NICARAGUA Ventiquattrore nella discarica
El Pantanal e Acahualinca sono quartieri che circondano «la Chureca» nelle vicinanze del lago di Managua. «La Chureca» è una parola che non compare nel dizionario, ma è un’auto-definizione creata dalla gente che abita qui. Si tratta di una discarica di oltre 47 metri di profondità che esiste dagli anni Cinquanta, ovviamente senza alcun tipo di controllo.
Un bambino che non avrà neppure 14 anni affonda le mani in una montagna di spazzatura: è vestito con dei pantaloni marroni, che forse una volta erano bianchi, una maglietta grigia e un cappellino rosso molto sporco che probabilmente ha trovato tra la spazzatura. È uno dei tanti bambini-lavoratori che incontriamo durante la nostra visita alla discarica. Porta a tracolla un sacco grande quasi quanto lui, dove mette tutte le cose che trova (bottiglie di vetro o plastica; pezzi di ferro, legno e materiali riciclabili in genere) e che proverà poi a vendere per poter – almeno quel giorno – mangiare qualcosa. Continuiamo ad addentrarci nella Chureca e l’odore è sempre più nauseabondo: un misto di esalazioni di animali morti, spazzatura e prodotti chimici che arrivano dal contaminatissimo lago di Managua, che si trova a pochi metri dalla Chureca.
Qui arrivano ogni giorno più di 1.400 tonnellate di spazzatura e con esse la speranza di mangiare per più di 100 famiglie. Per tutte loro la discarica rappresenta l’unico mezzo di sopravvivenza. Queste persone lavorano con ritmi estenuanti: per tutta la notte e altri fin dal mattino presto, frugano tra i rifiuti cercando qualcosa con un minimo di valore, circondati da animali morti, cani randagi, avvoltorni, mucche e cavalli che pascolano sul posto.
Nelle vicinanze del lago di Managua, al Nord della capitale, abbiamo incontrato Eddy Perez, che in passato lavorava raccogliendo spazzatura, e oggi è un educatore di strada che lavora da anni con le popolazioni dei quartieri, che circondano e sopravvivono con la Chureca.
«La Chureca – ci spiega Eddy – è la principale discarica della capitale, che produce, secondo le stime ufficiali, un totale giornaliero di 1.400 tonnellate di spazzatura, ma noi crediamo che siano molte di più. La sua estensione è di 64 ettari e al suo interno lavorano 1.300 persone, di cui più della metà sono minori di 18 anni. Questa è una parte della popolazione urbana che si è vista obbligata a vivere qui spinta dalla difficile situazione economica. La Chureca permette loro di mangiare: è l’unica strada che la gente può percorrere per sopravvivere. Nella Chureca vivono 133 famiglie in baracche del tutto inadeguate, senza servizi igienici, né acqua potabile né elettricità, costruite con materiali di recupero, a loro volta scartati da altre persone, che li ritenevano inservibili. La gente qui alla Chureca vende magari un chilogrammo di alluminio, rame, vetro, carta o plastica e risolve in questo modo le necessità basiche di un giorno per loro e i loro figli. Sono persone che non sanno misurare il domani, perché non hanno la certezza di arrivarvi. Questa realtà non glielo permette, non consente loro di avere nessun progetto per il futuro».
Aldilà dei materiali che si possono vendere per il riciclaggio i churequeros raccolgono anche scarti di cibo come ossa di maiali, scarti di pesce e verdura marcia che arrivano dal mercato orientale, il mercato più grande di Managua. Con questi scarti cucinano e mangiano famiglie intere, molte volte anche sul posto, con conseguenze per la salute facilmente immaginabili. Purtroppo, la metà di questi lavoratori sono bambini a cui non viene riconosciuto nessun diritto, la cui vita non conosce scuola, né giochi, e il cui futuro è gravemente compromesso.
Sono stati fatti molti progetti per far uscire dalla povertà questa parte di popolazione, ma la spazzatura rimane la loro unica certezza. Nel frattempo, la Chureca continua a rappresentare una contraddizione umana per chiunque si guardi attorno: da un lato trova la bellezza del tropico e l’esuberanza della natura, dall’altro indifferenza, miseria e fame.
Josè Carlos Bonino
Josè Carlos Bonino