffamazione su fatti, finora mai provati, bombarda quotidianamente gli americani attraverso quotidiani e mass media. Un evidente esempio di diffamazione si riferisce al programma Oil for Food (petrolio contro cibo), al quale anche la stampa italiana ha dato ampio spazio (2). Vorrei ricordare però che i risultati della commissione d’inchiesta (scaricabili da internet) presieduta da Paul Volcker (ex presidente della Federal Reserve Bank statunitense), rilasciati ai primi di febbraio, per indagare su questo programma non hanno evidenziato alcunché di compromettente nei confronti dei dirigenti Onu accusati di corruzione. Anzi, hanno portato alla luce la negligenza di alcuni stati membri, tra cui gli stessi Usa, a vigilare sul corretto funzionamento del programma.
Ci auguriamo che, per la costruzione di un futuro più sicuro e con meno ingiustizie, si arrivi ad una comune volontà di rimodeare l’Onu. È essenziale che l’organizzazione sopravviva per poter efficacemente e rapidamente affrontare quelle importanti problematiche individuate dalla Commissione di saggi nominata da Kofi Annan.
Note:
(1) www.un.org
(2) Gli articoli migliori: Iraq, l’affare Oil for food, su «Le Monde diplomatique», febbraio 2005; un pro e contro è stato pubblicato da «Internazionale», n. 577, febbraio 2005.
(*) Nota sull’autore:
Barbara MINA, funzionario dell’Onu a New York, è disponibile a rispondere ai lettori di Missioni Consolata sulle tematiche inerenti le Nazioni Unite.
Barbara Mina